martedì 28 febbraio 2012

La Cassazione sull'esercizio abusivo della professione (dentista):problematica dell'elemento soggettivo nel caso di esito infausto dell'operazione.


di Filippo Lombardi

 Cassazione penale, sez. V, 26 gennaio 2012, n. 3222

IL CASO
Tizia, titolare di uno studio dentistico permette che Caio, soggetto non abilitato ad alcuna attività medica, svolga nei confronti di Sempronia un'operazione dentistica provocandole lesioni. 
Il processo si era svolto con capovolgimenti di fronte tra primo grado (giudizio abbreviato) all'esito del quale i due erano stati condannati per lesioni dolose gravi, e giudizio d'appello, che aveva ritenuto non esistente il dolo.
 Ricorrevano per cassazione sia il procuratore generale della Corte d'Appello, sia la parte civile, facendo valere sostanzialmente gli stessi argomenti, e cioè:
1) che si erano verificate lesioni dipendenti dalla condotta (attiva e omissiva rispettivamente) di Caio e di Tizia, e che pertanto sussisteva il nesso causale e l'evento.
2) che l'evento era dipeso dalla violazione della tecnica dell'arte medica.
3) che l'atteggiamento doloso doveva evincersi dai seguenti elementi:
 - mancanza di consenso informato.
mancanza dell'abilitazione, che per i ricorrenti faceva conseguire il fatto che gli imputati non potevano non prevedere come evento possibile e concreto la lesione, evento che perciò era stato previsto e accettato.
 Tutti questi elementi, secondo i ricorrenti dovevano escludere la pretesa incompatibilità tra la finalità terapeutica e il delitto di lesioni dolose, e aprire la strada al riconoscimento dell'elemento soggettivo, almeno nella forma del dolo eventuale.



LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE

Il Giudice di Legittimità precisa innanzitutto che l'elemento soggettivo del dolo deve essere un legame psichico diretto tra un soggetto e un evento e che non deve essere valutato tramite delle fasi intermedie. Con ciò intende la Corte che una cosa è il dolo (meglio: la volontarietà) relativa alla mancanza di consenso informato o al compimento del delitto di esercizio abusivo della professione e un'altra cosa completamente diversa è il volere, con la propria condotta (in questo caso con l'operazione dentistica), causare quel determinato evento. L'elemento soggettivo, insomma, non si poteva far derivare dagli elementi elencati (quelli facenti parte del predetto numero 3) ma doveva essere valutato in concreto secondo i normali canoni investigativi e probatori.

Altra statuizione della Corte di Cassazione è relativa alla differenziazione delle lesioni in un'operazione di tipo medico. La S.C. suggerisce infatti di tenere sempre distinti due tipi di lesioni: 
- quelle derivanti dall'operazione in sé, cioè che sono propedeutiche all'effettuazione dell'attività (chirurgica o dentistica in questo caso). Queste sarebbero sempre coperte da dolo inteso come volontarietà, perché in assenza di queste lesioni non potrebbe avvenire la cura del paziente (si parla ad esempio dei tagli della cute o degli organi funzionali a poter intervenire nel corpo umano). Pur essendo coperte da dolo, quest'ultimo è coperto da una non punibilità derivante dalla superiore esigenza sanitaria, e risulta punibile solo nel caso in cui questo tipo di lesione avvenga senza consenso informato, senza rispetto della tecnica medica, senza necessità o senza che il sedicente medico sia effettivamente abilitato. 
- quelle che, ad operazione iniziata e proseguita, costituiscono l'esito infausto della stessa. Anche in questo caso, vi sarà una non punibilità se tutti requisiti poc'anzi elencati saranno presenti. Mentre vi sarà una responsabilità se uno degli stessi difetterà. La responsabilità però non sarà automaticamente dolosa, bensì si dovrà vagliare l'elemento soggettivo secondo i normali canoni. 

Ecco perchè la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d'Appello, rinviando ad altra sezione della stessa. 

LA PROBLEMATICA DELL'ELEMENTO SOGGETTIVO NELLE LESIONI "DA ESITO INFAUSTO".

Come è evidente, la Corte non rinvia ad altra sezione per valutare l'esistenza dell'evento, ma per permettere ad altra sezione di stabilire se si tratti di colpa cosciente o dolo eventuale, poiché la S.C. non può entrare nel merito della questione. Volendo cercare di riassumere allo stato dell'arte le due definizioni di colpa cosciente e dolo eventuale possiamo ragionare come segue, anche alla luce degli ultimi orientamenti (si veda ad es. la sentenza "Thyssen").

Il dolo eventuale fu definito originariamente secondo la teoria del consenso cioè, per esserci tale tipo di dolo, il soggetto agente doveva prevedere l'evento come possibile conseguenza della sua condotta, non volerlo come evento primario (in tal caso si tratterebbe di dolo intenzionale), e acconsentire alla sua verificazione. Questa teoria fu "corretta" (perchè ritenuta non in grado di contemplare i casi in cui più che consenso si fosse trattato di rassegnazione) attraverso il cambio repentino della parola "consenso" con le parole "accettazione del rischio", per cui si diceva che il soggetto doveva prevedere l'evento come possibile conseguenza della propria condotta e accettare il rischio della sua verificazione. 
Il problema che sorse, in virtù di quest'opera definitoria, fu quello della differenziazione con la colpa cosciente, in quanto essa, che pure annovera tra i suoi caratteri quello della previsione, ben avrebbe potuto interpretarsi come comprendente una sorta di accettazione del rischio. Un soggetto agente infatti può prevedere un evento, accettarne il rischio ma non volerlo. Si era compreso quindi che non si poteva differenziare il dolo eventuale dalla colpa cosciente tramite l'elemento della rappresentazione (e dell'accettazione del rischio, elementi presenti in entrambi gli stati psichici) ma che bisognava battere sul requisito della volontà. Arrivati a questo punto molte teorie furono avanzate. Le più importanti sono così sintetizzabili: 

Secondo Frank (c.d. prima formula di Frank) la distinzione deve poggiare sull'ipotesi in cui il soggetto agente venga a conoscenza che la sua azione porterà sicuramente all'evento. Bisogna immaginare cosa farebbe l'agente: se si può ipotizzare che egli si allontanerebbe dall'agire, il suo stato psichico deve essere etichettato come colpa cosciente; al contrario, se può ipotizzarsi che egli continuerebbe nell'azione così come ha fatto, si trova in dolo eventuale. 

Lo stesso Frank elaborò poi un'altra teoria, basata sul vantaggio o sullo svantaggio che l'evento lesivo o pericoloso reca all'agente. Se l'evento comporta conseguenze negative nella sfera giuridico-patrimoniale dell'agente, si può dire che l'elemento soggettivo non può mai essere quello della volontà, in quanto si dovrebbe ammettere che sia possibile che una persona voglia andare consapevolmente contro i propri interessi. Se l'evento comporta conseguenze vantaggiose, si può ammettere la volontà e quindi il dolo eventuale. Questa teoria però non può applicarsi sempre, in quanto per sua natura trova in se stessa un paradosso. E' inapplicabile ai crimini in quanto, secondo un veloce ragionamento, nessuno dovrebbe voler compiere un reato, perché nessuno vorrebbe mai la sanzione ai propri danni! Il metodo suggerito da Frank per risolvere il problema della scelta tra dolo eventuale e colpa cosciente volgerebbe perciò sempre a vantaggio dell'applicazione della colpa cosciente.

Attualmente si segue una diversa impostazione. Si deve valutare se l'evento si rappresenta nella mente del soggetto agente come evento concreto o astratto e se il soggetto ha deliberatamente subordinato il bene giuridico (poi risultato) leso ad un valore o vantaggio di natura personale. 
Mettendo in ordine questi requisiti si avrebbe: il dolo eventuale nel caso in cui un soggetto, alla luce delle circostanze concrete, delle proprie conoscenze ed esperienze personali, si rappresenti un evento nella propria mente come concreto (cioè di molto probabile verificazione) e ne accetti il rischio di concretizzazione subordinando deliberatamente quel bene a qualche altro vantaggio/valore/fine personale; si avrebbe colpa cosciente nel caso in cui un soggetto agente si rappresenti un evento nella propria mente come possibile ma astratto, cioè di poco probabile verificazione. La bassa probabilità di verificazione deve rappresentarsi a causa del fatto che il soggetto agente ritenga di sapere e potere evitare l'evento grazie alle sue capacità. 

Volendo rapportare questi criteri al caso di specie, un soggetto che eserciti abusivamente una professione non è detto che abbia come unico status psichico esistente quello del dolo eventuale nella potenziale produzione di eventi infausti conseguenti all'attività abusiva. Non bisogna incorrere in tecniche punitive che facciano derivare la rappresentazione dell'evento come concreto, dalla mera abusività della condotta medica. E' proprio questo che la Cassazione ci dice, ed è ipotizzabile addirittura il riconoscimento della colpa cosciente se la sezione diversa di Corte d'Appello chiamata a decidere sulla base delle riflessioni del giudice nomofilattico, riterrà che, alla luce delle concrete conoscenze ed esperienze (seppur sfornite di titolo), il soggetto era sicuro di evitare la lesione con la propria abilità. Si vuole far notare la complessità del ragionamento che dovrà fare il nuovo collegio, in quanto, se fosse applicabile la seconda formula di Frank, la bilancia propenderebbe facilmente per la colpa cosciente, stante lo svantaggio personale derivante dall'errore medico compiuto dall'imputato, e quindi stante la consequenziale ammissione dell'assenza di volontà secondo tale teoria. 

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