domenica 17 marzo 2013

Il reato di minaccia "apparente".


CASSAZIONE PENALE – Sez. V – 8 Gennaio 2013 n. 760 – Pres. Zecca – Rel. Vessichelli (Annulla senza rinvio Tribunale Lanciano, 3 marzo 2011, n. 5/2010).
Reato di minacce – Prevenzione altrui azione illecita – Prospettazione legittima  reazione -  Inconfigurabilità reato.

Non integra comunque il delitto di minaccia la condotta di colui che tenga un comportamento pure apparentemente integrante la fattispecie in esame, non già al fine di restringere la libertà psichica del minacciato, bensì al fine di prevenirne un'azione illecita (nel caso di specie: molestie), rappresentandogli tempestivamente la legittima reazione che il suo comportamento avrebbe determinato. (Nel caso di specie l’imputato aveva detto al proprietario dell’appartamento sottostante al suo che gli zingari ai quali aveva intenzione di vendere il proprio appartamento avrebbero reagito con atti di violenza se avesse continuato a bussare con la scopa per i rumori di cui si lamentava).

Commento dell'avv. Mirella Pocino

Nel caso in oggetto l’imputato veniva condannato in primo grado ed in appello per il reato di minaccia. Ciò in quanto egli , al termine di una turbolenta riunione condominiale, aveva esternato al proprio vicino la volontà di vendere l’appartamento di sua proprietà a degli zingari.
La norma sanzionatoria di cui all’art. 612 c.p., rubricata “Minaccia” persegue,“chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno” con la multa fino a euro 51, su querela della persona offesa. Il secondo comma dell’ articolo de quo prevede che“se la minaccia è grave , o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno e si procede d’ufficio”.
La condotta minatoria, pertanto, può essere posta in essere da “chiunque”. Tale affermazione del Legislatore fa assurgere la fattispecie in esame nella categoria dei reati comuni, realizzabili da qualsiasi individuo.
Alla luce di quanto previsto dalla norma incriminatrice de qua, il reato di minaccia appartiene alla tipologia  dei reati formali di pericolo per la cui integrazione non è necessario che il bene giuridico tutelato sia leso minacciando la vittima, essendo sufficiente che il male prospettato possa incutere timore nel soggetto passivo menomandone la libertà morale. Inoltre la gravità della minaccia prospettata dal soggetto agente va parametrata alla entità del turbamento alla libertà psichica  ingenerato nel soggetto passivo e alla stregua di tutte le circostanze del fatto concreto. Difatti, la valutazione della idoneità della condotta minatoria orientata a realizzare tale finalità intimidatoria va fatta avendo di mira un criterio di materialità che rispecchi le reazioni dell’uomo comune (Corte di Cassazione, 23 Luglio 1992, n. 8264).
L’elemento soggettivo di tale fattispecie di reato è il dolo generico. Esso si sostanzia nella rappresentazione della coscienza e della volontà di  comprimere la libertà individuale del soggetto passivo della condotta.
La consumazione della fattispecie de qua è da ravvisarsi nel momento in cui la libertà individuale del soggetto passivo subisce una compressione per effetto delle minacce. Trattasi, inoltre, di reato di evento a forma libera per cui la condotta incriminata può essere posta in essere nelle più svariate modalità (anche facendo ricorso ai moderni mezzi di comunicazione.)
La Corte di Cassazione, investita della questione, ha annullato la sentenza di Appello (confermativa di quella di primo grado) ed ha ribadito il proprio e consolidato orientamento alla stregua del quale, al fine della configurazione del reato di cui all’art. 612 c.p., è necessario che il danno minacciato sia realizzabile e verosimile, ravvisandosi, in caso contrario, una minima potenzialità lesiva della minaccia in questione con conseguente non integrazione della fattispecie di reato de qua.
Nello specifico, non è sufficiente ad integrare il reato di minaccia una generica prospettazione di un danno futuro ed ingiusto quale la vendita dell’immobile a soggetti particolarmente violenti, espressa al termine di una riunione condominiale particolarmente vivace e nel contesto di pessimi e molesti rapporti di vicinato.
La Corte di Cassazione sostiene che nel caso di specie ben può osservarsi come il comportamento dell’imputato sia volto alla prospettazione non di un male ingiusto ma di un evento paradossale e meramente provocatorio, quale la futura ed eventuale vendita dell’immobile a zingari al fine di sottrarsi ai comportamenti molesti del vicino.
La Suprema Corte fa propria la tesi in virtù della quale tale condotta non può integrare il reato di minaccia in quanto, ai fini della configurabilità di tale reato, la concreta attuazione del male prospettato deve dipendere dalla sfera di signoria del soggetto agente, non ravvisando tale ipotesi nel caso di specie, trattandosi di una condotta di mera protesta in risposta alla condotta molesta del vicino. Inoltre, il danno  ingiusto prospettato dall’agente (vendita dell’immobile) alla persona offesa spiegherebbe i propri effetti negativi in primis nella propria sfera giuridica soggettiva poiché lo costringerebbe a compiere un atto dispositivo del proprio patrimonio per privarsi di un bene immobile al solo scopo di sottrarsi ai cattivi rapporti di vicinato. Da ultimo, la realizzazione del danno ingiusto rappresentato dall’agente alla persona offesa dipenderebbe non dallo stesso ma dalla condotta futura ed ipotetica di soggetti terzi (i nuovi eventuali acquirenti), divenuti proprietari dell’immobile in seguito ad una vendita futura ed anche’essa incerta e meramente prospettata da parte dell’imputato.

sabato 16 marzo 2013

La Cassazione sul reato di ricettazione.


CASSAZIONE PENALE – Sez. II – 9 gennaio 2013 n. 843 – Pres. Petti – Rel. Gallo – (Annulla senza rinvio sentenza Corte d’appello di L’Aquila sezione penale, 4 aprile 2012).
Ricettazione – Commercio di sostanze dopanti attraverso canali diversi da farmacie e dispensari autorizzati – Profitto – Utilità negativa.
Il reato di ricettazione ex art. 648 c.p. e quello di commercio di sostanze dopanti attraverso canali diversi da farmacie e dispensari autorizzati ex art. 9 co. 7 L. n. 376 del 2000,  possono concorrere per tre semplici presupposti: il primo è dato dalla differenza strutturale in capo ai due reati ed in considerazione del fatto che, il commercio di sostanze dopanti può essere integrato con condotte acquisitive diverse e non ricollegabili ad un delitto; il secondo è dato dalla differente tutela che si intende perseguire; da un lato la tutela del patrimonio dall’altro la tutela della salute; il terzo deriva dalla sussistenza del concorso apparente di norme con l’art. 648 c.p., per la sola  fattispecie di cui al primo comma del citato art. 9,  nel quale la condotta incriminata, procura, somministra, assume o favorisce comunque l’uso di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero di modificare i risultati derivati dai controlli sull’uso di farmaci o sostanze dopanti; quanto poi alla nozione di profitto contenuta nell’art. 648 c.p., questa deve essere intesa come qualsiasi utilità anche non patrimoniale, ivi compresa un’utilità morale, che l’agente si propone di perseguire con la condotta delittuosa posta in essere, arrecando un danno ad altri; pertanto, la nozione di profitto non può comprendere la mera utilità negativa, sia pure immaginaria o fantastica, sussistente nella lesione della propria sfera soggettiva senza recare danno ad  altri. 

Commento della dott.ssa Serena Sammarco.

Nel caso di specie il Gup del Tribunale di Pescara e la Corte d’Appello di L’Aquila – quest’ultima  in parziale riforma della sentenza di primo grado, rideterminando le pene inflitte agli appellanti – avevano ritenuto gli imputati colpevoli per il reato di ricettazione di farmaci dopanti, ritenuta l’ipotesi lieve. I procuratori degli imputati eccepivano l’erronea interpretazione dell’art. 648 c.p. sia per assenza del fine di lucro che per assenza del delitto presupposto, la mancata consapevolezza della provenienza illecita dei medicinali dopanti e l’assenza di profitto nell’acquisto di sostanze dopanti per mero piacere narcisistico.  Eccepivano, altresì, la sussistenza di un rapporto di specialità tra l’art. 9 L. 376/2000 e l’art. 648 c.p. con l’applicazione al caso concreto della legge speciale. La Suprema Corte di Cassazione, ritenendo in parte fondate le eccezioni sollevate dai ricorrenti, assolveva gli imputati per insussistenza del fatto. Il fine perseguito dai ricorrenti era quello di modificare il proprio aspetto fisico con l’uso di sostanze dopanti senza perseguire alcun profitto di natura sportiva mediante la partecipazione a competizioni o manifestazioni di vario genere. Ne derivava un’utilità meramente negativa, ledendo esclusivamente la propria sfera soggettiva e conseguentemente l’assenza di un profitto.

QUANDO PALPEGGIARE IL SEDERE DI UNA COLLEGA DIVENTA VIOLENZA SESSUALE.


Articolo del dott. Daniele Tuorto.

Rif:  Cassazione Penale, Sez. III,  20 dicembre 2012 n. 49459 

Con la recente sentenza, in epigrafe richiamata, la Suprema Corte torna a statuire in tema di violenza sessuale, allineandosi ad un orientamento sempre più granitico: anche il mero palpeggiamento del sedere integra il reato di cui all’art. 609 c.p.
Nei fatti di causa, un uomo è stato ritenuto colpevole prima dal Tribunale di Como poi dalla Corte di Appello di Milano del reato di violenza sessuale (nella forma continuata di cui all’art. 81 cpv  poiché l’episodio si è verificato in due occasioni) per aver compiuto atti sessuali su una sua collega, consistiti proprio nel palpeggiamento del sedere di quest’ultima.
Ricorre per Cassazione l’imputato sostenendo, in particolare, oltre ad altri motivi di natura squisitamente procedurale, come la condotta posta in essere dallo stesso non fosse idonea a concretizzare il reato ascrittogli, trattandosi al più di comportamenti volgari, privi comunque della necessaria connotazione di “atti sessuali”.
Non sono di questo avviso gli ermellini. Richiamando numerosi precedenti conformi (ex plur. si ricorda Cass. Pen., Sez. III, 18 ottobre 2005 n. 44246 e Cass. Pen., Sez. III, 02 luglio 2004 n. 37395) la Corte di legittimità afferma come il palpeggiamento del sedere, posto in essere con atto repentino e comunque in una situazione in cui la vittima non ha la possibilità di sottrarsi alla condotta posta in essere dall'aggressore, integra il reato di violenza sessuale.

La Cassazione in tema di accertamento della idoneità delle emissioni sonore rumorose.


CASSAZIONE PENALE – Sez. I  – 4 dicembre 2012 n. 1787 – Pres. Chieffi – Est. Tardio –  (dichiara inammissibilità ricorso)

Contravvenzioni – Disturbo del riposo o delle occupazioni – Idoneità emissioni rumorose.
In tema di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone di cui al co. 1 art. 659 c.p., è necessario che le emissioni sonore rumorose siano potenzialmente idonee a disturbare il riposo o le occupazioni di un numero indeterminato di persone, non occorrendo l’effettivo disturbo alle stesse; pertanto, è sufficiente che anche solo una di esse si sia lamentata.

Contravvenzioni – Disturbo del riposo o delle occupazioni – Accertamento – Idoneità emissioni rumorose – Non necessità perizia tecnica – Soglia normale tollerabilità.
Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 659, co. 1 c.p., l’attitudine delle emissioni sonore a disturbare il riposo o le occupazione delle persone non deve essere necessariamente accertata mediante perizia o consulenza tecnica fonometrica; pertanto il giudice può fondare la decisione su altri elementi probatori acquisiti agli atti, dai quali risulti che, per le modalità d’uso e di propagazione, la fonte sonora emetta rumori di intensità tale da superare la soglia di normale tollerabilità riferita alla media delle persone che vivono nell’ambiente in cui avvengono le emissioni rumorose.

Contravvenzioni – Disturbo del riposo o delle occupazioni – Accertamento – Criteri di valutazione – Intollerabilità emissioni sonore – Limiti legali – Attività rumorose – Soglia normale tollerabilità – Attività non rumorose.
Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 659 co. 1 c.p., non rilevano i limiti legali di rumorosità delle emissioni sonore, poiché questi sono fissati esclusivamente per le attività professionali, commerciali o imprenditoriali rumorose di per sé, tra cui non rientra la gestione di un locale bar discoteca, che, se esercitata con il doveroso rispetto, non è attività rumorosa, per la quale, pertanto, si deve fare riferimento a criteri di normale sensibilità e tollerabilità in un determinato contesto socio-ambientale ai fini della valutazione della intollerabilità delle emissioni sonore.

Commento del dott. Lorenzo Bonomi

La sentenza in commento sembra riunire in un’unica decisione tutte le determinazioni assunte precedentemente dalla Corte di Cassazione in tema di accertamento della idoneità delle emissioni sonore rumorose richiamate dall’art. 659 co. 1 c.p.. Lo spunto viene da una vicenda per la quale era stato sottoposto a procedimento penale il gestore di un bar-discoteca, a seguito di numerose segnalazioni e esposti da parte degli abitanti nei dintorni di detta attività commerciale, i quali lamentavano il fatto che, nelle ore di apertura notturna del locale, da questo provenivano rumori intollerabili dovuti all’alto volume della musica.
Chiamata a decidere sulla correttezza della decisione del Tribunale che aveva condannato il ricorrente, la Corte di Cassazione ha colto l’occasione per ribadire ancora una volta alcuni principi fondamentali, oramai cristallizzati in numerose decisioni conformi, che attengono proprio all’accertamento della rumorosità delle emissioni sonore, differenziando, tra l’altro, tra la previsione di cui al primo comma e quella del secondo comma.    

La Cassazione in tema di misure cautelari personali.


CASSAZIONE PENALE – Sez. VI – 23 novembre 2012 n. 1750 – Pres. Serpico – Est. Fidelbo – (annulla con rinvio Trib. Salerno 13 giugno 2012)

Libertà personale – Misure cautelari personali – Motivazione – Sussistenza esigenze cautelari – Delitti contro la P.A. – Cessazione rapporto di lavoro del reo.
Nei reati contro la P.A. commessi da funzionari o impiegati pubblici, ai fini dell’applicazione di misure cautelari personali, il giudice può ritenere sussistente il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie anche quando sia cessato o sospeso il rapporto di lavoro del reo con la P.A., dovendo, però, in tal caso, fornire adeguata motivazione con riferimento alle circostanze di fatto che lo inducono a ritenere che il reo potrà tenere condotte criminose analoghe a quelle per le quali è sottoposto a procedimento penale, anche se nella vesta di soggetto estraneo alla P.A..

Commento del dott. Lorenzo Bonomi

La sentenza in commento si inserisce nel solco già tracciato da precedenti decisioni della Corte di Cassazione[1] relative alla possibilità di ritenere sussistenti le esigenze cautelari di cui all’art. 274 lett. c) c.p.p. nel caso in cui il reo, indagato o imputato per un delitto contro la P.A., commesso in pendenza del rapporto di lavoro con la P.A. medesima, non sia più alle dipendenze di questa.
La motivazione assunta dalla Corte di Cassazione sembra essere estremamente semplice e si ancora alla dizione della lettera c) della norma procedurale in precedenza richiamata, il cui incipit è il seguente: “quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta ad indagini o dell’imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali […]”.

La Cassazione sulla legittimazione attiva dell'imputato all'impugnazione del proscioglimento.

CASSAZIONE PENALE – Sez. V – 7 gennaio 2013 n. 240 – Pres. Teresi – Est. De Marzo –
Falsità in atti – proscioglimento – impugnazione – legittimazione attiva – imputato.
Il capo della sentenza relativo alla declaratoria di falsità è appellabile dall’imputato anche in caso di proscioglimento, posto che l’art. 537, comma 3, cod. proc. pen., istituisce una regola speciale rispetto a quella dettata dall’art. 593, comma 2, cod. proc. pen..

Commento del dott. Filippo Camela

La comprensione della vicenda da cui trae origine la pronuncia della Suprema Corte impone una breve disamina del matrimonio concordatario, disciplinato dal diritto canonico e con effetti anche civili (una volta adempiuto l’onere di trascrizione nel registro degli atti dello stato civile italiano), contratto in pericolo di vita. L’atto su cui si fonda il matrimonio è “il consenso delle parti manifestato legittimamente tra persone giuridicamente abili; esso non può essere supplito da nessuna potestà umana” (can. 1057, §1). La Chiesa, tuttavia, concede la possibilità di sposarsi in articulo mortis in presenza di un concreto e reale pericolo di decesso di uno dei contraenti. Al riguardo, il can. 1079 dispone che in urgente pericolo di morte “l'Ordinario del luogo può dispensare i propri sudditi, dovunque dimorino, e quanti vivono attualmente nel suo territorio, sia dalla osservanza della forma prescritta per la celebrazione del matrimonio, sia da tutti e singoli gli

La Cassazione sui rapporti tra il reato di falso e il reato di turbata libertà degli incanti.


CASSAZIONE PENALE – Sez. VI – 3 gennaio 2013 n. 118 – Pres. Agrò – Est. Di Salvo – (Cassa Corte d’Appello di Caltanissetta)
Turbata libertà degli incanti – Tentativo – Fotocopia falsa in luogo dell’originale – inidoneità.
Non integra il tentativo del delitto di turbata libertà degli incanti la condotta di colui che presenta, all’atto di iscrizione ad una gara pubblica, una fotocopia, seppur alterata, contenente l’affermazione del possesso dei requisiti richiesti dal bando qualora venga richiesta la presentazione della documentazione in originale; pertanto, l’esibizione di una copia falsa, in luogo di quella originale prescritta, è inidonea ad arrecare una effettiva ed apprezzabile turbativa alla gara.

Falso del privato in atto pubblico – Turbata libertà degli incanti – Rapporti.
Il delitto di falsità ideologica commesso dal privato in atto pubblico, integrato dalla falsa attestazione resa in dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, rappresenta un reato autonomo che si distingue per oggettività giuridica e per modalità di esplicazione della condotta da quello di cui agli artt. 56 e 353 c.p.

Commento del dott. Filippo Camela

La vicenda da cui muove la problematica giuridica de qua origina dalla condotta di un legale  rappresentante di una società il quale, all’atto di iscrizione di una gara di appalto per la fornitura di apparecchiatura di radioterapia e del relativo servizio, attestava falsamente, con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, che la società possedeva la necessaria capacità economica e finanziaria richiesta dal bando. A comprovare quanto affermato, veniva presentata una copia, apparentemente autentica ma in realtà contraffatta, di una dichiarazione rilasciata da una banca.

Il delitto di diffamazione: bilanciamento tra esercizio del diritto e tutela dell’onore.


CASSAZIONE PENALE –  Sez. V – 8 Gennaio 2013 n.745 – Pres. Grassi – Est. Bevere – (Annulla senza rinvio Corte d’Appello Roma, 20 luglio 2011, n. 9228/2008).
Diffamazione – Espressione “ex picchiatore fascista” – Riscontro dati storici – Antigiuridicità – Esclusione.
L’espressione “ex picchiatore fascista”, pur evidenziando, con la preposizione “ex”, un dato del passato ha indubbiamente una connotazione negativa, perché evocativa del vissuto di una persona che andava in piazza, disponibile non solo a manifestare il proprio pensiero, a confrontare le proprie idee e a verificare la loro capacità persuasiva verso il dissidente, ma anche a manifestare la propria forza fisica e a verificare la sua capacità persuasiva, nel previsto e realizzato contatto diretto, verso il dissidente medesimo; se tale espressione però si basa su incontestabili dati storici, questi ultimi conducono necessariamente alla rimozione dell'antigiuridicità della sintetica definizione compiuta nei confronti del loro protagonista, sia in riferimento al requisito della verità, sia in riferimento al requisito della continenza.

Diffamazione – Esercizio diritto di critica – Scriminante – Condizioni – Continenza – Significato.
Continenza significa “proporzione”, “misura”, e continenti sono quei termini che non hanno equivalenti e non sono sproporzionati ai fini del concetto da esprimere in un civile rapporto dialogico e dialettico; la continenza formale non equivale a obbligo di utilizzare un linguaggio grigio e anodino, ma consente il ricorso a parole sferzanti, nella misura in cui siano correlate al livello della polemica, ai fatti narrati e rievocati.

Commento dell' avv. Mirella Pocino 

La sentenza in commento si inserisce nell’alveo di quel filone giurisprudenziale volto all’analisi e alla delimitazione dei rapporti tra l’esercizio del diritto di critica ex art. 51 c.p. ed il reato di diffamazione ex art. 595 c.p.
Nel caso di specie l’imputato era stato condannato per il reato di diffamazione ex art 595, comma III, c.p. per avere offeso la reputazione del danneggiato definendolo “ex picchiatore fascista”, condotta posta in essere a mezzo di una comunicazione informatica su un sito web. Di contro, la Suprema Corte ha ritenuto di non confermare la sentenza della Corte di Appello di Roma in quanto non ha ravvisato la sussistenza dell’esercizio antigiuridico del diritto di informazione, del quale il diritto di critica costituisce una specifica dimensione, nei confronti dell’imputato il quale, benché sia ricorso all’utilizzo di espressioni non gratificanti ma pienamente correlate e proporzionate al tema e al livello della polemica, ha descritto un dato storico in maniera ineccepibile.

La Cassazione sul reato di maltrattamenti in famiglia.


CORTE DI CASSAZIONE – Sez. VI – 4 dicembre 2012, n. 46848 – Pres. Agrò – Est. Aprile.
Maltrattamenti in famiglia – Abitualità – Morte – Aggravante – Causalità – Interruzione – Concorso di reati.
La circostanza aggravante di cui all’art. 572 co. 3 cod. pen. opera quando l’evento ulteriore non voluto (nel caso specifico: morte della vittima) sia legato al delitto base dal nesso eziologico, a nulla valendo che i maltrattamenti non siano l’unica causa del decesso, stante il principio dell’equivalenza delle condizioni, ex art. 41 c.p.; altresì, il giudice dovrà accuratamente valutare che il fatto produttivo dell’evento più grave sia effettivamente riportabile nel sistema vessatorio che compone il reato abituale, dovendosi, al contrario, ammettere un’assenza di nesso causale tra quest’ultimo e l’ulteriore evento non voluto, con conseguente sussistenza di due distinte condotte illecite e, dunque, di un concorso materiale di reati.

Commento del dott. Filippo Lombardi.

1. Cenni sul delitto di maltrattamenti in famiglia.
L’articolo 572 del codice penale sanziona il delitto di maltrattamenti in famiglia, inserito tra i delitti contro l’assistenza familiare[1]. Compie questo reato colui il quale maltratta propri familiari, conviventi, o persone che ricadono sotto la propria tutela, la propria cura, custodia o sorveglianza,  ai fini educativi o professionali. 
Si nota, dunque, che l’ambito operativo della norma afferisce ad un concetto allargato di famiglia, poiché si ha riguardo non solo alla famiglia legittima e ad altri fenomeni di convivenza non suffragati dal negozio matrimoniale, ma anche a gruppi di persone che, per i motivi indicati dal testo della norma, si ritrovano a svolgere assieme attività o ad avere rapporti segnati da un carattere di continuità, contestualità e unità, e fondati sulla reciproca assistenza. La convivenza, d’altra parte, non è ritenuta imprescindibile dalla

IL RISCHIO CONSENTITO NELL’ATTIVITA’ SPORTIVA


Articolo del dott. Filippo Lombardi.

Sommario:  1. La scriminante del rischio consentito. Dal momento genetico e fisiologico al momento patologico. 2. Cass. pen. 19473/2005 in tema di illecito sportivo e rischio consentito. Il momento patologico della scriminante tacita. 3. La Cassazione con la sentenza 7536/2013 conferma i consolidati orientamenti, con alcune precisazioni.

1. La scriminante del rischio consentito. Dal momento genetico e fisiologico al momento patologico.
Una questione sempre attuale è rappresentata dalla qualificazione e dai criteri operativi che reggono la “scriminante” del rischio consentito in ambito sportivo.
Gli sport si dividono in due tipologie: quelli “a violenza necessaria” (es. gli sport da combattimento come la boxe) e quelli “a violenza eventuale” (es. il calcio, la pallacanestro), in cui il comportamento dei partecipanti non è schiettamente finalizzato al contatto fisico, ma questo può verificarsi secondo l’id quod plerumque accidit. E’, in altri termini, probabile che accada.
La tematica rivela dunque un punctum pruriens, relativo alla doverosità dell’intervento sanzionatorio di tipo penale nel momento in cui un evento penalmente rilevante si verifichi durante la pratica dello sport di riferimento.

La causalità penale. Focus sulla teoria condizionalistica e sugli approdi giurisprudenziali in ordine all’accertamento del nesso causale.


CASSAZIONE PENALE – Sez. IV – 14 gennaio 2013 n. 1716 – Pres. Sirena – Est. Romis – (Cassa Corte di Appello di Milano)
Responsabilità professionale medica – Reati omissivi impropri – Colpa.
In tema di responsabilità professionale medica, nel caso in cui il sanitario si trovi di fronte ad una sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale, la condotta è colposa quando non vi si proceda, mantenendosi nell'erronea posizione diagnostica iniziale. E ciò vale non soltanto per le situazioni in cui la necessità della diagnosi differenziale sia già in atto, ma anche quando è prospettabile che vi si debba ricorrere nell'immediato futuro a seguito di una prevedibile modificazione del quadro o della significatività del perdurare del quadro già esistente.

Nesso di causalità – Certezza processuale – Accertamento.
L’esistenza del nesso causale deve essere accertata in termini di certezza processuale la quale non può non essere individuata se non con l’utilizzo degli strumenti di cui il giudice dispone per le sue valutazioni probatorie; pertanto, la certezza intesa in questa accezione deve essere raggiunta attraverso la valutazione di tutte le circostanze del caso concreto sottoposte all’esame del magistrato secondo un procedimento logico che consenta di poter ricollegare un evento ad una condotta omissiva “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Commento del dott. Filippo Camela

Sommario: 1. Considerazioni introduttive sul tema della causalità. 2. La teoria condizionalistica. 3. I rilievi critici alla teoria della condicio sine qua non. 4. Superamento delle critiche e integrazione della teoria condizionalistica con il criterio della sussunzione sotto leggi scientifiche. 5. L’evoluzione della giurisprudenza di legittimità sul coefficiente di probabilità: la rivoluzione copernicana operata dalla sentenza Franzese. 6. L’accertamento del nesso di causalità nei reati omissivi colposi. 7. Conclusioni.

1. Considerazioni introduttive sul tema della causalità
La causalità penale rappresenta un elemento costitutivo del reato in tutte quelle fattispecie incriminatici che prevedono un evento naturalistico (ad esempio, “la morte di un uomo” nel delitto di omicidio). Essa, in particolare, individua il nesso (dal latino nectere, cioè legare) che lega la condotta, quale atto umano (dal latino ago agere, cioè elemento agente, fatto causante), e l’evento (dal latino evenire, quel che vien fuori). Tale collegamento consente, nell’ambito di un diritto penale ispirato ai principi di materialità (art. 25, comma 2, Cost.) e di personalità della responsabilità penale (art. 27, comma 1, Cost.), l’imputazione di un evento lesivo al soggetto che ha contribuito, con la propria condotta, alla verificazione del risultato dannoso. Il rapporto di causalità, dunque, funge da criterio di imputazione oggettiva del fatto all’agente.

CONCUSSIONE: PRIMA PRONUNCIA DELLA SUPREMA CORTE A SEGUITO DELL'ENTRATA IN VIGORE DELLA L. 190/2012.


CASSAZIONE PENALE – Sez. III – 10 gennaio 2013 n. 3251 – Pres. Agrò – Rel. Paternò Raddusa - (Annulla con rinvio App. Roma 9 febbraio 2012 n. 1240).
Concussione – Modifica legislativa -  Legge 6 novembre 2012 n. 190 – Nuova fattispecie – Continuità normativa – Sussistenza
A seguito dell’entrata in vigore della Legge 6 novembre 2012 n. 190, sussiste continuità normativa tra la versione previgente dell’art. 317 e i nuovi reati di cui agli articoli 317 e 319-quater c.p., perché tali norme rappresentano una scissione delle condotte già contenute nella versione precedente dell’art. 317 c.p.; il primo reato si realizza mediante l’esercizio di violenza morale sulla persona offesa, con prospettazione di un danno ingiusto subordinatamente alla mancata sottoposizione del privato alla volontà lucrativa del p.u., mentre il secondo si realizza mediante la prospettazione di conseguenze sfavorevoli, derivanti dalla ordinaria applicazione della legge (dunque: un danno “giusto”), tali da indurre il privato a procedere al versamento di denaro o alla realizzazione di un’altra utilità in favore del Pubblico Ufficiale.

 Commento del dott. Cristian Buttazzoni.

1. Introduzione.
La Cassazione, con la pronuncia in commento, fornisce le prime definizioni in tema di concussione a seguito della riforma, entrata in vigore con la Legge 190 del 6 novembre 2012. In particolare, la pronuncia in esame si concentra sulla riforma del delitto di concussione che trova ora collocazione in due distinte norme:  l'art. 317 c.p. e l’articolo 319-quater c.p.
Il primo disciplina la fattispecie di concussione, che si estrinseca in un'attività di costrizione esercitata dal Pubblico Ufficiale al fine di procurarsi indebitamente denaro o altra utilità, mentre la seconda fattispecie criminosa si caratterizza per l'attività del Pubblico Ufficiale il quale induca il privato a trasferirgli denaro o altra utilità, con abuso della propria qualità o di propri poteri.

LA CASSAZIONE TRACCIA I CONFINI TRA TRUFFA E INSOLVENZA FRAUDOLENTA.


CASSAZIONE PENALE – Sez. II – 10 gennaio 2013 n. 3169 – Pres. Cammino – Rel. Gallo –  (Conferma App. Trieste Sezione II 20 dicembre 2011)
Truffa – Artifizi e raggiri – Rilascio di assegno su conto corrente inesistente – Inapplicabilità del reato di insolvenza fraudolenta
Integra il reato di truffa, in luogo dell’insolvenza fraudolenta, il rilascio di un assegno tratto sul conto corrente di una società fallita per il pagamento di merce, perché inesistente; viceversa, il versamento di un assegno privo di fondi integrerebbe la diversa ipotesi di insolvenza fraudolenta.


Commento del Dott. Cristian Buttazzoni

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha delineato l'ambito di applicazione tra la truffa e l'insolvenza fraudolenta. Si tratta di due reati contro il patrimonio che rientrano nella categoria dei delitti di cooperazione con la vittima, così come accade anche per la frode in assicurazione o la circonvenzione di persone incapaci; entrambi i reati tutelano il patrimonio della vittima, o più precisamente la libertà di determinazione di quest'ultima in campo patrimoniale. Il soggetto passivo, infatti, si vede indotto a porre in essere un atto dispositivo del proprio patrimonio ovvero, nel caso dell'insolvenza fraudolenta a contrarre un'obbligazione con la certezza che l'altra parte adempia alla propria controprestazione.
Il primo reato si caratterizza, come noto, per la presenza di un'attività caratterizzata da artifizi e raggiri, al fine di conseguire un profitto con conseguente danno per la vittima del reato. Nel dettaglio, il termine "artifizi" sta a indicare la costruzione di una messa in scena totalmente inventata capace di indurre il soggetto passivo a credere che essa sia vera, mentre il termine "raggiri" sta a indicare la costruzione, attraverso l'uso di parole o argomenti di una situazione falsa. La Giurisprudenza ha ampliato il concetto di artificio, ritenendo utile a tali fini anche la simulazione o dissimulazione o qualsiasi espediente subdolo posto in essere per indurre taluno in errore (Cass. 12 dicembre 1983, Barberini).

giovedì 7 marzo 2013

Risultati in percentuale esame avvocato 2012/2013: prime indiscrezioni!


Care/i ragazze/i,
come ogni anno raccolgo e vi comunico le prime indiscrezioni (da prendere con le pinze, anche se lo scorso anno si sono avvicinate moltissimo alla realtà dei risultati) sulle percentuali di promossi presso le varie Corti d’Appello che correggono le prove scritte degli esami d’avvocato.

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Cagliari corretta da Genova 30-33%
Lecce corretta da Catania 35-40%
Catania corretta da Palermo 30%
Bari corretta da Bologna 25-30%
Napoli corretta da Roma 20-25%
Roma corretta da Milano 20-22%
Firenze corretta da Catanzaro 30-35%
Reggio Calabria corretta da Cagliari 30%
L’Aquila corretta da Reggio 27-30%
Potenza corretta da Perugia 25%
Messina corretta da Campobasso 36%
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Trieste corretta da Potenza 40%
Caltanissetta corretta da Trento 33%
Palermo corretta da Salerno 40%
Venezia corretta da Torino 30%
Torino corretta da Venezia 32%

Vi ribadisco che si tratta di semplici indiscrezioni e di considerarle in quanto tali.


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