giovedì 31 marzo 2016

Risultati in percentuale esame avvocato 2015/2016: prime indiscrezioni!

Care/i ragazze/i,
mancano ormai un paio di settimane alla pubblicazione dei risultati degli scritti dell'esame d'avvocato 2016!!! 
Come ogni anno, raccogliendo i rumors che circolano su internet (e non solo) e raffrontando i risultati dei precedenti anni, vi comunico le prime indiscrezioni (da prendere con le pinze, anche se lo scorso anno si sono avvicinate moltissimo alla realtà dei risultati) sulle percentuali di promossi presso le varie Corti d’Appello che correggono le prove scritte degli esami d’avvocato.

Per conoscere le indiscrezioni sulle altre Corti d'Appello e per essere i primi a ricevere la comunicazione dei risultati CLICCATE sul tasto MI PIACE  qui al lato --------->

Roma corretta da Napoli 38-40%
Napoli corretta da Milano 25%  Clicca qui!!
Milano corretta da Roma 35%
Caltanissetta corretta da Trento 33%
Potenza corretta da Caltanissetta 40%
Trieste corretta da Potenza 40%
Perugia corretta da Genova 35-37%
Reggio Calabria corretta da Salerno 40-42%
Salerno corretta da Brescia 30%
Lecce corretta da Catania 40%
Bari corretta da Palermo 35%
Firenze corretta da Bari 42%
Bologna corretta da Venezia 33-35%
Torino corretta da Firenze 37%
Venezia corretta da Catanzaro 40%
Catania corretta da Torino 30%
Cagliari corretta da Potenza 38%
L'Aquila corretta da Cagliari 33%
Catanzaro corretta da Bologna 28-30%

Aggiornati al 10 giugno 2016




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venerdì 18 marzo 2016

SOLUZIONE PARERE SUCCESSIONE DI LEGGI PENALI NEL TEMPO, GIUDICATO E NORME EXTRAPENALI.

SOLUZIONE PARERE SUCCESSIONE DI LEGGI PENALI NEL TEMPO, GIUDICATO E NORME EXTRAPENALI.

Fatto
RILEVATO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 13/07/2010 il Tribunale di Caltanissetta giudicava C.D., A.G., M. G., C.A., I.M., Am. F. e altri imputati, per i reati loro rispettivamente ascritti.
Per effetto di tale sentenza, l'imputato C.D. veniva condannato alla pena di anni sei, mesi dieci di reclusione e 111.000,00 Euro di multa, per i delitti di cui ai capi B), C), D), E), F) e H) della rubrica, unificati sotto il vincolo della continuazione.
L'imputato Am.Fr. veniva condannato alla pena di anni due di reclusione e 10.000,00 Euro di multa, per il delitto di cui al capo L).
L'imputato A.G. veniva condannato alla pena di anni sei, mesi due di reclusione e 100.500,00 Euro di multa, per i delitti di cui ai capi B) e C), unificati sotto il vincolo della continuazione.
L'imputato I.M. veniva condannato alla pena di anni sei di reclusione e 100.000,00 Euro di multa, per il delitto di cui al capo I).
L'imputato M.G. veniva condannato alla pena di anni sei, mesi due di reclusione e 100.500,00 Euro di multa, per i delitti di cui ai capi B) e C), unificati sotto il vincolo della continuazione.
Venivano, infine, emesse ulteriori statuizioni processuali nei confronti di soggetti estranei al presente procedimento.
1.1. Nella sentenza, si evidenziava che le indagini avevano avuto origine da complessi servizi di intercettazione, che consentivano di accertare l'esistenza di un'articolata rete soggettiva, finalizzata a favorire l'ingresso illegale di cittadini provenienti dall'Europa orientale e a trovare loro una sistemazione per rimanere nel nostro Paese, destinandoli ad attività lavorative in nero o a convivenze more uxorio con cittadini italiani.
In questa cornice, si delineavano le modalità con cui si svolgevano le attività delittuose contestate agli imputati, evidenziando che per l'erogazione di tali prestazioni illecite veniva pattuito un corrispettivo variabile, pagato dal cliente e successivamente trattenuto dal primo stipendio spettante al cittadino extracomunitario.
Quanto agli elementi probatori acquisiti nei confronti degli imputati, è possibile riassumerli con le modalità, qui di seguito, richiamate.
Per gli addebiti elevati ai capi B) e C), si faceva riferimento ai servizi di osservazione svolti dalla polizia giudiziaria, alle dichiarazioni di B.G.M. e ai colloqui telefonici captati tra gli imputati e altri soggetti.
Per gli addebiti elevati ai capi D), E), F) e H), si faceva riferimento alle dichiarazioni delle persone offese, alle verifiche investigative eseguite presso il ristorante del C. e alle intercettazioni telefoniche captate nell'arco temporale compreso tra il 18/05/2003 e l'01/09/2003.
Per gli addebiti elevati al capo I), si faceva riferimento ai servizi di osservazione della polizia giudiziaria e alle conversazioni telefoniche intercettate il 16/05/2003 e il 17/07/2003.
Per gli addebiti elevati al capo L), si faceva riferimento ai servizi di osservazione della polizia giudiziaria e alle conversazioni telefoniche intercettate nell'arco temporale compreso tra il 07/05/2003 e l'01/09/2003.
2. Avverso tale sentenza proponevano appello gli imputati C. D., A.G., M.G., Am.Fr. e I.M., le cui posizioni sono transitate in questo procedimento penale.
Proponevano appello anche gli altri imputati, le cui posizioni non sono transitate in questo procedimento e non verranno esaminate.
2.1. La difesa del C., quanto ai reati di cui ai capi B), C), F) e H), chiedeva l'assoluzione dell'appellante per la scarsa significatività delle emergenze probatorie, eminentemente costituite da captazioni telefoniche e sommarie informazioni rese dalle persone offese.
Quanto ai reati contestati ai capi D) ed E), si contestava il giudizio di attendibilità delle persone offese escusse nel corso delle indagini preliminari, formulato dai giudici di primo grado.
2.2. La difesa del M., in via principale, ne chiedeva l'assoluzione dai reati ascrittigli, per l'assenza di prove che l'appellante si fosse mai recato all'estero, svolgendo l'attività di intermediazione contestata. Nè potevano essere valutate in questa direzione le intercettazioni telefoniche e le sommarie informazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari.
In via subordinata, si chiedeva il riconoscimento delle attenuanti generiche e la riduzione della pena al minimo edittale.
2.3. La difesa dell' A. chiedeva, in via principale, l'assoluzione dai reati ascrittigli, per l'assenza di prove che l'appellante avesse mai svolto l'attività di intermediazione illecita contestata. Tale attività, in ogni caso, doveva essere ricondotta all'ipotesi di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 7 ovvero all'ipotesi di cui al cit. decreto, art. 22, comma 12.
In via subordinata, la difesa dell' A. chiedeva il riconoscimento delle attenuanti generiche e la riduzione della pena al minimo edittale.
2.4. La difesa dell' Am. eccepiva preliminarmente la nullità della sentenza impugnata e del sottostante decreto di rinvio a giudizio per l'insufficienza e l'assoluta indeterminatezza dell'imputazione ascrittagli.
Nel merito degli addebiti, si chiedeva l'assoluzione dell'appellante, per l'assenza di prove che avesse mai svolto l'attività delittuosa contesta, essendosi limitato, con la sua agenzia, a indirizzare al lavoro cittadini stranieri contattati dopo il loro autonomo ingresso in Italia.
In via subordinata, la difesa dell' Am. chiedeva il riconoscimento delle attenuanti generiche e la riduzione della pena al minimo edittale.
2.5. La difesa dell' I. ne chiedeva, in via principale, l'assoluzione, per l'assenza di prove che avesse mai svolto l'attività delittuosa contesta, essendosi limitato ad assistere i cittadini stranieri in attesa di occupazione, senza averne preventivamente favorito l'ingresso nel territorio dello Stato.
In via subordinata, si chiedeva il riconoscimento delle attenuanti generiche e la riduzione della pena al minimo edittale.
2.6. Con sentenza emessa il 10/05/2012 la Corte di appello di Caltanissetta riformava la decisione impugnata nei confronti del C., limitatamente al reato di cui al capo D), per intervenuta prescrizione, che imponeva la rideterminazione della pena irrogata in anni sei, mesi otto e 100.800,00 Euro di multa.
Per il resto, la sentenza veniva confermata, non condividendosi le censure sollevate dagli appellanti.
3. Avvero la sentenza di appello ricorrevano per cassazione, con atti separati, gli imputati C.D., A.G., M.G., Am.Fr. e I.M..
3.1. La difesa dell'imputato C.D., rappresentata in giudizio dall'avv. Vincenzo Vitello, con atto depositato il 24/10/2012, eccepiva, quale primo motivo di ricorso, la violazione di legge ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 2 c.p..
Si deduceva, in tale ambito, che la corte territoriale avrebbe dovuto assolvere il ricorrente, perchè i reati contestatigli ai capi B), C), E) F) e H) erano stati commessi nei soli confronti di cittadini rumeni che, a far data dall'01/01/2007, non potevano più essere considerati cittadini extracomunitari, essendo la Romania entrata a far parte dell'Unione europea.
Quale secondo motivo di ricorso, innanzitutto, si eccepiva la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 192, 526 e 530 c.p.p., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1, 2, 3 bis, 3 ter e 5. Si eccepiva, inoltre, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza.
Quale terzo motivo di ricorso, innanzitutto, si eccepiva la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 62 bis e 133 c.p.. Si eccepiva, inoltre, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza.
In tale ambito, in particolare, si evidenziava che la corte territoriale non aveva reso alcuna motivazione in ordine alla richiesta di concessione delle attenuanti generiche, nonostante tale doglianza fosse stata espressamente sollevata nei motivi di appello.
3.2. La difesa dell'imputato A.G., rappresentata in giudizio dall'avv. Salvatore Pecoraro, con atto depositato il 29/12/2012, eccepiva, quale unico motivo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12.
Si deduceva, in particolare, che all' A., al capo B), veniva contestata l'aggravante di cui al cit. articolo, comma 3, per l'applicazione della quale era necessaria la contestuale ricorrenza delle ipotesi contestate alle lett. a) e c), insussistente nel caso in esame.
3.3. La difesa dell'imputato M.G., rappresentata in giudizio dall'avv. Salvatore Vitello, con atto depositato il 29/12/2012, quale primo motivo, eccepiva la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 2 c.p..
Si deduceva, in tale ambito, che la corte territoriale doveva assolvere l'imputato, atteso che i delitti contestati non erano previsti dalla legge come reato, essendo intervenuta una abolitio criminis che imponeva l'applicazione dell'art. 2 c.p., comma 4, atteso che le attività illecite contestate riguardavano esclusivamente soggetti di nazionalità rumena.
Quale secondo motivo di ricorso, innanzitutto, si eccepiva la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 192 e 526 c.p.p., art. 530 c.p.p., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1, 2, 3, 3 bis e 3 ter. Si eccepiva, inoltre, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
Si deduceva, in particolare, che la corte territoriale era pervenuta alla condanna dell'imputato, senza soffermarsi adeguatamente sul contenuto delle intercettazioni attivate nel corso delle indagini preliminari e sulle sommarie informazioni rese dalle persone offese che, resesi irreperibili, si sottraevano al contraddittorio.
Quale terzo motivo, innanzitutto, si eccepiva la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 62 bis e 133 c.p..
Si eccepiva, inoltre, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
Si deduceva, in particolare, che la corte territoriale non aveva reso alcuna motivazione sulla concessione delle attenuanti generiche, nonostante tale doglianza fosse stata espressamente sollevata con i motivi di appello.
3.4. La difesa dell'imputato Am.Fr., rappresentata in giudizio dall'avv. Carmine Bove, con atto depositato il 26/11/2012, quale primo motivo di ricorso, eccepiva la nullità del decreto che dispone il giudizio per indeterminatezza del capo di imputazione elevatogli al capo L), ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 429 e 552 c.p.p., con conseguente nullità degli atti processuali successivi.
Tale motivo era stato rigettato dai giudici di appello sulla base di una acritica recezione degli argomenti processuali sostenuti nella sentenza di primo grado, fondati sull'interpretazione sistematica degli artt. 429 e 552 c.p.p., che dovevano essere rivalutati.
Quale secondo motivo di ricorso, si eccepiva la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
Tali carenze motivazionali, in particolare, riguardavano le risultanze probatorie derivanti dalle intercettazioni telefoniche acquisite nel corso delle indagini preliminari, dalle quali non risultava il coinvolgimento dell' Am. nell'ipotesi delittuosa ascrittagli al capo L).
Quale terzo motivo, si eccepiva la violazione di legge, con riferimento al trattamento sanzionatorio, alla dosimetria della sanzione penale irrogata all' Am. e alla concessione della sospensione condizionale della pena, ai sensi dell'art. 163 c.p..
3.5. La difesa dell'imputato I.M., rappresentata in giudizio dall'avv. Antonio Di Cicco, con atto pervenuto l'01/08/2013, eccepiva due motivi di ricorso.
Si eccepiva, innanzitutto, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 3 e 3 bis.
Si eccepiva, inoltre, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 69 e 133 c.p..
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In via preliminare, deve rilevarsi che gli imputati C. D., A.G., M.G., Am.Fr.
e I.M. ricorrevano per cassazione, con atti depositati separatamente, i cui motivi di ricorso devono essere esaminati distintamente.
2. Prendendo le mosse dalla posizione di C.D., deve rilevarsi che con il ricorso depositato a mezzo del suo difensore di fiducia, il ricorrente eccepiva tre motivi.
2.1. Quale primo motivo di ricorso, la difesa del C. eccepiva la violazione di legge ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 2 c.p..
Si deduceva, in particolare, che la corte territoriale avrebbe dovuto assolvere il C., perchè i reati contestatigli erano stati commessi nei soli confronti di cittadini rumeni, i quali, a far data dall'01/01/2007, non potevano più essere considerati extracomunitari, essendo la Romania entrata a fare parte dell'Unione europea.
Ne discendeva che, nel caso di specie, si era verificata una successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, che imponeva alla corte territoriale l'assoluzione del C., facendo applicazione della previsione dell'art. 2 c.p., comma 4, in quanto i fatti delittuosi non erano più previsti dalla legge come reato.
Si deduceva, in tale ambito, riproponendo un motivo di censura già sollevato con i motivi di appello dello stesso difensore, che gli elementi probatori acquisiti nel corso del dibattimento non erano stati sottoposti a un vaglio processuale adeguato, che si imponeva tenuto conto delle discrasie ermeneutiche presenti nel giudizio di primo grado e rimaste insolute nella sentenza impugnata, il cui percorso argomentativo non consentiva di formulare un giudizio di responsabilità nei confronti del C..
Deve, invero, rilevarsi che l'assunto sul quale si fonda tale motivo di ricorso risulta, in punto di fatto, smentito dalle emergenze processuali, atteso che il riferimento esclusivo a cittadini di nazionalità rumena è esplicito per la sola ipotesi delittuosa contestata al C. al capo B), atteso che per le residue ipotesi - in cui non si fa nominativamente riferimento all'identità delle persone offese come nei capi C), E) F) e H) - si contesta genericamente al ricorrente di avere realizzato le condotte illecite che gli vengono attribuite nei confronti di cittadini stranieri.
Invero, tale questione ermeneutica, al contrario di quanto dedotto in ricorso, era stata affrontata e risolta correttamente nella sentenza impugnata, in conseguenza dei motivi di appello proposti, tra gli altri, dai ricorrenti A., M. e C.. Tali censure, in particolare, venivano risolte dalla corte territoriale in senso contrario ai motivi proposti, rilevando che l'adesione della Romania all'Unione europea non aveva comportato alcun mutamento del presupposto applicativo della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12 - costituito dalla condizione di cittadino straniero richiamata dal cit. decreto, art. 1 e rilevante in relazione all'adesione sopravvenuta di uno Stato all'Unione medesima - essendo rimasta inalterata la struttura del reato e il contenuto offensivo di tale norma penale.
A supporto di tale impostazione, si richiamava la giurisprudenza delle Sezioni unite, intervenuta proprio con riferimento al problema della nazionalità rumena dei soggetti entrati nel territorio italiano, rispetto al tema della successione di leggi penali nel tempo, secondo cui: "In tema di successione di leggi penali, la modificazione della norma extrapenale richiamata dalla disposizione incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso se tale norma è integratrice di quella penale oppure ha essa stessa efficacia retroattiva" (cfr. Sez. un., n. 2451 del 27/09/2007, dep. 16/01/2008, P.G. in proc. Magera, Rv. 238197).
Tale soluzione interpretativa, a sua volta, si poneva in sintonia con i principi precedentemente affermati dalle Sezioni unite in tema di successione di leggi penali, che escludevano la possibilità di accogliere la teoria della doppia punibilità in concreto, affermando che, per individuare il campo di applicazione dell'art. 2 c.p., comma 4, non ci si può limitare a considerare se il fatto, punito in base alla legge anteriore, sia sanzionato o meno, da quella posteriore. Ne conseguiva che l'indagine sugli effetti penali della successione di leggi extrapenali doveva essere condotta facendo riferimento alla fattispecie astratta e non al fatto concreto, occorrendo stabilire se la norma extrapenale modificata svolga, in collegamento con la disposizione incriminatrice, un ruolo tale da fare ritenere che, pur essendo questa rimasta immutata, la fattispecie risultante dal collegamento tra la norma penale e quella extrapenale sia cambiata e in parte non sia più prevista come reato (cfr. Sez. un., n. 25887 del 26/03/2003, dep. 16/06/2003, Giordano e altri, Rv. 224606).
Tale approdo interpretativo veniva ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che, con riferimento all'efficacia delle norme extrapenali integratrici del precetto penale conseguente alla sopravvenuta adesione di uno Stato all'Unione europea, osservava: "In tema di successione di leggi penali, l'adesione di uno Stato all'Unione europea non determina la non punibilità del delitto, commesso anteriormente alla data di entrata in vigore del Trattato di adesione, consistente nel compiere atti diretti a procurare l'ingresso nel territorio italiano dello straniero che sia cittadino di tale Stato" (cfr. Sez. 1, n. 10265 del 28/02/2008, dep. 06/03/2008, P.G. in proc. Cristofan, Rv. 239567).
Nel caso in esame, la corte territoriale, facendo una corretta applicazione dei principi di diritto che si sono richiamati, escludeva la sussistenza di un'ipotesi di abolitio criminis rilevante ai sensi dell'art. 2 c.p., comma 4, rigettando i motivi di appello, fondati su tale censura. La correttezza di tale impostazione ci viene confermata dal passaggio della sentenza in cui i giudici di appello, richiamando i più recenti approdi interpretativi di questa Corte, affermavano: "Non avendo i difensori inteso sviluppare alcun innovativo argomento idoneo a suscitare un sia pur minimo ripensamento in tema, non vi è dunque alcuna necessità di indugiare oltre modo sulle ragioni dell'infondatezza del comune motivo di doglianza in questione, bastando sul punto far integrale richiamo recettivo a quanto esplicitato nell'impugnata sentenza in ordine alla sicura punibilità come reato delle condotte di violazione di disposizioni del testo unico sull'immigrazione commesse in relazione a soggetti ora non più "stranieri" ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 1 ma tali al momento di compimento delle condotte incriminate" (cfr. Sez. 3, n. 15481 dell'11/01/2011, dep. 18/04/2011, Guttà e altri, Rv. 250119).
Tali considerazioni impongono di ritenere inammissibile il primo motivo del ricorso proposto da C.D..
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, si eccepiva la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 192, 526 e 530 c.p.p., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1, 2, 3 bis, 3 ter e 5, cui si ricollegava la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione. Tali doglianze devono essere esaminate congiuntamente, riguardando l'inidoneità degli elementi probatori acquisiti nel giudizio di primo grado a dimostrare la responsabilità penale del C., in relazione alle ipotesi delittuose contestategli ai capi B), C), E) F) e H) della rubrica.
Deve, in proposito, rilevarsi che il materiale probatorio esaminato dai giudici di appello si componeva di due differenti tipologie di prova, rappresentate, per un verso, dalle intercettazioni telefoniche acquisite nel corso delle indagini preliminari nei confronti del C., per altro verso, dalle dichiarazioni rese dai soggetti coinvolti nelle attività illecite svolte dal ricorrente. In tale secondo ambito probatorio, occorreva ulteriormente distinguere le dichiarazioni acquisite con riferimento alle ipotesi di reato ascritte all'imputato B), C), F) e H), da quelle ascritte all'imputato al capo E), risultando differente il materiale dichiarativo esaminato.
In questo contesto processuale, deve rilevarsi che le fonti di prova raccolte nel corso delle indagini preliminari venivano riscontrate nel corso dell'istruttoria dibattimentale, consentendo ai giudici di merito di esprimere, con un percorso argomentativo immune da censure processuali, un giudizio di responsabilità nei confronti del C..
In ordine alle intercettazioni telefoniche, in particolare, i giudici di merito effettuavano una ricostruzione puntuale del materiale probatorio raccolto, come ci viene dimostrato dalla disamina delle captazioni utili all'accertamento delle responsabilità dell'imputato, che consentivano di verificare l'elevata capacità criminale del C., che era in grado, in tempi rapidi e dietro corresponsione di somme di denaro, di procurare ai clienti manodopera straniera.
In questa direzione, secondo i giudici di appello, dovevano essere vagliate le conversazioni intercettate nell'arco temporale compreso tra il 18/05/2003 e l'01/09/2003, cui si faceva espressamente riferimento mediante appositi richiami testuali, nella parte dedicata alla posizione del C.. La gran parte di tali conversazioni telefoniche riguardava i rapporti illeciti intercorrenti tra il ricorrente, il M. e l' A. - cui, difatti, risultavano contestate in concorso le ipotesi di reato di cui ai capi B) e C) della rubrica - il cui contenuto, come riferito nella sentenza impugnata, era costantemente incentrato "sul reciproco scambio di informazioni in ordine alla "sistemazione" dei cittadini stranieri ed al conseguente guadagno".
Inoltre, l'univocità del materiale probatorio fondato sulle intercettazioni telefoniche nelle quali risultava coinvolto il C. veniva ulteriormente riscontrato dai servizi di osservazione svolti dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini preliminari, sui cui esiti incontroversi i giudici di appello si soffermavano con una ricostruzione esente da smagliature processuali. Si affermava, in tale ambito, che il quadro probatorio trovava puntuale conferma negli esiti dei servizi di osservazione eseguiti nel corso delle indagini preliminari dalla polizia giudiziaria, che riscontrava l'arrivo presso le stazioni di volta in volta individuate degli stranieri.
La linearità e la congruità dei passaggi argomentativi dedicati alle captazioni telefoniche acquisite nel corso delle indagini preliminari induce questa Corte a ritenere superfluo ogni ulteriore approfondimento sul contenuto di tali captazioni, peraltro ammissibile nei soli limiti prefigurati dalla giurisprudenza di legittimità, certamente irrilevanti nel caso di specie, secondo cui:
"In materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite" (cfr.
Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, dep. 21/08/2013, Vecchio e altri, Rv. 257784).
Occorre, in ultimo, vagliare il profilo conclusivo del motivo di ricorso in esame, secondo cui nella sentenza di appello non erano state prese in considerazione le giustificazioni addotte dal C., secondo cui dalle intercettazioni emergeva che l'imputato si limitava a offrire lavoro nel proprio ristorante a cittadini extracomunitari alle stesse condizioni salariali di cui beneficiavano i componenti del suo nucleo familiare. La conferma di tali giustificazioni derivava dalla stessa condotta dell'imputato che, nelle ipotesi in cui non poteva assumere i lavoratori stranieri alle sue dipendenze, segnalava loro eventuali datori di lavoro dove avrebbero potuto essere impiegati, senza trarre alcun profitto da tali segnalazioni.
Deve, invero, rilevarsi che tale ipotesi si pone in palese contrasto con le emergenze processuali, che fanno ritenere dimostrate - sulla base degli elementi probatori che si sono richiamati - le attività delittuose poste in essere dal C., con il fondamentale apporto dei suoi concorrenti, il cui coinvolgimento non può essere messo in discussione. Si trattava, quindi, di prendere in considerazione un'opzione alternativa a quella correttamente vagliata dai giudici di merito, in presenza di elementi probatori che consentivano di escluderne la veridicità e la fondatezza, con la conseguenza che, nel caso in esame, non era ragionevole attribuire alcun valore alla ricostruzione prospettata dal ricorrente, in presenza di fonti di prova che inducevano a escludere non solo la plausibilità, ma addirittura la verosimiglianza di una siffatta ricostruzione.
A ben vedere, un tale percorso argomentativo, oltre che illogico e processualmente incongruo, si sarebbe posto in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: "In tema di valutazione della prova, il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d'esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l'ipotesi all'apparenza più verosimile, ponendosi, in caso contrario, tale dato come mero indizio da valutare insieme con gli altri elementi risultanti dagli atti" (cfr. Sez. 6, n. 5905 del 29/11/2011, dep. 15/02/2012, Brancucci, Rv. 252066).
In questa cornice processuale, non possiamo comunque non rilevare che, anche su questo punto, la sentenza impugnata risulta immune da censure, come è desumibile dal passaggio della motivazione in cui si affermava: "Il timido tentativo di offrire una differente chiave di lettura del contenuto delle interlocuzioni (...) si è dunque scontrato con l'inconfutabile forza dimostrativa del contenuto dei discorsi affrontati e delle parole pronunciate dai suddetti imputati, i quali, con cadenza quasi quotidiana, hanno tenuto contatti, diretti o mediati, in Romania o in altri Paesi dell'est europeo al fine di reperire soggetti intenzionati a recarsi in Italia, si sono interessati per il viaggio di tali soggetti a volte anticipandone le spese, si sono preoccupati di andarli a prendere personalmente o tramite altri enti presso le stazioni di arrivo, hanno offerto loro ospitalità o cercato alloggi, si sono attivati per destinarli ad un'attività lavorativa ed hanno preteso un compenso per le prestazioni svolte".
Tali considerazioni impongono di ritenere inammissibile il secondo motivo del ricorso proposto da C.D..
2.3. Quale terzo motivo di ricorso, la difesa del C., innanzitutto, eccepiva la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 62 bis e 133 c.p.. Si eccepiva, inoltre, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
Si deduceva, in tale ambito, che il giudice di appello non aveva svolto alcuna motivazione in ordine alla richiesta di concessione delle attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., nonostante tale doglianza fosse stata specificamente sollevata con i motivi di appello proposti dalla difesa dell'imputato, con atto depositato il 17/02/2011.
Deve, in proposito, rilevarsi che la disamina delle sottostanti sentenze di merito, conformi sul punto del trattamento sanzionatorio irrogato al C., non consente di ritenere il provvedimento impugnato affetto da patologie processali idonee a inficiarne il contenuto dosimetrico, essendo il giudizio compiuto adeguato rispetto alla gravità dei fatti, il numero delle imputazioni elevate e il coinvolgimento di una pluralità di cittadini stranieri nelle attività illecite contestate al ricorrente. Sulla scorta di tali parametri, la cui valutazione processuale appare ineccepibile e fondata su un giudizio adeguato rispetto alla gravità dei fatti delittuosi, veniva irrogata al C. la pena di anni sei, mesi otto di reclusione e 100.800,00 Euro di multa, con cui si rideterminava la pena inflitta in primo grado, per effetto dell'intervenuta prescrizione del reato di cui al capo D).
Non risponde nemmeno al vero che il giudice di appello abbia omesso di motivare sulle circostanze generiche invocate dalla difesa del C., evidenziando che, nel caso di specie, era da escludere la ricorrenza delle "condizioni oggettive e soggettive giustificanti il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, stante la non trascurabile dimensione temporale del frenetico attivismo criminoso da loro dimostrato e risultando in atti del tutto impossibile rinvenire un qualche concreto valore positivo atto ad obliterare il negativo giudizio esprimibile in ordine alla loro personalità".
Si consideri, in ogni caso, che le attenuanti generiche rispondono alla funzione di adeguare la pena al caso concreto, nella globalità degli elementi oggettivi e soggettivi che lo connotano, sul presupposto del riconoscimento di situazioni riscontrate con riferimento alla posizione dell'imputato. La necessità di un giudizio che coinvolga tale posizione nel suo complesso - e che impediva la formulazione del giudizio di prevalenza richiesto dalla difesa del C. - è sintetizzata dal principio affermato da questa Corte, secondo cui: "Le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale "concessione" del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell'art. 133 c.p., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena" (cfr. Sez. 6, n. 2642 del 14/01/1999, dep. 25/02/1999, Catone, Rv. 12804).
Queste considerazioni inducono a ritenere inammissibile anche tale ultima doglianza difensiva.
3. Passando a considerare la posizione di A.G. deve rilevarsi che, con il ricorso depositato a mezzo del suo difensore di fiducia, il ricorrente eccepiva un unico motivo di ricorso.
3.1. Quale unico motivo di ricorso la difesa dell' A. eccepiva la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12.
Si deduceva, in particolare, che l'imputato veniva condannato per la commissione del reato di cui al capo B) della rubrica, contestato ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1, 3 bis e ter, senza tenere conto delle modifiche introdotte dalla L. 15 luglio 2009, n. 94.
Infatti, al capo B), veniva contestata l'aggravante di cui all'art. 12, comma 3 bis, per l'applicazione della quale, a seguito delle predette modifiche normative, era necessaria la contestuale ricorrenza delle ipotesi contestate alle lettere a) e c) della norma, insussistente nel caso di specie.
Ne derivava la necessità di escludere la circostanza aggravante prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3 bis, limitatamente a tale ipotesi di reato, nella sua attuale formulazione, conformemente al principio della successione di leggi penali favorevole al reo consacrato dall'art. 2 c.p., comma 4, con la conseguente rideterminazione della frazione di pena irrogata all' A. per il capo B).
Deve, invero, rilevarsi che il presupposto edittale dal quale muove la difesa del ricorrente risulta smentito dalle evidenze processuali, non tenendo conto che all' A., al capo B), veniva contestata anche l'ipotesi di reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3 ter, la cui applicazione prescinde dal fatto che, nella sentenza di primo grado, era stata ritenuta sussistente l'aggravante prevista dalla lettera a) ed esclusa quella di cui all'art. 12, comma 3, lett. c). Ne consegue che, nel caso di specie, la pena edittale irrogata all' A. doveva essere quantificata sulla base dei parametri edittali previsti dall'art. 12, comma 3 ter, lett. b), essendo i fatti contestati commessi "al fine di trarre un ingiusto profitto" - secondo quanto espressamente previsto in rubrica - che prevede la pena della reclusione da cinque a quindici anni e della multa di 15.000,00 Euro per ogni persona, prevista dall'art. 12, comma 3, ulteriormente aumentata da un terzo alla metà per la pena detentiva e della multa di 25.000,00 Euro per ogni persona.
Ne discende che, tenuto conto del fatto che all' A., nella sentenza di primo grado confermata sul punto dalla sentenza impugnata, veniva applicata una pena di anni sei, mesi due di reclusione e 105.000,00 Euro di multa, la sanzione irrogata risultava compresa nei parametri edittali previsti dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3 ter. Al ricorrente, dunque, veniva applicata una pena che teneva conto del fatto che il reato contestato al ricorrente al capo B) era stato commesso nelle condizioni circostanziali previste dall'art. 12, comma 3 ter, lett. b) - che prevede gli aumenti richiamati se i fatti cui ai commi 1 e 3 "sono commessi al fine di trarne profitto anche indiretto" - venendo conseguentemente contenuta entro i parametri edittali previsti per l'ipotesi di reato contestata.
Nel compiere tale verifica sul trattamento sanzionatorio irrogato all' A., infine, occorre rilevare la sentenza impugnata, sotto il profilo della verifica della sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3 ter, si sviluppava secondo un percorso argomentativo che deve ritenersi coerente e immune da censure, per come attestato dai passaggi motivazionali dedicati a tale profilo, che richiamano le conclusioni della sentenza di primo grado, componendo un corpo motivazionale unitario, coerente e privo di discrasie processuali (cfr. Sez. 1, n. 27106 del 16/06/2011, dep. 12/07/2011, Giurato, Rv.
250803).
Queste considerazioni impongono di ritenere inammissibile il ricorso proposto nell'interesse di A.G..
4. Per quanto riguarda la posizione di M.G. deve rilevarsi che, con il ricorso depositato a mezzo del suo difensore di fiducia, il ricorrente eccepiva tre motivi di ricorso.
4.1. Quale primo motivo, la difesa di M.G. eccepiva la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 2 c.p., comma 4.
Si deduceva, in particolare, che la corte territoriale avrebbe dovuto assolvere il M. perchè i fatti di reato che gli venivano contestati ai capi B) e C) della rubrica non erano previsti dalla legge come reato, essendo intervenuta una abolitio criminis, che imponeva l'applicazione dell'art. 2 c.p., comma 4, conseguente al fatto che tali attività illecite erano contestate esclusivamente in relazione a cittadini stranieri di nazionalità rumena.
Veniva, in tal modo, riproposta una questione già sollevata in appello e correttamente risolta nella sentenza impugnata, alla quale si è già fatto compiutamente riferimento al paragrafo 2.1, nell'esaminare il primo motivo di ricorso del C., cui occorre rinviare per l'integrale cognizione degli ragioni, che impongono la declaratoria di inammissibilità di tale motivo, conformemente alla giurisprudenza consolidata di questa Corte (cfr.
Sez. un., n. 2451 del 27/09/2007, dep. 16/01/2008, P.G. in proc. Magera, Rv. 238197).
Senza volere ripercorrere tali argomenti, occorre comunque ribadire, così come si è fatto con riferimento alla posizione del C., che il presupposto fattuale sul quale si fonda tale motivo di ricorso non è del tutto congruo, atteso che il richiamo ai cittadini rumeni è esplicito per il solo reato contestato al M. al capo B), atteso che per la residua ipotesi, elevata al capo C), si contestava all'imputato di avere realizzato tali condotte illecite nei confronti di cittadini stranieri.
Occorre, in ogni caso, ribadire che, come si è evidenziato nel paragrafo 2.1 di questa sentenza, la questione interpretativa sollevata dalla difesa del M., era stata risolta correttamente dalla corte territoriale, escludendo che l'adesione della Romania all'Unione europea aveva comportato alcun mutamento del presupposto applicativo della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12 (cfr. Sez. 3, n. 15481 dell'11/01/2011, dep. 18/04/2011, Guttà e altri, Rv. 250119).
Queste ragioni impongono di ritenere inammissibile il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di M.G..
4.2. Quale secondo motivo di ricorso, articolato in due differenti censure, si eccepiva la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 192, 526 e 530 c.p.p., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 1, 2, 3, 3 bis e 3 ter.
In tale ambito, altresì, si eccepiva la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
Si deduceva, in particolare, che la corte territoriale aveva condannato il M. sulla base di una parte delle intercettazioni attivate nel corso delle indagini preliminari e sulle sommarie informazioni rese da alcuni cittadini stranieri che, resisi irreperibili, si sottraevano al contraddittorio tra le parti processuali. Ne conseguiva che, pur dovendosi ammettere la possibilità che le dichiarazioni precedentemente acquisite, laddove divenute irripetibili, potessero essere utilizzate ai fini della decisione, le stesse dovevano essere valutate dal giudice di primo grado, secondo un cauto e prudente apprezzamento, di cui si doveva fornire un adeguato riscontro motivazionale che, nel caso di specie, non si ravvisava.
Deve, invero, rilevarsi che l'acquisizione, ai sensi degli artt. 512 e 512 bis c.p.p., delle sommarie informazioni testimoniali rese nel corso delle indagini preliminari riguarda solo una parte degli elementi probatori - di per sè non decisiva - ai fini della formulazione del giudizio di colpevolezza del M. per i capi B) e C) della rubrica.
Queste acquisizioni, indicate genericamente nel ricorso del M. senza riferimento ai singoli soggetti e alle modalità rituali dell'acquisizione, innanzitutto, avevano luogo all'udienza del 21/05/2008, nella quale, ai sensi dell'art. 512 c.p.p., venivano acquisite le sommarie informazioni testimoniali rese da D.C. A., G.A., N.D. e F. T.. In relazione a tale acquisizione, la lettura degli atti processuali consente a questa Corte l'affermazione di un giudizio di corretta valutazione dei presupposti applicativi dell'art. 512 c.p.p., conformemente ai parametri giurisprudenziali consolidati (cfr. Sez. 6, n. 2296 del 13/11/2013, dep. 20/01/2014, Frangiamore, Rv. 257771).
Tali acquisizioni, inoltre, avevano luogo all'udienza del 16/06/2009, nella quale, ai sensi dell'art. 512 c.p.p., venivano acquisite le sommarie informazioni rese da C.I.O. e E. I.B.; mentre, ai sensi dell'art. 512 bis c.p.p., venivano acquisite le sommarie informazioni rese da D.B., G. C.A. e M.S.. Anche in questo caso, il provvedimento che disponeva l'acquisizione di tali dichiarazioni era emesso in conformità dei parametri elaborati da questa Corte con riferimento agli artt. 512 e 512 bis c.p.p. (cfr. Sez. 2, n. 51410 del 18/09/2013, dep. 19/12/2013, Zappala e altro, Rv. 257975).
In entrambi i casi, l'acquisizione delle sommarie informazioni richiamate aveva luogo nel rispetto delle regole stabilite dagli artt. 512 e 512 bis c.p.p., sulle quali i giudici di merito si confrontavano adeguatamente, non lasciando spazio per ipotizzare una sopravvalutazione di tale materiale dichiarativo, tenuto conto del contenuto inequivocabile delle intercettazioni telefoniche acquisite nel corso delle indagini preliminari. Deve, in ogni caso, ribadirsi che tali dichiarazioni costituivano elementi di riscontro, rilevanti ma non indispensabili, rispetto al contenuto delle captazioni telefoniche, sulle quali, si fondava il giudizio di colpevolezza del M. per le ipotesi ascrittegli ai capi B) e C) della rubrica.
Si deduceva, inoltre, che dalle intercettazioni e dalle sommarie informazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari non erano emersi elementi sufficienti a supportare l'ipotesi accusatoria, secondo cui il M. aveva procurato l'ingresso illegale di cittadini stranieri nel territorio italiano o aveva comunque favorito la loro permanenza nel nostro Paese. Secondo la difesa, da tali elementi probatori, non emergeva che l'imputato si era recato in Romania a prelevare cittadini rumeni allo scopo di trasportarli in Italia, atteso che gli stranieri in questione entravano nel nostro Paese con un regolare visto turistico ovvero con un permesso di soggiorno rilasciato per motivi di lavoro.
Ne discendeva che il M. si limitava a portare i cittadini extracomunitari entrati regolarmente in Italia dal luogo di arrivo al luogo di lavoro precedentemente individuato attraverso canali estranei alla sua persona, ricevendo il solo pagamento del prezzo del loro trasporto, senza trarre ulteriori ingiustificati profitti.
Deve, in proposito, rilevarsi che tali argomenti risultano in contrasto con le emergenze processuali che consentono di affermare, in termini di certezza probatoria, il ruolo propulsivo del M. nella gestione dei cittadini stranieri che facevano ingresso nel territorio italiano, che venivano smistati dall'imputato - generalmente d'intesa con il C. e l' A. - sulla base di un meccanismo operativo consolidato nel tempo, come ci viene dimostrato dalle captazioni raccolte nel corso delle indagini preliminari.
Nemmeno è possibile ravvisare nel percorso argomentativo seguito dai giudici di appello alcuna discrasia motivatoria, essendosi vagliate accuratamente le conversazioni intercettate nel periodo compreso tra il 18/05/2003 e l'01/09/2003, cui si fa espressamente riferimento nella sentenza impugnata attraverso appositi richiami testuali, nella parte dedicata alla posizione del M.. Tali intercettazioni, eminentemente, riguardavano i rapporti intercorsi tra il C., il M. e l' A., nella valutazione dei quali, come riferito nell'impugnata sentenza, non si vede "in che termini concreti e sotto quali specifici profili si possa contestare l'avvenuto compimento da parte dei predetti, delle condotte criminose a loro ascritte ai capi B) e C) della rubrica, tanto più se si considera che il quadro probatorio risultante dalla svolta attività tecnica di captazione, già in sè chiaramente rappresentativo dell'esistenza di un consolidato rapporto di illecita collaborazione tra i predetti imputati ancorchè connotato da momenti di evidente antagonismo, ha trovato ulteriore conferma negli esiti dei diversi servizi di osservazione eseguiti dalla polizia giudiziaria presso le stazioni di arrivo dei cittadini stranieri".
Occorre, infine, ribadire, analogamente a quanto effettuato nel paragrafo 2.2, in relazione alla posizione del C., che la linearità e la congruità dei passaggi motivazionali dedicati alle captazioni telefoniche acquisite induce questa Corte a ritenere superflui ulteriori verifiche, anche alla luce dei parametri giurisprudenziali elaborati in materia (cfr. Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, dep. 21/08/2013, Vecchio e altri, Rv. 257784).
Queste ragioni impongono di ritenere inammissibile anche il secondo motivo del ricorso proposto da M.G..
4.3. Quale terzo motivo, anch'esso articolato in due diverse doglianze, si eccepiva la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 62 bis e 133 c.p., cui si collegava la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata.
Deve, invero, rilevarsi che l'esame delle sentenze di merito, conformi in ordine al trattamento sanzionatorio irrogato al M., non consente di ritenere il provvedimento impugnato inficiato da irregolarità dosimetriche, risultando il giudizio compiuto adeguato rispetto alla gravità dei fatti delittuosi contestati ai capi B) e C). Sulla scorta di tali parametri, sui quali ci si è già soffermati nel valutare la posizione del C. al paragrafo 2.3, cui si rinvia, la valutazione processuale risulta ineccepibile, comportando l'irrogazione al M. di una pena di anni sei, mesi due di reclusione e 100.500,00 Euro di multa.
Non risponde, inoltre, al vero che i giudici di secondo grado avevano omesso di rendere motivazione sulle circostanze generiche invocate dalla difesa del M., rilevando che, a fronte dell'elevata capacità a delinquere dell'imputato, doveva ritenersi ingiustificata "ogni riduzione dell'irrogato trattamento sanzionatorio, siccome determinato dai primi giudici in misura più che adeguata al complessivo disvalore penale delle contestate condotte criminose".
Occorre, infine, rilevare che, nel caso, di specie, è stata compiuta una corretta valutazione della posizione processuale del M. considerata nel suo complesso, conformemente ai parametri elaborati da questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 2642 del 14/01/1999, dep. 25/02/1999, Catone, Rv. 12804).
Queste considerazioni inducono a ritenere inammissibile anche il terzo motivo del ricorso proposto da M.G..
5. Passando a considerare la posizione di Am.Fr. deve rilevarsi che, con il ricorso depositato a mezzo del suo difensore di fiducia, il ricorrente eccepiva tre motivi di ricorso.
5.1. La difesa dell' Am., quale primo motivo, eccepiva l'inosservanza di norme processuali, determinante la nullità del decreto che dispone il giudizio per indeterminatezza del capo di imputazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 429 e 552 c.p.p., con conseguente nullità degli atti processuali consequenziali.
Tale motivo era stato già rigettato da entrambi i giudici di merito sulla base di argomenti condivisibili, non ritenendo che, nel caso di specie, l'imputazione elevata al capo L) all' Am. lasciasse spazio alcuno a incertezze sui fatti di reato che lo determinavano e che gli venivano contestati. Si evidenziava, in particolare, che tali considerazioni conseguivano al fatto che l'imputazione risultava enunciata in tutti i suoi elementi essenziali, tenuto conto della fattispecie ascritta all' Am., quale risultante non soltanto dalla contestazione formale, ma anche da tutti quegli atti processuali che avevano certamente posto l'imputato in condizione di conoscere in modo completo i suoi addebiti, conformemente ai parametri elaborati da questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 3407 del 16/12/2004, dep. 02/02/2005, Capozzi e altri, Rv. 231414).
Ne discende che occorre ribadire il giudizio di congruità rituale espresso dai giudici di merito in ordine all'imputazione elevata all' Am. al capo L), dovendosi ritenere pienamente condivisibile il giudizio espresso nella sentenza impugnata, secondo cui risultavano "sufficientemente indicati gli elementi storici essenziali dell'addebito a lui contestato ed a nulla rilevando, ai limitati fini in esame, la mancata individuazione dei referenti esteri dell'imputato, il preciso nominativo dei cittadini all'epoca extracomunitari introdotti illegalmente in Italia con l'ausilio dei di lui referenti esteri e l'esatta qualificazione della somma di denaro ricavata dallo stesso imputato".
Queste ragioni impongono di ritenere inammissibile il primo motivo del ricorso proposto da Am.Fr..
5.2. Quale secondo motivo di ricorso, si eccepiva la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), con particolare riferimento alle emergenze probatorie derivanti dalle intercettazioni telefoniche acquisite nel corso delle indagini preliminari.
Si deduceva, infatti, che nessuna intercettazione dimostrava l'esistenza di contatti diretti tra l' Am. e agenzie straniere, anche in considerazione delle dichiarazioni rese da Mi.Si., T.F., H.L.S., B.E. I. e P.G., che non era possibile utilizzare nella direzione probatoria recepita nelle due sentenze di merito.
In tale ambito, sul piano generale, con riferimento al materiale probatorio costituito dalle intercettazioni telefoniche acquisite nel corso delle indagini preliminari, ci si deve limitare a richiamare le considerazioni formulate nei paragrafi 2.2 e 4.2, con specifico riferimento alle posizioni del C. e del M., cui si deve rinviare.
Nel merito della doglianza avanzata, deve rilevarsi che i giudici di appello, con un percorso argomentativo esente da discrasie processuali, evidenziavano che l'autonoma valenza dimostrativa attribuibile alle intercettazioni telefoniche acquisite nel corso delle indagini preliminari consentiva di esprimere un giudizio di colpevolezza nei confronti dell' Am.. L'univocità di tali elementi probatori consentiva di ritenere superabile la mancanza di prove dichiarative utilizzabili a carico dell'imputato, tenuto conto del contenuto delle numerose conversazioni telefoniche richiamate nella sentenza impugnata, riguardati l'arco temporale compreso tra il 06/05/2003 e il 29/05/2003.
In questa cornice probatoria, il giudice di appello non riteneva plausibile l'assunto difensivo secondo cui sarebbero stati gli stessi stranieri a offrirsi spontaneamente all' Am., atteso che tale ricostruzione postula un presupposto fattuale contrastante con le emergenze processuali, che evidenziano come l'imputato avesse consolidati rapporti di lavoro con altre agenzie operanti nel settore, grazie ai quali riusciva a smistare illecitamente le richieste pervenutegli. A tutto questo occorre aggiungere che l' Am. non soltanto si premurava di intrattenere contatti diretti con gli stranieri dopo che gli stessi giungevano in Italia, ma ne curava personalmente l'accompagnamento nei luoghi di lavoro.
Ne discende conclusivamente che occorre ribadire il giudizio di congruità probatoria espresso dai giudici di merito in ordine alla responsabilità dell' Am. per l'ipotesi delittuosa ascrittagli in rubrica, conformemente a quanto affermato dei giudici di appello, secondo cui: "Stante il palese riferimento fatto da Am.Fr.
non soltanto alla propria "agenzia" di intermediazione, ma anche ad altre "agenzie" che si sono occupate dell'arrivo in Italia dei cittadini stranieri, non c'è dubbio, che tali rapporti hanno unicamente tratto ragione ed occasione dalla già concordata attività di costante introduzione nel territorio nazionale di cittadini stranieri da destinare al lavoro".
Queste ragioni impongono di ritenere inammissibile il secondo motivo del ricorso proposto da Am.Fr..
5.3. Quale terzo motivo di ricorso, si eccepiva la violazione di legge, con riferimento alla dosimetria della sanzione penale irrogata all' Am., tenuto conto del modesto disvalore delle condotte delittuose ascrittegli, cui si collegava la censura relativa alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena di cui all'art. 163 c.p..
Deve, in proposito, ribadirsi che gli ambiti illeciti nei quali si inseriva l'episodio delittuoso contestato al capo L) all' Am.
non sono controvertibili alla stregua delle evidenze processuali e non consentono di valutare come modesto o marginale il contributo del ricorrente, che tra l'altro, non evidenziava segnali di resipiscenza, tali consentire la formulazione di un giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche, conformemente alle richieste avanzate dalla difesa dell' Am.. Ne consegue che, in assenza di tali indicatori soggettivi, la corte territoriale riteneva correttamente di formulare un giudizio di equivalenza tra le aggravanti contestate all' Am.
e le attenuanti generiche, sulla base degli elementi oggettivi e soggettivi riscontrati, compiendo una valutazione adeguata ai sensi dell'art. 133 c.p. ed affermando che tale giudizio era fondato su una valutazione complessiva della posizione dell'imputato e del suo comportamento processuale (cfr. Sez. 6, n. 2642 del 14/01/1999, dep. 25/02/1999, Catone, Rv. 12804).
Ne deriva che, tenuto conto dei parametri richiamati la pena irrogata all' Am. appare congrua, in considerazione della concessione delle attenuanti generiche, effettuata mediante un giudizio di equivalenza con le contestate aggravanti.
Non si ignora, invero, che la concessione del beneficio in oggetto non risponde ad automatismi sanzionatori, risultando rimessa alla discrezionalità valutativa del giudice; tuttavia, la correttezza del percorso argomentativo seguito dai giudici di merito emerge dalla motivazione adottata, che rende inequivocabile la congruità del giudizio espresso.
Queste considerazioni inducono a ritenere inammissibile il terzo motivo del ricorso proposto da Am.Fr..
6. Occorre, infine, esaminare la posizione di I. M. che, con il ricorso depositato a mezzo del suo difensore di fiducia, eccepiva due motivi di ricorso.
6.1. Con il primo motivo di ricorso, innanzitutto, si eccepiva la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, commi 3 e 3 bis.
In tale ambito, inoltre, si eccepiva la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 69 e 133 c.p..
Deve, in proposito, rilevarsi, quanto all'inquadramento dell'ipotesi delittuosa ascritta al capo I) all' I., che su tali profili, già sollevati in sede di appello e correttamente affrontati dalla corte territoriale, ci si è già soffermati nei paragrafi 2.1, 3.1 e 4.1, nell'esaminare le posizioni del C., dell' A. e del M., ai quali occorre rinviare per l'integrale cognizione degli ragioni giuridiche che fanno ritenere corretta la configurazione del reato contestato al ricorrente e impongono di ritenere inammissibile questa doglianza.
Senza volere ripercorrere tali complessi argomenti, occorre comunque evidenziare che la congruità della qualificazione giuridica dei fatti contestati all' I. discende dalle modalità con le quali il ricorrente realizzava le condotte delittuose che gli vengono contestate al capo I), attraverso la costituzione di un apposito ente senza scopo di lucro, grazie al quale implementava i suoi collegamenti con i Paesi dell'est europeo. Si consideri, in proposito, che, grazie a tale onlus, denominata "Abacus", il ricorrente sviluppava i suoi contatti esteri, allo scopo di fare giungere in Italia cittadini stranieri - formalmente muniti di visto turistico - da destinare allo svolgimento di attività lavorative, dietro il pagamento di somme di denaro che incassava personalmente.
Nella sentenza di appello, a tal proposito, si richiamavano le conversazioni telefoniche, intercettate nell'arco temporale compreso tra il 16/05/2003 e l'01/07/2003, il cui contenuto deponeva univocamente nella direzione di fare ritenere collegati l' I. e il C., che si scambiavano in modo assiduo informazioni, funzionali alla sistemazione dei cittadini stranieri nell'immediatezza del loro arrivo in Italia. Il tenore di tali captazioni, al contempo, consente di affermare - alla stregua di quanto si è già valutato con riferimento alla posizione del C. nel paragrafo 2.2 di questa sentenza - l'esistenza di contatti abituali tra la struttura organizzativa del ricorrente e i canali esteri ai quali ricorreva per il reclutamento dei cittadini stranieri da immettere sul mercato illecito.
Da questo punto di vista, è la stessa natura dell'attività illecita svolta dall' I. per come desumibile dal contenuto delle intercettazioni telefoniche attivate nel corso delle indagini preliminari - peraltro non contestate in quanto tali dal difensore del ricorrente - a consentirci di affermare la sussistenza, nel caso di specie, di tutti gli elementi costituivi della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12.
Non v'è dubbio, infatti che l'espressione "procurare l'ingresso illegale" è certamente riconducibile alla condotta di coloro i quali - analogamente all' I. - svolgano una concreta attività di intermediazione tra i canali esteri di reclutamento dei lavoratori e il mercato del lavoro italiano, rilevando tale intermediazione quale momento essenziale dell'ingresso in Italia degli stranieri, a prescindere dal conseguimento dello scopo prefigurato (cfr. Sez. 1, n. 27106 del 16/06/2011, dep. 12/07/2011, Giurato, Rv. 250803).
Non possono, pertanto, non condividersi le conclusioni raggiunte dai giudici di appello, secondo cui "il sistematico svolgimento di una siffatta attività di intermediazione non può non essere sorretto dall'intendimento di conseguire un'utilità economica e che, in ogni caso, l'imputato, avendo volontariamente agito in collaborazione con C.D. nella perfetta consapevolezza dello scopo di lucro perseguito da quest'ultimo, ha res gestae aderito a tale scopo facendolo proprio".
Queste ragioni impongono di ritenere inammissibile il primo motivo di ricorso proposto da I.M..
6.2. Quale secondo motivo di ricorso, si eccepiva la violazione di legge, con riferimento alla dosimetria della sanzione penale irrogata all' I., tenuto conto del modesto disvalore delle condotte ascrittegli al capo I).
Deve, in proposito, ribadirsi che gli ambiti sistematici nei quali si inserivano i comportamenti illeciti ascritti al ricorrente sono incontroversi, alla stregua delle evidenze processuali che si sono richiamate nel paragrafo precedente e non consentono di valutare come modesta l'attività di intermediazione con l'estero svolta dall' I., tenuto conto dei suoi rapporti consolidati con il C., di cui si è già detto.
A tutto questo occorre aggiungere che l'atteggiamento dell' I., a fronte della gravità delle condotte che gli venivano ascritte, non evidenziava alcun segnale di resipiscenza processuale, idoneo a consentire la formulazione di un'attenuazione della pena irrogatagli, peraltro conforme nei due sottostanti giudizi di merito. Ne consegue che, in assenza di tali indicatori soggettivi, la corte territoriale riteneva correttamente di formulare un giudizio di adeguatezza della sanzione penale inflitta all' I. dai giudici di primo grado, compiendo una valutazione adeguata ai sensi dell'art. 133 c.p. ed affermando che tale giudizio era fondato su una valutazione congrua della posizione dell'imputato.
Tenuto conto di tali parametri ermeneutici la corte territoriale, nel confermare la pena irrogata all' I. all'esito del giudizio di primo grado, affermava congruamente: "Quanto alla pena, i primi giudici si sono attenuti ad una misura congrua ed aderente al disvalore penale dei comportamenti criminosi tenuti dall'imputato in modo, giova evidenziarlo, affatto occasionale ma reiterato ed organizzato, sicchè non vi è ragione di ridurre l'irrogata pena, peraltro non superiore oltre modo rispetto alla misura minima edittale".
Queste ragioni impongono di ritenere inammissibile il secondo motivo di ricorso proposto nell'interesse dell' I..
7. Per queste ragioni, i ricorsi proposti nell'interesse di C.D., A.G., M.G., Am.Fr. e I.M. devono essere dichiarati inammissibili, con la loro condanna al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di 1.000,00 Euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 marzo 2015.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2015