venerdì 21 febbraio 2014

La Cassazione su falsa testimonianza, calunnia e scriminante ex art. 384 c.p..

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Cassazione penale, sez. VI, 18 marzo 2013, n. 12600.

MASSIME

1 – L'esimente prevista dal comma secondo dell'art. 384 cod. pen. opera anche nell'ipotesi in cui la posizione processuale del prossimo congiunto del potenziale testimone si riveli così intimamente connessa a quella dei correi da non poter essere estrapolata o scissa dal tessuto narrativo dell'assumenda testimonianza "contra alios". (Nella specie, la Corte ha riconosciuto l'esimente ad un donna a cui era stato imposto di testimoniare in un processo nel quale il marito era imputato del delitto di associazione a delinquere).

2 – Rispetto ad una testimonianza di persona che non avrebbe potuto essere obbligata a rispondere, la scriminante prevista dal comma secondo dell'art. 384 cod. pen. opera nei confronti del solo delitto di falsa testimonianza ma non di quello di calunnia.

SENTENZA
FATTO E DIRITTO
1. Con il ministero del difensore l'imputata G.M. impugna per cassazione l'indicata sentenza della Corte di Appello di Catania, che - interamente confermando il giudizio di responsabilità - ha ridotto, in accoglimento di un subordinato motivo di gravame, ad un anno di reclusione la pena inflittale dal g.u.p. del Tribunale di Catania con sentenza resa il 28.9.2006 all'esito di giudizio abbreviato, con la quale è stata riconosciuta colpevole dei reati, unificati da continuazione, di falsa testimonianza e di calunnia in riferimento alla deposizione dibattimentale da lei resa in un processo a carico di L.A. e altri per reati di associazione per delinquere e plurimi furti aggravati in danno del gestore telefonico Telecom S.p.A..
1.1. In punto di fatto la responsabilità della ricorrente è stata affermata dalle due conformi decisioni di merito perchè, assunta come testimone all'udienza del 25.5.2005 del dibattimento di primo grado del citato processo L., affermava - da un lato - il falso, non confermando il contenuto delle sommarie informazioni rese in fase di indagini preliminari alla p.g. (Nucleo Operativo dei Carabinieri di Catania) il 15.12.1997 e il 10.2.1998, e - da un altro lato - asseriva che le dichiarazioni accusatorie allora rivolte ad alcuni imputati le erano state suggerite dagli ufficiali di p.g. con la promessa - in rapporto alle informazioni rese il 15.12.1997 - del rilascio di suo marito, R.M., condotto in caserma in stato di fermo lo stesso 15.12.1997 quale indiziato degli stessi reati ipotizzati a carico di L.A. e altri, in tal modo falsamente attribuendo agli operanti ufficiali di p.g. la commissione di reati di falsità ideologica e di calunnia.

mercoledì 12 febbraio 2014

La Cassazione sui rapporti tra peculato e abuso d'ufficio.

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Cassazione penale, Sez. VI, 21 marzo 2013, n. 16381

MASSIMA

Integra il delitto di peculato, e non quello di abuso di ufficio, la condotta del pubblico ufficiale che, comportandosi "uti dominus" rispetto alla cosa di cui abbia il possesso per ragioni di ufficio, la ceda, anche provvisoriamente, a terzi estranei all'amministrazione, perché ne facciano un uso al di fuori di ogni controllo della pubblica amministrazione. (Nella specie, la Corte ha ritenuto integrato il delitto di peculato in un'ipotesi in cui un vigile urbano aveva ceduto in più occasioni, fuori dai suoi orari di servizio, la radiotrasmittente, utilizzabile per le comunicazioni con la centrale operativa, al titolare di un'impresa di soccorso stradale, per consentirgli di conoscere gli incidenti che avvenivano nel territorio, di recarsi tempestivamente sui luoghi e di lucrare sul recupero dei mezzi coinvolti).

SENTENZA

CONSIDERATO IN FATTO
1. Con sentenza del 24.2.2012 la Corte di Appello di Torino - a seguito di gravame interposto dagli imputati - in parziale riforma della sentenza in data 10.12.2012 emessa dal G.U.P. del Tribunale di Torino, riqualificate le condotte di peculato come violazione dell'art. 323 c.p., esclusa la recidiva contestata a M.M. e MA.Lu. e concesse le circostanze attenuanti generiche a C.A., CR.Fr.Ch. e S. F., rideterminava la pena nei confronti di P. A., PR.Da., A.P., MA.Lu. e M.M., concedendo a C., CR., S. e MA. il beneficio della sospensione condizionale della pena; revocava la pena accessoria ex art. 317 bis c.p. inflitta a PR. e P., confermando nel resto la sentenza.

domenica 9 febbraio 2014

Evasione fiscale e fallimento delle misure di austerity: lo studio di due economisti.

Il blog ha oggi l'onore di ospitare e presentare un articolo di due importanti economisti a livello europeo (Francesco PappadàPostdoctoral Researcher HEC Lausanne,  Yanos ZilberbergPostdoctoral Researcher at CREI, Universitat Pompeu Fabra)  che ci spiegano il fallimento delle misure di austerity imposte ai paesi europei.

Intro : Tra le misure di austerità recentemente adottate in Grecia, vi è stato un aumento senza precedenti dell'IVA. L'aumento nelle entrate fiscali è stato però inferiore rispetto a quello previsto. Questo articolo spiega questo fenomeno attraverso la minore trasparenza adottata dalle imprese in seguito all'aumento della pressione fiscale. In paesi come la Grecia caratterizzati da un controllo fiscale inefficace, le imprese si trovano davanti ad un bivio. Da un lato, una maggiore trasparenza di bilancio consente l'accesso al credito; d'altra parte, questo implica maggiori tasse da pagare. Un miglioramento dell'accesso al credito per le piccole e medie imprese in Grecia potrebbe spostare la scelta delle imprese verso una maggiore trasparenza.
L'articolo completo potrete trovarlo al  seguente indirizzo http://www.voxeu.org/article/tax-evasion-and-austerity-plan-failure.

giovedì 6 febbraio 2014

La Cassazione assolve GOOGLE per la vicenda "Vividown": non è responsabile dei dati trattati.

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Cassazione penale, sez. III, 17 dicembre 2013 (depositata il 3 febbraio 2014), n. 5107.

Nota a sentenza a cura del Dott. Alessandro Bonavita*

Con la Sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Cassazione ha affrontato la questione relativa alla diffusione indebita di dati personali in violazione al Dgls 196/2003.
Preliminarmente si ricorda ai lettori che la vicenda in esame ha scosso, e non poco, le coscienze pubbliche, poiché ha mostrato inevitabilmente la fragilità del nuovo mondo cibernetico che è definitivamente entrato nella vita di tutti i giorni. Eppure qualche avvisaglia sulla fragilità di questo nuovo sistema, che si snoda ancora attraverso leggi e codici più che mai inadatti a disciplinarlo, è stata, come si cercherà di illustrare, ignorata.
La vicenda riguarda la diffusione di un video, caricato sulla piattaforma web Google, ove si riconosceva un minore affetto dalla sindrome di Down che veniva vessato e denigrato per la sua sindrome da alcuni suoi coetanei.
Nel giudizio di primo grado, il Tribunale di Milano, con Sentenza del 24 febbraio 2010, aveva ritenuto l’amministratore delegato di Google Italy s.r.l., il responsabile della policy sulla privacy di Google Inc. e un secondo amministratore delegato di Google Italy s.r.l. responsabili del reato loro contestato ex artt. 110 c.p. e 167 co. 1-2 Dlgs n. 196/2003 poiché avrebbero proceduto al trattamento dei dati personali in violazione agli artt. 23, 17 e 26 dello stesso Dlgs 196/2003, in riferimento appunto al video immesso sulla piattaforma Google.
Tale pronuncia costituì la conclusione della prima azione penale mai intrapresa contro i vertici di una società di Internet Hosting, in materia di diffusione di dati personali1.
Con sentenza del 21 dicembre 2012, la Corte di Appello di Milano ha invece riformato la sentenza impugnata dai vertici Google, asserendo che non si potesse imporre all’Internet provider di rendere edotto l’utente circa l’esistenza e i contenuti della legge sulla privacy, insistendo altresì sulla mancanza del dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice (art. 167 Dlgs 196/2003), poiché, nel caso di specie, i dirigenti Google non erano preventivamente venuti a conoscenza dell’esistenza del video e dei dati personali illecitamente trattati e diffusi.
Tale provvedimento venne pertanto impugnato con ricorso per cassazione dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Milano.
I giudici della Suprema Corte, conformandosi ad un orientamento giurisprudenziale pressoché costante offerto dalle pronunce sia della Cassazione che dell’Autorità Garante della Privacy, hanno definitivamente escluso la responsabilità penale di un Internet host provider, nel caso di specie Google.

martedì 4 febbraio 2014

Le Sezioni Unite sul reato di omessa corresponsione dell'assegno divorzile.

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Cassazione penale, Sezioni Unite, 31 gennaio 2013, n. 23866

MASSIME

1 – Il reato di omessa corresponsione dell'assegno divorzile è procedibile d'ufficio e non a querela della persona offesa, in quanto il rinvio contenuto nell'art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898 all'art. 570 cod. pen. si riferisce esclusivamente al trattamento sanzionatorio previsto per il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare e non anche al relativo regime di procedibilità

2 – La violazione dei doveri di assistenza materiale di coniuge e di genitore, previsti dalle norme del cod. civ. integra, ricorrendo tutti gli altri elementi costitutivi della fattispecie, il reato previsto e punito dall'art. 570, comma primo, cod. pen.

3 – La condotta sanzionata dall'art. 570, comma secondo, cod. pen. presuppone uno stato di bisogno, nel senso che l'omessa assistenza deve avere l'effetto di far mancare i mezzi di sussistenza, che comprendono quanto è necessario per la sopravvivenza, situazione che non si identifica né con l'obbligo di mantenimento né con quello alimentare, aventi una portata più ampia.

4 – Nel reato di omessa corresponsione dell'assegno divorzile previsto dall'art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, come modificato dall'art. 21 della legge 6 marzo 1987, n. 74, il generico rinvio, "quoad poenam", all'art. 570 cod. pen. deve intendersi riferito alle pene alternative previste dal comma primo di quest'ultima disposizione.

SENTENZA

RITENUTO IN FATTO


1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado pronunziata con rito ordinario per il reato di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12 sexies, (in riferimento all'art. 570 c.p., comma 2), ha condannato A..S. alla pena di mesi tre di reclusione ed Euro 500 di multa, aggravando le più lievi pene inflitte dal Tribunale. Il S. era stato tratto a giudizio per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza all'ex coniuge I..G. , querelante, non corrispondendole l'assegno mensile pari ad Euro 516,45, disposto a seguito della cessazione degli effetti del matrimonio, dichiarata con sentenza del Tribunale di Perugia del 30 luglio 2002. Con riferimento all'individuazione della pena applicabile, la Corte di appello ha condiviso il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il richiamo quoad poenam contenuto nella norma incriminatrice deve intendersi effettuato all'art. 570 c.p., comma 2, che prevede la sanzione congiunta della reclusione fino ad un anno e della multa da Euro 103 a Euro 1.032,00.