giovedì 2 febbraio 2012

Tentativo di furto e aggravante dell'esposizione alla pubblica fede.

di Giovanni Miccianza

Il fatto tipico di cui all’art. 624 c.p. è integrato dalla condotta di impossessamento della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene da parte di chiunque (reato comune). Ai fini della sottrazione si ritiene sia sufficiente che la cosa sia passata, anche per breve tempo e nello stesso luogo in cui si è verificata la sottrazione, sotto il dominio esclusivo dell’agente (cfr. Cass., Sez. II, n. 9447/1990). Sotto il profilo soggettivo, oltre al dolo generico, è necessario il dolo specifico, costituito dallo scopo di trarre profitto dalla sottrazione.
Quanto alla configurabilità del tentativo di furto:
l’orientamento giurisprudenziale dominante è concorde nel ritenere che il prelevamento della res ed il successivo allontanamento in difetto di pagamento realizzano il reato di furto solo tentato, in tutti i casi in cui l’agente, anche a sua insaputa, sia stato sin dall’inizio della sua condotta sotto il controllo dell’avente diritto o della persona da lui incaricata (cfr. Cass., Sez. V, n. 11947/1992).
È ricorrente in giurisprudenza l’affermazione per cui il furto è tentato se la detenzione della cosa sia stata conseguita dal ladro senza che il soggetto passivo abbia perduto la custodia o la vigilanza o la disponibilità fisica della cosa in modo pieno.
Sulla base di questo principio, ricorrono gli estremi di un reato tentato e non consumato, ove il ladro sia stato sorpreso con la merce non pagata in prossimità dell’uscita (cfr. Cass. n. 3642/1999).
Occorre però approfondire se possa configurarsi, per le peculiari caratteristiche del contesto in cui si verifica il fatto-reato, l’aggravante dell’esposizione del bene alla pubblica fede.
Ci si chiede, in particolare, se la presenza di un sistema di antitaccheggio elettronico, che riveli, al momento del passaggio attraverso apposite barriere, la presenza addosso al cliente di beni non pagati, sia logicamente compatibile con i requisiti richiesti dall’art. 625, n. 7 c.p.
L’esigenza sottesa a questo istituto è quello di apprestare una tutela rafforzata per le cose mobili che, per necessità, consuetudine o per destinazione delle cose stesse, sono lasciate dal titolare di tali beni prive di una diretta custodia.
L’esposizione alla pubblica fede determina una condizione delle cose mobili per la quale le stesse, anziché essere custodite da chi ne è titolare, ricevono protezione dal patto di fiducia tra i consociati. Se questo vincolo di ordine etico-normativo viene infranto, risulta dunque giustificato l’inasprimento di pena.
L’orientamento tradizionale esclude l’aggravante in esame quando la sorveglianza sulla cosa formi oggetto di una diretta e continua custodia da parte del proprietario.
Tuttavia, è questione controversa in giurisprudenza se il sistema di apporre alle merci in vendita la placca antitaccheggio possa considerarsi un congegno di sorveglianza costante sui beni. Infatti la Sezione II della Cassazione, con sent. 25 sett. 2009, n. 38716, riconosce questo meccanismo di controllo come idoneo a garantire una costante tracciatura del bene così da permettere di segnalare immediatamente la abusiva asportazione degli oggetti dai banchi di vendita al momento del passaggio al varco, senza che ne sia stato effettuato il pagamento. In ipotesi cioè di vendita di beni marcati dalla placca magnetica si dovrebbe escludere l’abbandono delle cose in vendita alla pubblica fede degli avventori e dei clienti (così anche Cass. pen, Sez. IV, 29 ottobre 2003, n. 46531).
Di recente, invece, la Suprema Corte ha statuito al riguardo che il fatto che le merci esposte siano munite di placche antitaccheggio non esclude l’aggravante de qua: infatti il dispositivo in questione non consentirebbe di monitorare il percorso della merce dal banco di esposizione alle casse. Si considera, inoltre, che in caso di strappo della placca o di indebita disattivazione, la merce può essere facilmente portata fuori dall’esercizio commerciale eludendo il controllo dell’impianto di rilevazione. Alla stregua di questo orientamento l’esigenza di tutela del patrimonio non escluderebbe l’applicarsi dell’aggravante. Un caso analogo si registra anche nel caso di furto di un’autovettura alla quale sia stato installato un impianto di antifurto: la presenza di tale meccanismo, si ritiene, infatti, sia agevolmente neutralizzabile e quindi non appare ostativo alla configurabilità dell’aggravante.
In esito alla più recente giurisprudenza in tema, pare doversi concludere che, in tali casi, sussiste anche l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede dei beni di cui si è tentata la sottrazione, atteso che le placche magnetiche non consentono il controllo a distanza degli oggetti e che la loro efficacia può essere facilmente elusa.

1 commento:

  1. Buongiorno, vorrei chiederle un'informazione riguardo la parte delle placche antitaccheggio. Nel caso in cui, ad esempio, le placche venissero rimosse al fine di portare fuori dal negozio la refurtiva ma l'agente fosse sotto il controllo della videosorveglianza, anche in questo caso scatterebbe l'aggravante dell'esposizione alla pubblica fede?
    La ringrazio anticipatamente per la risposta.

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