domenica 12 febbraio 2012

Spaccio, detenzione, consumo di gruppo di sostanze stupefacenti e morte del consumatore dopo l’uso.


di Filippo Lombardi

Il D.P.R. 309/90, tra le tante norme che lo compongono, fornisce agli articoli 73 e 74 la disciplina relativa alla repressione dei reati di spaccio, detenzione illecita di sostanze stupefacenti, e associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga (per quest'ultima, si veda l'articolo di G. Miccianza, già pubblicato in questo blog  http://ildirittopenale.blogspot.com/2012/01/associazione-delinquere-finalizzata-al.html).

§ 1. FINALITA' DI SPACCIO O DI DETENZIONE NON PUNIBILE?
Si vuole in questa sede trattare dei criteri di discrimine tra finalità di spaccio e finalità di detenzione non punibile. A tal fine è bene ricordare quando per la legge una detenzione di sostanze stupefacenti risulta punibile. Si tratta di un caso preciso. 

Art. 73, comma I bis, lett. a)
Quando la quantità di sostanza eccede i limiti forniti da uno specifico decreto del Ministero della Salute e, alla luce di altre circostanze elencate dal comma I bis lett. a), si possa ritenere che non siano destinate ad un uso esclusivamente personale.
Ciò significa che quando la quantità non è superiore a tale limite, la detenzione diventa di per sé lecita. Quando la quantità eccede tale limite, la detenzione può essere illecita se non si dimostra che le altre circostanze, a cui la lettera a) fa riferimento, la rendono non punibile, perché la fanno apparire come detenzione per uso strettamente personale. Tutto sta nel capire quindi quali sono le circostanze da analizzare per poter giungere a considerare una certa detenzione lecita o illecita. 
L'articolo 73 comma I bis, lettera a) fa riferimento alle seguenti circostanze:
modalità di presentazione, cioè peso lordo complessivo, confezionamento frazionato e altre circostanze dell'azione. 
A parte i requisiti del peso lordo complessivo, che può ragionevolmente rappresentare una quantità tutt'altro che esigua (e quindi ben suscettibile di essere trafficata), e del confezionamento frazionato, dal quale trasparirebbe la destinazione a più soggetti, gli altri requisiti della “modalità di presentazione” e delle "altre circostanze dell'azione" non sono ben chiarite dalla norma. 
La Corte di Cassazione (si veda Cass. pen. n. 912/2012), quindi, ha tentato di chiarire la questione con riferimenti più precisi. Si dovrebbe valutare, tra le circostanze rilevanti: 
1) Se il confezionamento consta di un solo involucro - Questo sarebbe un elemento a favore della detenzione personale.
2) Se vi siano presenti insieme alla "merce" strumenti per il taglio e la pesatura - Questo sarebbe a favore della tesi opposta, cioè della finalità di spaccio.
3) Se il soggetto è tossicodipendente - Questo elemento potrebbe in astratto giustificare l'uso personale, ma è una lama a doppio taglio, perché spesso il soggetto tossicodipendente viene usato dalla criminalità organizzata o anche dai singoli spacciatori, per spacciare, al fine di guadagnarsi soldi da investire poi in droga ad uso personale. Ergo, se il soggetto tossicodipendente viene trovato con droga in quantità "abbondante", non significa a priori che non la spaccerà. 
4) Se le condizioni economiche del soggetto agente permettono di per sé l'acquisto di un certo quantitativo di stupefacente più che modico - Si vorrebbe con ciò indicare che dal soggetto più ricco ci si potrebbe aspettare l'acquisto meno modico. 
5) Se la presunta convenienza economica della sostanza in concreto rinvenuta legittima in astratto la c.d. scorta. - Ciò vorrebbe dire che, come in un qualsiasi momento di "buona offerta di merce sul mercato", il compratore sarebbe in astratto legittimato a non farsi "sfuggire l'occasione" per comprare di più pagando di meno. 

In capo al giudice vi sarà un onere di valutazione e di bilanciamento di tutti questi fattori, in modo da reputare o meno ragionevole la detenzione di quantità di stupefacente che superi i limiti di legge.
La dottrina guarda con dubbio soprattutto al criterio relativo alla valutazione della condizione economica del soggetto agente, poiché si finirebbe secondo autorevoli autori per investigare sul censo dei potenziali spacciatori, con conseguenti possibili ipotesi discriminatorie e casi di impunità. La criminalità organizzata infatti potrebbe trafficare droga utilizzando soggetti incensurati con grosse possibilità finanziarie. 
Anche il criterio di cui al numero 5 dovrà essere ben soppesato in quanto, seppure sarà ragionevole considerare una specifica quantità "scorta" ad uso personale, bisognerà chiedersi quale sia il termine naturale entro il quale il tossicodipendente dovrebbe utilizzare la sostanza per "beneficiare" dei suoi effetti. Se, pur valutando che il soggetto farà un uso più o meno intenso della sostanza, risulterà ragionevole ritenere che non usufruirà totalmente di essa, per questioni di possibilità temporale, e che quindi una parte non esigua della sostanza andrebbe persa se il soggetto non ne usufruisse in tempo, la possibilità che si tratti di una "scorta" diventerà sempre più labile e meno plausibile nella valutazione probatoria. 

§ 2. IL CONSUMO DI GRUPPO.
Si potrebbero avere casi in cui l'ingente quantità sia destinata ad un consumo di gruppo. La Cassazione si è pronunciata sulla non punibilità del soggetto che acquisti la sostanza. E l'ha fatto, a dire il vero, con non poche contraddizioni, considerato che sull'argomento si sono pronunciate due sezioni (la Terza e la Sesta), le quali hanno rappresentato due orientamenti opposti. 
La Sesta Sezione ha considerato non punibile la detenzione di sostanza stupefacente destinata all'uso di gruppo, subordinando questa liceità a diversi fattori: 
1) Che a consumare sia anche il soggetto che ha acquistato.
2) Che il gruppo possa essere considerato come soggetto unitario al quale attribuire gli effetti dell'acquisto. 
3) Che già al momento dell'acquisto siano note le identità dei consumatori. 
4) Che in capo ai consumatori vi sia già dall'inizio la comune e condivisa volontà di acquisto, e la decisione su luogo e tempo dell'assunzione.

La Terza Sezione si è pronunciata in maniera completamente opposta, facendo leva su due argomenti fondamentali: 
- la parola "esclusivamente", presente nel comma I bis lettera a), art. 73 D.P.R. 309/90 quando si parla di uso personale. 
- l'illiceità del mandato di acquisto proveniente dal gruppo, che varrebbe a privare di efficacia i precedenti numeri 2-3-4. 
Si auspicherebbe quindi un intervento delle Sezioni Unite, poiché si tratta di contrasto tra più sezioni della Corte di Cassazione.  

§ 3. LA MORTE DEL CONSUMATORE DOPO L'USO DELLA SOSTANZA.
Altro argomento importante di cui trattare è il caso in cui un soggetto acquisti una dose di sostanza stupefacente da uno spacciatore, la consumi e muoia in conseguenza dell'uso stesso. 
Trattasi evidentemente, a livello giuridico, di un caso di morte derivante da altro reato, che è quello di spaccio. Quindi un collegamento tra l'articolo 73 del T.U. Stupefacenti (o dell'articolo successivo, in caso di appartenenza dello spacciatore ad un'associazione) e l'articolo 589 del codice penale. L'articolo 586 cod. pen. è chiaro a riguardo. Quando da un delitto doloso deriva come conseguenza non voluta la morte (o le lesioni), per la definizione della pena si ha riguardo all'articolo 83 c.p. ma le pene relative al reato di omicidio colposo (o di lesioni colpose) sono aumentate. 
Qual era il problema relativo a questa norma? Che essa si basa su una responsabilità oggettiva tra il delitto di base e il reato derivato. Ovvero, è sufficiente che esista un nesso di causalità tra i due, per far divenire il colpevole del delitto-base, responsabile anche del reato diverso. Tra l'altro, l'art. 586 non è chiarissimo. Esso dice che nel caso di rapporto causa-conseguenza tra due reati si dovrà applicare l'articolo 83. Quest'ultimo prevede che per il reato diverso da quello voluto il soggetto sarà punibile a titolo di colpa se nell'ordinamento esso esiste in “versione colposa”. Prevede inoltre che nel caso in cui anche il reato coperto dal dolo si verifichi, si applichi il concorso formale di reati. Nel nostro caso, il reato di spaccio si verifica, si verifica anche la morte, e di conseguenza per la morte il soggetto dovrebbe rispondere a titolo di colpa. Si dovrebbe quindi applicare un concorso formale di reati tra delitto ex art. 73 D.P.R. 309/90 e omicidio colposo, la cui pena però dovrà essere aumentata in base a quanto ci dice l'art. 586 del codice. 
Al di là del calcolo concreto della pena da infliggere, suscitava dubbi l'art. 586, in quanto non fa riferimento alla colpevolezza del soggetto agente riguardo al secondo reato, e rimanda all'articolo 83, che punisce a titolo di colpa. La domanda era: "Di che tipo di responsabilità si tratta?". E le molteplici teorie non esitarono a mostrarsi alla luce. Ne possiamo elencare cinque: 

Teoria della responsabilità oggettiva. Secondo questa teoria, a nulla varrebbe il richiamo al "a titolo di colpa" riscontrabile nell'articolo 83 da parte dell'art. 586. Il soggetto colpevole del primo reato, risponderà sulla base del nesso di causalità, anche della morte. La responsabilità oggettiva non va assecondata, alla luce della sentenza 364/88 della Corte Costituzionale, che riporta ogni azione criminosa al parametro della colpevolezza, insito nell'art. 27 Cost. 
Teoria della colpa implicita. Altri Autori ritengono che il richiamo all'art. 83 generi non una responsabilità oggettiva, ma una punibilità per colpa presunta (appunto, "a titolo di colpa"). La teoria deve essere però scartata per due motivi: 
1) Punire per colpa è possibile solo quando derivi da una violazione di una norma precauzionale, e nel caso di specie gli Autori individuavano la norma violata nella norma che punisce il delitto-base. Cosa alquanto paradossale perché ritenere una norma penale norma precauzionale significherebbe dire che una norma che punisce, nello stesso tempo dica al consociato "Non compiere questo reato, ma se lo fai, fallo in maniera diligente, evitando che al tuo reato ne consegua un altro".
2) Presumere la colpa, cosa significa se non meramente rinominare la teoria della responsabilità oggettiva? 
Teoria della responsabilità per fatto assolutamente illecito. Anche questa teoria rappresenta una rimodulazione della prima teoria. O meglio vi sarebbe una piccola differenza irrilevante: nella teoria della responsabilità oggettiva un soggetto agente tiene una condotta non per forza illecita ab origine, che poi produce l'evento e quindi diventa illecita e viene punita in base al mero nesso di causalità. Nella teoria della responsabilità per fatto assolutamente illecito, la condotta del soggetto agente sarebbe già in partenza illecita. A parte questa piccola sfumatura, la teoria in questione ci sta semplicemente dicendo che se un soggetto tiene una condotta di partenza già ontologicamente illecita, è giusto che si assuma le responsabilità del suo agire. Anche questa teoria quindi può considerarsi un sottoinsieme della prima teoria, e quindi va scartata.     
Teoria della prevedibilità in astratto. Questa teoria dice che il soggetto che spaccia e che provoca la morte del consumatore, anche senza volerlo, in realtà doveva prevedere che ad una condotta come la sua poteva capitare che qualche consumatore ci lasciasse la pelle. Dove sbaglia questa teoria? Sbaglia perchè non reputa il caso concreto degno di attenzione. Essa reputa degna di attenzione la massima di esperienza, l' id quod plerumque accidit. In altre parole, l'eventuale alta probabilità che gli spacciatori in genere possano causare la morte del consumatore. 
Teoria della prevedibilità in concreto. Lo spacciatore che venda una quantità di sostanza stupefacente ad un acquirente risponderà della morte di quest'ultimo se, per le circostanze concrete (oggettive, ad esempio inerenti alla qualità o al taglio della merce; soggettive, ad esempio le visibili condizioni di salute del soggetto passivo, la sua età, ecc.) poteva prevedere che alla sua condotta in re ipsa illecita sarebbe potuto susseguire l'evento morte del consumatore.  
Quest'ultima è la tesi realmente utilizzabile quando si parla dell'applicazione dell'art. 586 cod. pen., in quanto capace di adeguare l'azione criminosa complessivamente considerata, all'imprescindibile paradigma della colpevolezza. 

SITOGRAFIA 

Pisano, "La responsabilità dello spacciatore in caso di morte dell'assuntore di sostanza stupefacente", in www.filodiritto.com.

Tombesi, "Sull'uso collettivo di sostanze stupefacenti: si consolida il contrasto nella giurisprudenza di legittimità", in www.dirittopenalecontemporaneo.it

Zaina, "Sostanze stupefacenti e la detenzione non punibile (Cass. pen. n. 912/2012)", in www.diritto.it

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