mercoledì 20 aprile 2016

SOLUZIONE PARERE SULLO STATO DI NECESSITA’ E ILLECITA OCCUPAZIONE DI UN BENE IMMOBILE.

SOLUZIONE PARERE SULLO STATO DI NECESSITA’ E ILLECITA OCCUPAZIONE DI UN BENE IMMOBILE.
Cassazione penale, sez. II, ud. 17.10.2014 dep. 24.10.2014, n. 44363

RITENUTO IN FATTO
Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano e la A.L.E.R. (Azienda lombarda per l'edilizia residenziale - ex I.A.C.P.) di Milano ricorrono per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano del 7.10.2012, che ha confermato la sentenza di primo grado, emessa dal locale Tribunale, con la quale l'imputata H.K.A. è stata assolta dal delitto di occupazione arbitraria di un alloggio popolare perchè il fatto non costituisce reato, in quanto commesso in stato di necessità (all'epoca della occupazione dell'alloggio l'imputata risultava essere in stato di gravidanza a rischio e per di più affetta da HIV).
Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano deduce la inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 54 cod. pen.;
deduce, in particolare, che non sussisterebbero i presupposti per l'applicazione della scriminante dell'aver agito in stato di necessità, perchè: 1) non risulterebbe che l'imputata si è attivata per pretendere dal padre dei suoi figli il contributo al mantenimento degli stessi in modo da potersi procurare un alloggio;
2) non risulterebbe che l'imputata si è attivata per cercare una soluzione abitativa proporzionata alle sue possibilità economiche, considerato che risulta che la stessa lavorava stabilmente; 3) in ogni caso, mancherebbe l'attualità del pericolo, in quanto la condotta della imputata si è protratta sine titulo per un notevole arco temporale, a partire dall'ottobre 2003.
La A.L.E.R. deduce l'erronea applicazione degli artt. 54 e 633 cod. pen., per avere i giudici di merito riconosciuto all'imputata la causa di giustificazione dello stato di necessità, pur in assenza del pericolo di danno grave alla persona (in realtà l'imputata si sarebbe trovata solo in uno stato di bisogno abitativo), della sua inevitabilità e, soprattutto, della sua attualità, tenuto conto che la condotta della imputata perdura da oltre dieci anni (dall'ottobre 2003 a tutt'oggi) e non potrebbe ammettersi che la prevenuta occupi indefinitivamente l'immobile, sottraendolo agli altri aventi diritto e vivendo di fatto alle spalle della collettività.
DIRITTO
I ricorsi non sono fondati. Questa Corte, come è noto, ha ripetutamente avuto modo di sottolineare che, ai fini della esimente dello stato di necessità, occorre che l'azione delittuosa sia commessa per evitare un pericolo che abbia - come testualmente richiede l'art. 54 cod. pen. - il carattere della attualità, dal momento che, come è logico, in assenza di un nesso di corrispondenza cronologica tra elemento giustificante e condotta giustificata, si elide la stessa ratio essendi della causa di non punibilità, imponderabili essendo le numerose alternative prefigurabili al fine di fronteggiare e dissolvere un pericolo soltanto futuro ed eventuale. Il requisito della attualità postula, a sua volta, anzitutto che il pericolo sia presente quando il soggetto agisce e che sia imminente il danno che ne possa derivare, ma, appunto per tale ragione, implica anche che si tratti di un pericolo che nel momento in cui il fatto venga compiuto sia già individuato e circoscritto, e cioè precisamente delineato nel suo contenuto e oggetto, nonchè nei suoi effetti. Di conseguenza, non è sufficiente che l'azione delittuosa venga attuata nell'aspettativa che possano essere evitati pericoli che non abbiano tali connotati e che siano, invece, in concreto meramente eventuali e futuri, possibili o anche solo probabili. Al contrario, ai fini della applicazione della causa di giustificazione, occorre un preciso e indefettibile collegamento causale tra la necessità di sacrificare un interesse penalmente protetto e lo scopo di evitare uno specifico e determinato pericolo;
sicchè, l'agente può andare esente da pena soltanto quando il suo comportamento, che altrimenti costituirebbe una offesa criminosa, sia stato causato dalla necessità urgente di evitare un pericolo del genere indicato e, con esso, un danno grave alla persona, già ben individuato all'atto stesso in cui agisce.
D'altra parte, ed a prescindere dalla varietà delle impostazioni dottrinarie che si sono soffermate sul punto, non pare azzardato scorgere, al fondo della natura della scriminante in parola, un forte richiamo verso il principio solidaristico che informa l'intera platea dei valori costituzionali - e con essa il necessario bilanciamento tra gli stessi - come peraltro traspare dai connotati di non illiceità che caratterizzano la condotta necessitata, al punto che l'art. 2054 cod. civ. prevede, con riferimento ai pregiudizi subiti dal terzo, esclusivamente un indennizzo (istituto tipico del "rischio solidaristico") e non il risarcimento del danno.
Per altro verso, va pure rammentato che la giurisprudenza di questa Corte è ormai da tempo consolidata nel ritenere che, ai fini del riconoscimento dell'esimente dello stato di necessità, nel concetto di danno grave alla persona, secondo la formulazione dell'art. 54 cod. pen., rientrano anche situazioni che pongono in pericolo solo indirettamente l'integrità fisica, in quanto attentano alla sfera dei beni primari collegati alla personalità, tra i quali deve essere ricompresa anche l'esigenza di un alloggio. Tale interpretazione estensiva del concetto di danno grave alla persona, mediante l'inclusione dei diritti inviolabili, impone però - si è pure sottolineato - una più attenta e penetrante indagine giudiziaria, diretta a circoscrivere la sfera di azione della esimente ai soli casi in cui siano indiscutibilmente presenti gli altri elementi costitutivi della stessa, quali i requisiti della necessità ed della inevitabilità del pericolo, tenuto conto delle esigenze di tutela dei diritti dei terzi, involontariamente coinvolti, diritti che non possono essere compressi se non in condizioni eccezionali e chiaramente comprovate. (Nella specie è stata confermata la decisione di merito che aveva ritenuto configurabile l'esimente in relazione all'occupazione arbitraria di un alloggio di proprietà dello IACP, in quanto l'imputata, dopo un litigio con il marito, con il quale condivideva un alloggio insalubre, si era trovata con la propria figlioletta priva di riparo, in una situazione così grave ed eccezionale che l'amministrazione comunale del luogo aveva poi requisito l'appartamento per destinarlo a residenza temporanea del nucleo familiare della donna). (Sez. 2, n. 24290 del 19/03/2003 - dep. 04/06/2003, PG in proc. Bocchino, Rv. 225447).
Al riguardo, va infatti rammentato che la Corte costituzionale ha in più occasioni avuto modo di sottolineare che "le finalità proprie dell'edilizia residenziale pubblica sono quelle di garantire un'abitazione a soggetti economicamente deboli nel luogo ove è la sede dei loro interessi (sentenza n. 176 del 2000), al fine di assicurare un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti (art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea), mediante un servizio pubblico deputato alla provvista di alloggi per i lavoratori e le famiglie meno abbienti (sentenze n. 417 del 1994, n. 347 del 1993, n. 486 del 1992). Dal complesso delle disposizioni costituzionali relative al rispetto della persona umana, della sua dignità e delle condizioni minime di convivenza civile, emerge, infatti, con chiarezza che l'esigenza dell'abitazione assume i connotati di una pretesa volta a soddisfare un bisogno sociale ineludibile, un interesse protetto, cui l'ordinamento deve dare adeguata soddisfazione, anche se nei limiti della disponibilità delle risorse finanziarie. Per tale motivo, l'accesso all'edilizia residenziale pubblica è assoggettato ad una serie di condizioni relative, tra l'altro, ai requisiti degli assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pubblica, quali, ad esempio, il basso reddito familiare (sentenza n. 121 del 1996) e l'assenza di titolarità del diritto di proprietà o di diritti reali di godimento su di un immobile adeguato alle esigenze abitative del nucleo familiare dell'assegnatario stesso, requisiti sintomatici di una situazione di reale bisogno" (v., da ultimo, Coste cost., sentenza n. 168 del 2014).
In tale quadro di riferimento, dunque, deve anche iscriversi il "bilanciamento" tra le situazioni di pregnanza concreta del "pericolo" per la persona, la sua portata dirimente sul piano della volontà e delle possibili scelte alternative della condotta e, di conseguenza, la individuazione dei concreti confini applicativi della scriminante, non senza sottolineare come - proprio nella prospettiva di equilibrata commisurazione dei contrapposti valori che vengono coinvolti - assuma specifico risalto, per l'appunto, il connotato del "pericolo attuale", in riferimento ad una fattispecie criminosa che, come quella di arbitraria invasione di edificio per uso abitativo, si caratterizza per la diuturnitas della relativa condotta occupativa (si è affermato, infatti, che il delitto di invasione di terreni o edifici di cui all'art. 633 cod. pen. è di natura permanente, dato il protrarsi nel tempo dell'occupazione del fondo; la permanenza cessa con la pronuncia giudiziale di primo grado. (Sez. 1, n. 29362 del 21/06/2001 - dep. 19/07/2001, Confl. comp. in proc. Licciardello, Rv. 219480).
Ebbene, i principi affermati al riguardo da questa Corte sono noti e rievocati, anche, dagli stessi giudici a quibus: si è infatti reiteratamente puntualizzato che l'illecita occupazione di un bene immobile è scriminata dallo stato di necessità conseguente al danno grave alla persona, che ben può consistere, oltre che in lesioni della vita o dell'integrità fisica, nella compromissione di un diritto fondamentale della persona come il diritto di abitazione, sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell'illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi, e cioè l'assoluta necessità della condotta e l'inevitabilità del pericolo, (ex plurimis, Sez. 2, n. 8724 del 11/02/2011 - dep. 04/03/2011, Essaki, Rv. 249915; Sez. 6, n. 28115 del 05/07/2012, Rv. 253035; Sez. 2, n. 19147 del 16/04/2013).
Contrariamente all'assunto dei ricorrenti, di tali principi i giudici del merito hanno fatto senz'altro buongoverno, dal momento che le condizioni in cui versava la imputata all'atto della occupazione, e che si sono protratte nel tempo, presentavano - in termini del tutto inequivoci - i connotati del pericolo attuale di danno grave alla persona non altrimenti evitabile, che la scriminante richiede per l'applicazione della causa di non punibilità. Come già sottolineato dal primo giudice, infatti, l'imputata, cittadina extracomunitaria, all'atto della occupazione dell'alloggio risultava in condizioni di salute assai precarie, in quanto sieropositiva, e per di più con gravidanza a rischio, tanto da aver partorito prima del termine; alla prima gravidanza ne era posi succeduta una seconda, con evidente incremento delle condizioni di profondo disagio, derivanti, anche, dalla circostanza che non riceveva alcun tipo di ausilio, da familiari o da terzi, tra l'altro a cagione delle difficoltà connesse alla malattia ed al pericolo di contagio. Il tutto, in presenza di condizioni reddituali del tutto precarie, dipendenti dal fatto che la sua retribuzione come parrucchiera ammontava ad Euro 732 mensili e che nel tempo l'attività lavorativa aveva assunto caratteri di saltuarietà.
A fronte di tale quadro di riferimento, le contestazioni dei ricorrenti finiscono in larga misura per attingere null'altro che ad una rivalutazione circa il "contenuto fattuale" della pregnanza del "pericolo" e della sua relativa attualità, senza peraltro porre in luce elementi davvero "critici" che possano aver infirmato l'apprezzamento condotto nei due gradi di merito, al contrario concordi nel porre in luce tanto la intensità e la perduranza nel tempo delle condizioni di assoluta precarietà in cui era costretto a vivere l'intero nucleo familiare della imputata - che solo sulla stessa poteva contare - quanto la sostanziale "adeguatezza" e "proporzionalità" della condotta illecita rispetto al "pericolo", avendo fra l'altro posto in luce il paradosso rappresentato dal fatto che la medesima imputata, pur avendo titolo a concorrere per la concessione dell'alloggio, si era vista "discriminata" per la condotta di occupazione abusiva, malgrado la stessa fosse da ritenersi a sua volta "scriminata" per lo stato di necessità.
I ricorsi devono pertanto essere entrambi respinti e la parte civile va condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
 Rigetta i ricorsi e condanna la parte civile al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2014










venerdì 15 aprile 2016

TRACCIA PARERE SULLO STATO DI NECESSITA’ E ILLECITA OCCUPAZIONE DI UN BENE IMMOBILE.

STATO DI NECESSITA’ E ILLECITA OCCUPAZIONE DI UN BENE IMMOBILE.
Traccia parere.
Mevia, cittadina extracomunitaria, in condizioni reddituali precarie (retribuzione di parrucchiera di 732 euro al mese) e con forti problemi di salute (sieropositiva e con gravidanza a rischio) decideva di occupare un alloggio popolare sito nel comune di Milano. Durante il suo permanere nell’appartamento, inoltre, alla prima gravidanza ne era succeduta una seconda, con evidente incremento delle condizioni di profondo disagio, derivanti, anche, dalla circostanza che non riceveva alcun tipo di ausilio, da familiari o da terzi, tra l'altro a cagione delle difficoltà connesse alla malattia ed al pericolo di contagio. Denunciata dalla società proprietaria dell’immobile, Mevia veniva condannata ai sensi dell’art. 633 del codice penale.
Rediga il candidato appello avverso a suddetta sentenza di condanna.


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lunedì 11 aprile 2016

SOLUZIONE PARERE SULLA RESPONSABILITA’ PER OMISSIONE E NESSO DI CAUSALITA’.

SOLUZIONE PARERE SULLA RESPONSABILITA’ PER OMISSIONE E NESSO DI CAUSALITA’.
Cassazione penale, sez. IV, 19/03/2015 (dep. 27/5/2015), n. 22378

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. A seguito di richiesta di patteggiamento il Tribunale di Trento ha assolto V.V. dal reato di cui all'art. 590 in danno del lavoratore Vr.Ne. ai sensi dell'art. 129 c.p.p., perchè il fatto non sussiste. A seguito di contestuale giudizio abbreviato, lo stesso Tribunale ha assolto da tale accusa con la medesima formula gli altri imputati A.C., Am.Ma., N.H., D.D..
La sentenza èstata parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Trento che ha dichiarato inammissibile per tardivitàl'appello del Procuratore generale nei confronti del V.; ed ha affermato la responsabilitàdegli odierni ricorrenti.
Ricorrono per cassazione il Procuratore generale e gli imputati in epigrafe.
2. Il Procuratore generale censura la ritenuta inammissibilitàdell'appello nei confronti di V. per tardività. Erroneamente si èritenuto che la sentenza emessa ai sensi dell'art. 129 c.p.p., nei confronti di costui sia stata adottata nell'ambito di udienza in camera di consiglio nell'ambito del rito pattizio, in realtànella sede dibattimentale gli imputati hanno avanzato richieste distinte quanto al rito. Il V., in particolare, pur richiedendo l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p., ha altresìavanzato richiesta di assoluzione ai sensi del richiamato art. 129.
Tale istanza èstata accolta, ma solo all'esito del dibattimento concernente altri imputati; ed utilizzando le acquisizioni probatorie conseguite in tale sede. Il giudizio èstato concluso con pronunzia liberatoria che ha riguardato tutti gli imputati. Dunque non puòritenersi che si fosse, quanto l'imputato in questione, nell'ambito di udienza camerale; con la conseguenza che il termine per impugnare non era di 15 giorni, come erroneamente ritenuto dalla Corte d'appello.
3. Gli imputati deducono diversi motivi 3.1. Si lamenta che il giudice d'appello ha isolato solo alcuni brani della pronunzia dei Tribunale e non ha esaminato la sentenza in modo integrale. Da essa emerge che la caduta fu pacificamente dovuta alla riparazione del ponteggio in modo assolutamente maldestro, utilizzando del filo di ferro; e tale da determinare il cedimento della struttura alla sua prima utilizzazione. L'evento èstato dunque determinato da tale riparazione di cui, tuttavia, non èstato possibile individuare l'autore. Secondo il Tribunale tale grave condotta ha determinato interruzione dei nesso causale; e ciòèaccaduto in epoca di poco anteriore al momento dell'incidente accaduto (OMISSIS) alle ore 9,30. Tale interruzione non consente di attribuire rilievo causale alle singole posizioni di garanzia. La abnormitàdella condotta in questione èstata rimarcata dal giudice richiamando l'elaborato peritale che parla di una demenziale opera di fissaggio delle tavole metalliche a mezzo di filo di ferro compiuta da persona priva di capacitàraziocinante.
Tale condotta èstata collocata a ridosso dell'infortunio ed èstata ritenuta poco impegnativa, tanto da poter essere compiuta in un breve lasso di tempo; sicchè l'azione di controllo dei preposti poteva essere facilmente elusa.
3.2. Si deduce inoltre che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto che non vi sia prova che la perizia non sia stata redatta pure nei confronti degli imputati ricorrenti che in quell'epoca non erano indagati. Invece dagli atti emerge che solo all'esito di tale perizia il pubblico ministero ha richiesto che i ricorrenti venissero iscritti nel registro degli indagati.
3.3 Altrettanto erroneamente, si assume ancora, si èritenuto che gli imputati chiedendo che si procedesse col rito abbreviato abbiano consentito l'utilizzazione della perizia in questione. Tale assunto non èfondato. Gli imputati hanno tempestivamente eccepita l'inutilizzabilitànei loro confronti dell'atto in questione nell'udienza del 5 dicembre 2011. Dopo tale eccezione preliminare hanno sostanzialmente chiesto di essere ammessi ad un giudizio abbreviato condizionato, per cosìdire alla non utilizzabilitàdella perizia. In ogni caso si tratta di inutilizzabilitàpatologica e perciònon sanabile con la richiesta di rito abbreviato.
L'utilizzazione di tale perizia da luogo ad una prova costituzionalmente illegittima perchè recante violazione del principio del contraddittorio di cui all'art. 111 costo.
4. I ricorsi degli imputati sono fondati. E' invece privo di pregio quello dell'accusa pubblica.
4.1 Le censure in ordine alla perizia ed alla sua utilizzazione sono prive di pregio. La Corte di merito considera al riguardo che le prospettazioni in tema di inutilizzabilitàdella perizia sono infondate. La circostanza che i ricorrenti non fossero indagati all'epoca dell'indagine tecnica non èprovata. E comunque la scelta del rito abbreviato fa cadere qualunque censura, non essendosi in presenza di inutilizzabilitàpatologica.
Tale valutazione èda condividere. L'atto èstato acquisito al giudizio abbreviato e dunque èentrato nel novero delle prove utilizzabili. Esso, d'altra parte, non èaffetto da alcuna patologia. Se ne èsemplicemente estesa l'utilizzabilitànei confronti di altri imputati, conformemente a quanto previsto dal rito in questione. Del resto che la deduzione sia priva di pregio emerge dal fatto che la difesa, da un lato prospetta l'indicata censura e dall'altro utilizza l'atto per desumerne l'interruzione del nesso causale.
4.2 La deduzione afferente all'interruzione del nesso causale, ritenuta dal primo giudice, èfondata.
Dalla sentenza del Tribunale emerge che erano in corso lavori edili di ristrutturazione di un edificio affidati alla V. srl di cui il V.V. era datore di lavoro e legale rappresentante. I lavori di intonacatura erano stati subappaltati alla Amac Bau srl, di cui era datore di lavoro il ricorrente A.C. e dirigente responsabile di cantiere il ricorrente Am.Ma.. Tale ultima societàaveva commissionato il ponteggio alla N. spa di cui N.H. era amministratore delegato. Coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione dei lavori era D.D..
E' pure emerso che il lavoratore, dipendente della Amac Bau srl, era caduto dal ponteggio mentre si trovava all'altezza di oltre quattro metri riportando gravi lesioni personali.
La caduta fu determinata da una sorta di riparazione provvisoria effettuata su un tratto orizzontale dell'impalcatura, consistita nel fissaggio del piano di calpestio con un fragile fil di ferro;
intervento errato e pericoloso. Non èstata raggiunta la prova in ordine all'autore di tale intervento. Esso, peraltro, èstato compiuto sicuramente poco prima dell'evento lesivo, risalente al (OMISSIS), poichè il precedente (OMISSIS), venerdì, era stata scattata una foto che mostrava il ponteggio nella condizione originaria.
Tale contingenza ha determinato l'interruzione del nesso causale.
Inoltre, atteso che l'evento si èdeterminato in contiguitàtemporale con la modifica, non rilevano nè le posizioni di garanzia nè la violazione dell'obbligo di controllo da parte dei D..
La Corte d'appello, invece, ha ritenuto fondato l'appello avanzato nei confronti degli odierni ricorrenti. Si èconsiderato che il subappaltatore èpacificamente tenuto all'osservanza della norme sulla sicurezza del lavoro. Sugli imputati gravava quindi l'obbligo della sicurezza del luogo di lavoro.
E' emerso che la modifica dei ponteggio era consistita nella due campate e di due piani di appoggio e nella legatura delle estremitàdegli impalcati con fil di ferro non era necessaria in relazione ai lavori edili programmati ed era "demenziale" secondo l'opinione del perito. Tale modifica era da attribuire verosimilmente agli operai della V. srl.
Il subappaltatore avrebbe dovuto inibire l'accesso al ponteggio modificato. Di qui l'affermazione di responsabilità. D'altra parte, il comportamento della vittima non era abnorme ed imprudente posto che era in atto un'ordinaria attivitàlavorativa.
4.3 La valutazione espressa dai Tribunale si fonda su una puntuale e penetrante valutazione delle prove ed èconforme all'ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte.
Dell'art. 41 cpv. c.p., e della cosiddetta interruzione del nesso causale si sono recentemente occupate le Sezioni unite di questa Corte (Sez. Un 24 aprile 2014, Espenhahn, Rv. 261103) che, evocando la precedente giurisprudenza, hanno proposto condivisi principi. E' stata infatti posta l'enunciazione che il garante èil gestore di un rischio; e che il termine "garante" viene ampiamente utilizzato nella prassi anche in situazioni nelle quali si èin presenza di causalitàcommissiva e non omissiva; ed ha assunto un significato piùampio di quello originario, di cui occorre acquisire consapevolezza, traendo argomento proprio dalla norma richiamata.
Si èconsiderato che la necessitàdi limitare l'eccessiva ed indiscriminata ampiezza del'imputazione oggettiva generata dal condizionalismoèalla base di classiche elaborazioni teoriche: la causalitàadeguata, la causa efficiente, la causalitàumana, la teoria del rischio. Tale istanza si rinviene altresìnel controverso art. 41 cpv. c.p.. L'esigenza cui tali teorie tentano di corrispondere èquella di limitare, separare le sfere di responsabilità, in modo che il diritto penale possa realizzare la sua vocazione ad esprimere un ben ponderato giudizio sulla paternitàdell'evento illecito.
Il contesto della sicurezza del lavoro fa emergere con particolare chiarezza la centralitàdell'idea di rischio; tutto il sistema èconformato per governare l'immane rischio, gli indicibili pericoli, connessi al fatto che l'uomo si fa ingranaggio fragile di un apparato gravido di pericoli. li rischio ècategorialmente unico ma, naturalmente, si declina concretamente in diverse guise in relazione alla differenti situazioni lavorative. Dunque, esistono diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilitàche quei rischio sono chiamate a governare. Soprattutto nei contesti lavorativi piùcomplessi, si èfrequentemente in presenza di differenziate figure di soggetti investiti di ruoli gestionali autonomi a diversi livelli degli apparati; ed anche con riguardo alle diverse manifestazioni del rischio.
Le Sezioni unite sottolineano che questa esigenza di delimitazione si èfatta strada nella giurisprudenza, attraverso lo strumento normativo costituito dall'art. 41 cpv. c.p.. Infatti, la diversitàdei rischi interrompe, per meglio dire separa le sfere di responsabilità. Tale tesi èstata argomentata traendo argomento proprio dalla prassi, richiamando alcuni casi topici, prevalentemente incentrati proprio sul diritto penale del lavoro ((Sez. 4, n. 44206, del 25/09/2001, Intrevado, Rv. 221149; Sez. 4, n. 11311 del 07/05/1985, Bernardi, Rv. 171215; Sez, 4, n. 3510 del 10/11/1999, Addesso, Rv. 183633; Sez. 4, n. 10733 del 25/09/1995, Dal Pont, Rv.203223; Sez, 4, n. 2172 del 13/11/1984, Accettura, Rv. 172160; Sez. 4, n. 12381 del 18/03/1986, Amadori, Rv. 174222; Sez. 4, n. 1484 del 08/11/1989, Dell'Oro, Rv. 183199; Sez. 4, n, 9563 del 11/02/1991, Lapi, Rv, 188202; Sez. 4, n. 8676 dei 14/06/1996, Ieritano, Rv, 206012).
In sintesi, le Sezioni unite hanno posto l'enunciazione che un comportamento è"interruttivo" (per restare al lessico tradizionale) non perchè"eccezionale" ma perchè eccentrico rispetto ai rischio lavorativo che il garante èchiamato a governare. Tale eccentricitàrenderàmagari in qualche caso (ma non necessariamente) statisticamente eccezionale il comportamento ma ciòèuna conseguenza accidentale e non costituisce la reale ragione dell'esclusione dell'imputazione oggettiva dell'evento. A ciòva aggiunta solo una chiosa pertinente al caso in esame: l'effetto interruttivo non ènecessariamente dovuto al comportamento incongruo del lavoratore, ma a qualunque circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante èchiamato a governare.
Alla luce di tali principi èagevole cogliere l'esattezza della soluzione del caso proposta dal Tribunale. E' infatti emerso che il rischio di caduta dei lavoratori era stato governato in modo sostanzialmente appropriato. L'impalcatura presentava alcune imperfezioni che, però, non hanno avuto alcun ruolo negli accadimenti. E' pure emerso che la struttura era intatta poco prima dell'avvio dell'attivitàlavorativa dalla quale èscaturito l'infortunio. Ancora, ad iniziativa di persone diverse dai ricorrenti, quella impalcatura èstata oggetto di una manomissione completamente estranea a qualunque standard di ragionevolezza, totalmente sconsiderata; posto che i piani di camminamento erano sorretti da esile fil di ferro che non era assolutamente in grado di reggere il peso di una persona. In tale manomissione scriteriata èagevole cogliere un rischio nuovo, o forse meglio altamente esorbitante rispetto all'ordinario rischio di caduta, caratterizzato da repentinitàe non prevedibilità. Di tale diverso rischio, drammaticamente concretizzatosi, gli imputati non possono essere chiamati a rispondere alla stregua degli indicati principi.
E d'altra parte erra la Corte d'appello quando esclude l'interruzione del nesso causale sulla base della considerazione che il comportamento del lavoratore non era abnorme. Si èinfatti visto che la detta interruzione si rapporta alla diversitào incommensurabilitàdel rischio nuovo, che dipenda o meno dal comportamento del lavoratore.
La sentenza va dunque annullata senza rinvio nei confronti degli imputati per non aver commesso il fatto.
5. L'appello del P.G. nei confronti del V. èstato ritenuto tardivo. Il deposito della sentenza èstato comunicato il 7 giugno 2012 e l'impugnazione èstata proposta solo il successivo 3 luglio e quindi senza l'osservanza del termine di 15 giorni previsto dall'art. 585, comma 1, lett. A: infatti la sentenza seguita alla richiesta di patteggiamento èemessa in udienza in camera di consiglio, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità. Tale valutazione è immune da censure. Non è oggetto di contestazione che la sentenza ex art. 444 c.p.p., è adottata in udienza in camera di consiglio ed è quindi ricorribile nei termine di 15 giorni: il principio, invero, è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte. La doglianza si basa sulla considerazione che nei caso in esame la pronunzia in esame è stata adottata per così dire in parallelo con quella resa nei confronti di altri imputati a seguito di giudizio abbreviato. Ma tale contingenza, a ben vedere, non ha rilievo. I due giudizi hanno proceduto con contestualità(probabilmente per esigenze di semplificazione e speditezza) ma non hanno mai perso la loro identità: la sentenza ex art. 129 c.p.p., costituisce espressione di un potere riconosciuto al giudice anche nel rito pattizio. Dunque, non si scorge alcuna ragione che possa indurre a derogare alle regole in ordine al termine per impugnare. Il ricorso dell'accusa pubblica va dunque rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di A. C. e Am.Ma. per non avere i medesimi commesso il fatto.
Rigetta il ricorso del Procuratore generale nei confronti di V. V..
Cosìdeciso in Roma, il 19 marzo 2015.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2015









martedì 5 aprile 2016

TRACCIA PARERE SULLA RESPONSABILITA’ PER OMISSIONE E NESSO DI CAUSALITA.

RESPONSABILITA’ PER OMISSIONE E NESSO DI CAUSALITA’
Traccia parere.
Tizio affidava i lavori di rifacimento della facciata del proprio appartamento alla Ditta Alfa, di cui Mevio era il legale rappresentante. I lavori di intonacatura venivano subappaltati alla Beta Srl di cui era legale rappresentante Sempronio. La società Beta aveva a sua volta incaricato la ditta Omega, legale rappresentante Romolo, per l’installazione di un ponteggio. Durante i lavori di intonacatura  Caio, dipendente della ditta Beta cadeva dal ponteggio mentre si trovava all’altezza di oltre quattro metri riportando gravi lesioni personali. La caduta era stata determinata da una sorta di riparazione provvisoria effettuata su un tratto orizzontale dell'impalcatura, consistita nel fissaggio del piano di calpestio con un fragile fil di ferro.
Sempronio, legale rappresentante della Beta, preoccupato per l’accaduto si rivolge al vostro studio per chiedervi parere legale. In questa occasione vi mostra una foto del ponteggio del giorno prima dell’evento in cui chiaramente non vi è traccia della suddetta riparazione provvisoria, evidentemente operata poco prima della caduta di Caio.
Il candidato rediga il parere.

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