martedì 12 luglio 2011

Reato di stalking: reiterazione anche nei confronti di più vittime e mancato assorbimento dell’art. 610 c.p..

Cassazione penale, sez. V, 25 maggio 2011, n. 20895.

Nella sentenza in commento la Suprema Corte affronta la problematica dell’eventuale assorbimento della fattispecie di violenza privata (art. 610 c.p.) in quella di atti persecutori (612 bis). Con riferimento a quest’ultima fattispecie di reato (cd. Stalking) la Corte si occupa anche di stabilire, esclusa la riconducibilità di condotte precedenti alla sua entrata in vigore, la sua configurabilità in presenza di condotte rivolte a soggetti differenti ma determinanti un comune stato di paura.
Il caso è quello di Tizio che con più condotte aveva minacciato e molestato diverse donne abitanti nello stesso condominio.
In primis la Corte afferma, accogliendo l’interpretazione della corte d’appello, che deve essere esclusa la punibilità dei fatti precedenti l’entrata in vigore della norma.
In secondo luogo, si occupa della possibilità che la norma di cui all’art. 612 bis possa essere interpretata nel senso che gli atti molesti possano essere commessi ai danni di più persone.
Sul punto si legge nella sentenza che :“ L'art. 612 bis c.p., introdotto dal D.L. 11/09, punisce a titolo di "atti persecutori” chi con condotte reiterate minacci o molesti taluno, in modo da cagionare un suo perdurante stato dì paura o di ansia o uh suo fondato timore di pericolo per l'incolumità propria o di persone prossime o la costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita.
Il fatto può essere costituito anche da due sole "condotte", come ha ritenuto ineccepibilmente (con rif. a Cass., Sez. 5^ n. 6417/20120, rv. 245881) la Corte di merito.
Tanto premesso è indiscusso che la legge si applichi solo ai fatti commessi dopo la sua entrata in vigore. Ma all'evidenza la preclusione concerne l'evento da cui dipende l'esistenza del reato. Perciò anzitutto il Giudice d’appello si sarebbe dovuto domandare se la reiterazione di atti minatori e molesti, nei confronti di persona già offesa da atti dello stesso genere, attuata dopo l'entrata in vigore della norma integrasse gli estremi del reato.
Il mancato rilievo ha avuto in concreto incidenza non per escludere il reato, bensì la continuazione, perché la Corte di merito ha unificato la posizione degli offesi, offrendo la lettura suindicata della norma, travisando come si è visto che gli offesi sono più d'uno.
Va quindi osservato che la locuzione condotte reiterate vuoi dire che si è in presenza di reato complesso, la cui "condotta criminosa", cioè l'azione od omissione di cui è conseguenza l'evento da cui dipende l'esistenza del reato (art. 40 c.p.) è, nei caso di specie, integrata da atti per sé costitutivi di condotte di minaccia o molestia. Pertanto il carattere decisivo della condotta criminosa consiste nella "ripetizione" di "atti" qualificati "persecutori", in quanto il loro insieme cagiona l'evento ulteriore assorbente del reato sopra indicato.
Il meno grave degli atti previsti integra contravvenzione di "molestia o disturbo alle persone". Ma si tratta di reato di sbarramento (art. 660 c.p.), assorbibile ad esempio anche dall'ingiuria, perciò letteralmente dalla progressiva minaccia di male ingiusto (612).
Già il rilievo della funzione di sbarramento della molestia consente d'intendere che la lettera "minaccia o molesta taluno" non implica che ogni atto costitutivo della condotta criminosa dell'art. 612 bis debba avere ad oggetto la stessa persona. Difatti, la minaccia rivolta ad una persona può coinvolgerne altre o comunque costituirne molestia. Si pensi al caso di colui che minacci d'abitudine qualsiasi persona attenda ogni mattino nel luogo solito un mezzo di trasporto per recarsi ai lavoro. La minaccia in tal caso assorbe bensì la molestia nei confronti della persona cui è rivolta, ma non la molestia arrecata alle altre persone presenti. Perciò può essere decisivo ai fini dell’art. 612 bis, che in diversa occasione altra persona, già molestata, sia oggetto diretto di nuova molestia da parte dell'agente.
È dunque ineludibile l'implicazione che l'offesa arrecata ad una persona per la sua appartenenza ad un genere turbi per se ogni altra che faccia parte dello stesso genere. E se la condotta è reiterata indiscriminatamente contro talaltra, perché vive nello stesso luogo privato, sì da esserne per questa ragione occasionale destinataria come la precedente persona minacciata o molestata, il fatto genera all'evidenza il turbamento di entrambe.
Nella specie la molestia ed ancor più la minaccia, viepiù se accentuata da costrizione, è dimostrata rivolta occasionalmente per la stessa ragione a ciascuna delle persone offese, come ritenuto, al di là del rapporto di famiglia previsto dalla norma (il ricorso, peraltro non contesta la comunicazione motiva tra madre e figlia, rilevato per due volte).
Perciò il Giudice di appello ha anzitutto dato corretto rilievo, già sul piano probatorio, ancorché non costitutivo di reato, alla direzione collettiva; indiscriminata della minaccia occasionalmente rivolta alla B., che si era fatta accompagnare dal sacerdote per dissuaderlo dal reiterare fatti già commessi anche nei confronti di altre persone abitanti nello stesso edificio. Quindi ha incensurabilmente ritenuto che le singole condotte, in quanto ripetute nei confronti di donne di qualsiasi età conviventi nell'edificio (v. il ripetuto arresto dell'ascensore dello stabile, dopo che l'una o l'altra vi si era immessa per sfuggire allo stesso autore dei fatti, ben più del seguirne ostentatamele taluna) le coinvolgesse tutte”.
Con riferimento ai rapporti con il reato di violenza privata i giudici di legittimità affermano che “se la norma incriminatrice di cui all'art. 612 bis è speciale rispetto a quelle che prevedono reati di minaccia o molestia, non lo è rispetto all'art. 610 c.p..
La violenza privata anzitutto può essere commessa con atti per sé violenti ed è poi soprattutto finalizzata a costringere la persona offesa a fare, non fare, tollerare o omettere qualche cosa, cioè ad obbligarla ad uno specifico comportamento.
La previsione dell'art. 610 c.p. perciò non genera solo il turbamento emotivo occasionale dell'offeso per il riferimento ad un male futuro, ma esclude la sua stessa volontà in atto di determinarsi nella propria attività, d'onde il quid pluris di cui all’art. 610 c.p..
In questa luce risulta in conclusione incensurabile la sentenza sia nell'aver ravvisato lì concorso di reati, sia nel ritenere taluni atti turbativi di persone diverse, oltre il soggetto coinvolto dalla singola condotta, sia nel motivare la responsabilità per i fatti ritenuti”.