sabato 16 marzo 2013

La Cassazione in tema di misure cautelari personali.


CASSAZIONE PENALE – Sez. VI – 23 novembre 2012 n. 1750 – Pres. Serpico – Est. Fidelbo – (annulla con rinvio Trib. Salerno 13 giugno 2012)

Libertà personale – Misure cautelari personali – Motivazione – Sussistenza esigenze cautelari – Delitti contro la P.A. – Cessazione rapporto di lavoro del reo.
Nei reati contro la P.A. commessi da funzionari o impiegati pubblici, ai fini dell’applicazione di misure cautelari personali, il giudice può ritenere sussistente il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie anche quando sia cessato o sospeso il rapporto di lavoro del reo con la P.A., dovendo, però, in tal caso, fornire adeguata motivazione con riferimento alle circostanze di fatto che lo inducono a ritenere che il reo potrà tenere condotte criminose analoghe a quelle per le quali è sottoposto a procedimento penale, anche se nella vesta di soggetto estraneo alla P.A..

Commento del dott. Lorenzo Bonomi

La sentenza in commento si inserisce nel solco già tracciato da precedenti decisioni della Corte di Cassazione[1] relative alla possibilità di ritenere sussistenti le esigenze cautelari di cui all’art. 274 lett. c) c.p.p. nel caso in cui il reo, indagato o imputato per un delitto contro la P.A., commesso in pendenza del rapporto di lavoro con la P.A. medesima, non sia più alle dipendenze di questa.
La motivazione assunta dalla Corte di Cassazione sembra essere estremamente semplice e si ancora alla dizione della lettera c) della norma procedurale in precedenza richiamata, il cui incipit è il seguente: “quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta ad indagini o dell’imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali […]”.

Come è evidente, è forte il richiamo agli elementi concreti, di fatto o che investono la personalità dell’imputato, che devono sorreggere la motivazione del giudice nel momento in cui è chiamato a decidere sulla possibilità di applicare o meno una misura cautelare personale.
Ancor più forte sembra essere tale richiamo, in ragione delle molteplici pronunce giurisprudenziali in tal senso, nel caso in cui si verta in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione commessi da soggetto inserito nel suo organico, nello specifico caso in cui il rapporto di lavoro sia cessato nel momento storico in cui il giudice deve applicare o meno la misura cautelare personale richiesta dal Pubblico Ministero.
In tal caso, infatti, è chiaro che il reo non potrà più commettere quel tipo di reato ponendosi come soggetto interno alla pubblica amministrazione, ma non per questo motivo, afferma la Corte di Cassazione, il giudice non deve ritenere esistente il pericolo che il reo commetta reati della stessa specie di quello per il quale si procede. Va ricordato, infatti, che con la locuzione “reati della stessa specie” si intendono tutte quelle figure criminose mediante la creazione delle quali il legislatore ha inteso proteggere il medesimo bene giuridico. Pertanto, la circostanza che il reo non sia più alle dipendenze della pubblica amministrazione, non gli impedirà in senso assoluto di porre in essere reati di cui al Titolo II, Capo I del Codice Penale, potendo egli porsi quale soggetto che concorre dall’esterno alla commissione di tali reati, e, comunque, rimanendo sempre possibile la commissione di reati contro la P.A. commessi da privati.
Nel lasciare aperta la porta a decisioni che applichino misure cautelari personali a soggetti non più inseriti nell’organico della P.A., la Corte di Cassazione impone di effettuare una valutazione di tutti gli elementi di fatto raccolti. Il giudice dovrà valutarli attentamente al fine di comprendere se la posizione assunta dal reo gli consenta realmente di continuare nella perpetrazione di tali crimini quale soggetto estraneo alla P.A., vuoi perché inserito in una organizzazione che ha tali finalità, vuoi perché la sua personalità lo induce a ciò.
Del resto, in conclusione, il principio di diritto in commento altro non è se non la corretta applicazione del principio secondo cui tutte le decisioni giurisdizionali devono essere sorrette da una adeguata motivazione che prenda in considerazione tutti gli elementi di fatto allegati e di diritto coinvolti nella fattispecie all’esame del giudice, principio da tenere ancor più nella massima considerazione quando si tratta di disporre l’applicazione di misure limitative della libertà personale su base cautelare, cioè in un momento in cui, come generalmente accade, non tutte le prove sono state raccolte e non vi è l’apporto garantistico del contraddittorio.


[1] Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 28 gennaio 1997, n. 285; Cass. pen. Sez. VI, 10 marzo 2004, n. 22377; Cass. pen. Sez. VI, 16 dicembre 2009 n. 1963; Cass. pen. Sez. VI, 16 dicembre 2011, n. 9117.

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