sabato 16 marzo 2013

Il delitto di diffamazione: bilanciamento tra esercizio del diritto e tutela dell’onore.


CASSAZIONE PENALE –  Sez. V – 8 Gennaio 2013 n.745 – Pres. Grassi – Est. Bevere – (Annulla senza rinvio Corte d’Appello Roma, 20 luglio 2011, n. 9228/2008).
Diffamazione – Espressione “ex picchiatore fascista” – Riscontro dati storici – Antigiuridicità – Esclusione.
L’espressione “ex picchiatore fascista”, pur evidenziando, con la preposizione “ex”, un dato del passato ha indubbiamente una connotazione negativa, perché evocativa del vissuto di una persona che andava in piazza, disponibile non solo a manifestare il proprio pensiero, a confrontare le proprie idee e a verificare la loro capacità persuasiva verso il dissidente, ma anche a manifestare la propria forza fisica e a verificare la sua capacità persuasiva, nel previsto e realizzato contatto diretto, verso il dissidente medesimo; se tale espressione però si basa su incontestabili dati storici, questi ultimi conducono necessariamente alla rimozione dell'antigiuridicità della sintetica definizione compiuta nei confronti del loro protagonista, sia in riferimento al requisito della verità, sia in riferimento al requisito della continenza.

Diffamazione – Esercizio diritto di critica – Scriminante – Condizioni – Continenza – Significato.
Continenza significa “proporzione”, “misura”, e continenti sono quei termini che non hanno equivalenti e non sono sproporzionati ai fini del concetto da esprimere in un civile rapporto dialogico e dialettico; la continenza formale non equivale a obbligo di utilizzare un linguaggio grigio e anodino, ma consente il ricorso a parole sferzanti, nella misura in cui siano correlate al livello della polemica, ai fatti narrati e rievocati.

Commento dell' avv. Mirella Pocino 

La sentenza in commento si inserisce nell’alveo di quel filone giurisprudenziale volto all’analisi e alla delimitazione dei rapporti tra l’esercizio del diritto di critica ex art. 51 c.p. ed il reato di diffamazione ex art. 595 c.p.
Nel caso di specie l’imputato era stato condannato per il reato di diffamazione ex art 595, comma III, c.p. per avere offeso la reputazione del danneggiato definendolo “ex picchiatore fascista”, condotta posta in essere a mezzo di una comunicazione informatica su un sito web. Di contro, la Suprema Corte ha ritenuto di non confermare la sentenza della Corte di Appello di Roma in quanto non ha ravvisato la sussistenza dell’esercizio antigiuridico del diritto di informazione, del quale il diritto di critica costituisce una specifica dimensione, nei confronti dell’imputato il quale, benché sia ricorso all’utilizzo di espressioni non gratificanti ma pienamente correlate e proporzionate al tema e al livello della polemica, ha descritto un dato storico in maniera ineccepibile.

Precisamente l’art. 595, comma III, c.p. sanziona penalmente quelle condotte che offendono il bene giuridico dell’altrui reputazione “Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a lire un milione.”
Non può non osservarsi come sia ben possibile perpetrare tale delitto nel contesto, attualmente notevolmente diffuso, della comunicazione telematica attraverso il web. Difatti, il diffuso ricorso allo strumento di internet consente una maggiore e più immediata diffusione di notizie o fatti che possano ledere l’altrui dignità e, quindi, una maggiore propagazione degli effetti lesivi dell’illecito che dal mondo virtuale trasmigrano al mondo reale e viceversa. Inoltre la giurisprudenza è concorde nell’affermare che detto reato può essere commesso anche per via telematica o informatica poiché l'azione di immissione del messaggio "in rete" è idonea a ledere il bene giuridico dell'onore. (Cass. Pen. Sez. V, 27 dicembre 2000, n. 4741),
Volgendo l’attenzione sulle connotazioni morfologiche del reato di diffamazione ex art. 595 c.p., occorre osservare che esso è volto a tutelare il bene giuridico della reputazione personale altrui. Tale è quell’insieme di opinioni o attestazioni di stima riconosciute in capo ad un individuo nell’ambito della realtà sociale in ragione di proprie qualità morali, professionali o generalmente attinenti all’esplicitazione della propria personalità nella dimensione sociale di appartenenza, costituzionalmente tutelata dall’art 2 Cost. (Corte di Cassazione, 5 Dicembre 1956).
Inoltre, il reato di diffamazione appartiene alla categoria dei reati di evento e si consuma in quel dato luogo (anche virtuale) o in quel dato momento in cui i terzi vengano a conoscenza dell’espressione ingiuriosa. Per quanto concerne la specifica dimensione dell’attuazione della condotta diffamatoria attraverso il ricorso a frasi o immagini immesse nel web, occorre tener conto del momento in cui viene attivato il collegamento ( Corte di Cassazione 25 Luglio 2006, n. 25875).
In ordine alla configurazione dell’elemento psicologico nel delitto di diffamazione la giurisprudenza ritiene necessaria la sussistenza del dolo generico, cioè della volontà consapevole di ricorrere all’utilizzo di espressioni lesive dell’altrui reputazione. Pertanto, il dolo può essere tanto generico che eventuale (nell’ipotesi di accettazione del rischio dell’offesa). Di contro, non è ritenuto necessario l’animus diffamandi, ovvero dell’intenzione di offendere la reputazione della persona cui si attribuiscono determinati fatti, azioni o circostanze. (Corte di Cassazione 6 Giugno 1988, n. 6671). Il tentativo è ipotesi ritenuta pacificamente configurabile.
Contestualizzando la fattispecie diffamatoria nell’ambito della specifica ipotesi di reato di diffamazione a mezzo stampa di cui all’art. 595 co. 3, c.p., occorre osservare che questa trova un limite nella’esercizio del diritto di critica ex art. 51 c.p., comma I, il quale così recita ““L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità esclude la punibilità”.
La scriminante dell’esercizio del diritto di cui all’art. 51 c.p. è espressione del principio qui iure sui utitur naeminem laedit e del principio di non contraddizione, in ragione dei quali il nostro ordinamento non può sanzionare  una condotta la quale, benché sia astrattamente sussumibile in una fattispecie di reato, tuttavia si sostanzi nell’esercizio di una facoltà riconosciuta dall’ordinamento.
Il rimando operato da tale disposizione ad altre norme dell’ordinamento attributive di diritti o facoltà ne connotano la struttura di norma penale in bianco; pertanto l’organo giudicante chiamato a dirimere la controversa dovrà ricorrere al principio del bilanciamento degli interessi coinvolti, laddove si renda necessaria la sua applicazione al caso di specie.
Per quanto concerne l’esercizio del diritto ex art. 51 c.p., comma I, occorre evidenziare come sia connotato da limiti interni ed esterni. I primi (limiti interni) sono relativi al quomodo dell’esercizio del diritto riconosciuto in capo ad un soggetto, nella sua dimensione di posizione giuridica soggettiva attributiva di poteri teleologicamente orientati alla realizzazione di un proprio interesse. I secondi (limiti esterni) trovano riscontro in altre norme di pari dignità del nostro ordinamento, le quali riconoscono in capo ai consociati ulteriori interessi alla stregua dei quali l’organo giudicante deve operare un giudizio di bilanciamento in relazione alla prevalenza o meno del diritto esercitato ex art. 51 c.p., comma I.
Ai fini del commento della sentenza della Suprema Corte in oggetto, occorre porre l’attenzione sull’esercizio del diritto di cronaca e di critica quali scriminanti del reato di diffamazione. Precisamente tali diritti trovano copertura costituzionale nell’art. 21 Cost. e presentano una duplice dimensione esplicativa: l’una dimensione è relativa alla garanzia del singolo consociato dell’esercizio del proprio diritto di espressione del pensiero. L’altra involge la finalità teleologica del diritto de quo che si sostanzia nella relativa natura di strumento di partecipazione democratica alla vita sociale della comunità di riferimento.
Più specificatamente, il diritto di critica si differenzia da quello di cronaca in quanto attiene all’espressione di un giudizio o di una opinione di cui non può non ammettersi l’ontologica attinenza a una interpretazione soggettiva della realtà. Di contro, il diritto di cronaca si sostanzia nella narrazione di fatti alla stregua dei canoni della verità (rectius: verosimiglianza), pertinenza e continenza. Alla luce di quanto affermato, l’esercizio del diritto di critica può essere limitato solo in un’ottica di tutela dell’interesse pubblico e sociale della critica stessa (Corte di Cassazione 3 Luglio 1993, n. 6493).
Per quanto concerne il tema della diffamazione a mezzo stampa, la giurisprudenza della Suprema Corte ha ribadito più volte il principio di diritto in virtù del quale la verità del fatto, l’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti e la continenza nell’esposizione degli stessi siano requisiti imprescindibili per il corretto esercizio del diritto di critica, che pur trova apposita copertura costituzionale ex art. 21 Cost (Corte Cassazione, 4 Luglio 2008 , n. 35646).
Più precisamente la verità del fatto che si pone alla base della condotta di critica consiste nel divieto di attribuire ad un determinato soggetto un fatto o una dichiarazione o uno specifico comportamento dallo stesso mai tenuto o espresso e che, pertanto, non trovi rispondenza nella realtà sia attuale sia passata come nel caso de quo.
Inoltre, l’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti ricorre qualora essi riguardino personalità o circostanze fattuali di pubblico dominio ma che non possono legittimare una illegittima esposizione degli stessi al giudizio critico.
Da ultimo, non in ordine di importanza, rileva il carattere della continenza delle espressioni verbali utilizzate, che attiene al quomodo dell’esercizio del diritto di critica da parte del giornalista. Difatti esso ne costituisce un vero e proprio limite che deve essere ritenuto travalicato laddove le espressioni utilizzate siano connotate dal carattere denigratorio e non siano proporzionate rispetto al fine della cronaca e della critica del fatto in oggetto. Pertanto, il diritto di cronaca del giornalista deve essere posto in essere adottando un linguaggio adeguato che si attenga all’accertamento della verità del fatto riportato o alla proporzionalità dei termini adottati in relazione all’esigenza di narrare un fatto connotato da profili di pubblico interesse (Corte di Cassazione, 4 Luglio 2008, n. 35646).
La Corte di Cassazione, inoltre,  ha affermato che anche nelle ipotesi di  intensa  polemica su temi politici  e di notevole rilievo sociale (espressione del principio ex art. 21 Cost.), essa non può e non deve degenerare in attacchi arbitrari alla dignità della persona cui ci si riferisce (Corte di Cassazione 4 Luglio 2008, n. 35646).

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