sabato 16 marzo 2013

La Cassazione sul reato di ricettazione.


CASSAZIONE PENALE – Sez. II – 9 gennaio 2013 n. 843 – Pres. Petti – Rel. Gallo – (Annulla senza rinvio sentenza Corte d’appello di L’Aquila sezione penale, 4 aprile 2012).
Ricettazione – Commercio di sostanze dopanti attraverso canali diversi da farmacie e dispensari autorizzati – Profitto – Utilità negativa.
Il reato di ricettazione ex art. 648 c.p. e quello di commercio di sostanze dopanti attraverso canali diversi da farmacie e dispensari autorizzati ex art. 9 co. 7 L. n. 376 del 2000,  possono concorrere per tre semplici presupposti: il primo è dato dalla differenza strutturale in capo ai due reati ed in considerazione del fatto che, il commercio di sostanze dopanti può essere integrato con condotte acquisitive diverse e non ricollegabili ad un delitto; il secondo è dato dalla differente tutela che si intende perseguire; da un lato la tutela del patrimonio dall’altro la tutela della salute; il terzo deriva dalla sussistenza del concorso apparente di norme con l’art. 648 c.p., per la sola  fattispecie di cui al primo comma del citato art. 9,  nel quale la condotta incriminata, procura, somministra, assume o favorisce comunque l’uso di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero di modificare i risultati derivati dai controlli sull’uso di farmaci o sostanze dopanti; quanto poi alla nozione di profitto contenuta nell’art. 648 c.p., questa deve essere intesa come qualsiasi utilità anche non patrimoniale, ivi compresa un’utilità morale, che l’agente si propone di perseguire con la condotta delittuosa posta in essere, arrecando un danno ad altri; pertanto, la nozione di profitto non può comprendere la mera utilità negativa, sia pure immaginaria o fantastica, sussistente nella lesione della propria sfera soggettiva senza recare danno ad  altri. 

Commento della dott.ssa Serena Sammarco.

Nel caso di specie il Gup del Tribunale di Pescara e la Corte d’Appello di L’Aquila – quest’ultima  in parziale riforma della sentenza di primo grado, rideterminando le pene inflitte agli appellanti – avevano ritenuto gli imputati colpevoli per il reato di ricettazione di farmaci dopanti, ritenuta l’ipotesi lieve. I procuratori degli imputati eccepivano l’erronea interpretazione dell’art. 648 c.p. sia per assenza del fine di lucro che per assenza del delitto presupposto, la mancata consapevolezza della provenienza illecita dei medicinali dopanti e l’assenza di profitto nell’acquisto di sostanze dopanti per mero piacere narcisistico.  Eccepivano, altresì, la sussistenza di un rapporto di specialità tra l’art. 9 L. 376/2000 e l’art. 648 c.p. con l’applicazione al caso concreto della legge speciale. La Suprema Corte di Cassazione, ritenendo in parte fondate le eccezioni sollevate dai ricorrenti, assolveva gli imputati per insussistenza del fatto. Il fine perseguito dai ricorrenti era quello di modificare il proprio aspetto fisico con l’uso di sostanze dopanti senza perseguire alcun profitto di natura sportiva mediante la partecipazione a competizioni o manifestazioni di vario genere. Ne derivava un’utilità meramente negativa, ledendo esclusivamente la propria sfera soggettiva e conseguentemente l’assenza di un profitto.

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