sabato 16 marzo 2013

La Cassazione in tema di accertamento della idoneità delle emissioni sonore rumorose.


CASSAZIONE PENALE – Sez. I  – 4 dicembre 2012 n. 1787 – Pres. Chieffi – Est. Tardio –  (dichiara inammissibilità ricorso)

Contravvenzioni – Disturbo del riposo o delle occupazioni – Idoneità emissioni rumorose.
In tema di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone di cui al co. 1 art. 659 c.p., è necessario che le emissioni sonore rumorose siano potenzialmente idonee a disturbare il riposo o le occupazioni di un numero indeterminato di persone, non occorrendo l’effettivo disturbo alle stesse; pertanto, è sufficiente che anche solo una di esse si sia lamentata.

Contravvenzioni – Disturbo del riposo o delle occupazioni – Accertamento – Idoneità emissioni rumorose – Non necessità perizia tecnica – Soglia normale tollerabilità.
Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 659, co. 1 c.p., l’attitudine delle emissioni sonore a disturbare il riposo o le occupazione delle persone non deve essere necessariamente accertata mediante perizia o consulenza tecnica fonometrica; pertanto il giudice può fondare la decisione su altri elementi probatori acquisiti agli atti, dai quali risulti che, per le modalità d’uso e di propagazione, la fonte sonora emetta rumori di intensità tale da superare la soglia di normale tollerabilità riferita alla media delle persone che vivono nell’ambiente in cui avvengono le emissioni rumorose.

Contravvenzioni – Disturbo del riposo o delle occupazioni – Accertamento – Criteri di valutazione – Intollerabilità emissioni sonore – Limiti legali – Attività rumorose – Soglia normale tollerabilità – Attività non rumorose.
Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 659 co. 1 c.p., non rilevano i limiti legali di rumorosità delle emissioni sonore, poiché questi sono fissati esclusivamente per le attività professionali, commerciali o imprenditoriali rumorose di per sé, tra cui non rientra la gestione di un locale bar discoteca, che, se esercitata con il doveroso rispetto, non è attività rumorosa, per la quale, pertanto, si deve fare riferimento a criteri di normale sensibilità e tollerabilità in un determinato contesto socio-ambientale ai fini della valutazione della intollerabilità delle emissioni sonore.

Commento del dott. Lorenzo Bonomi

La sentenza in commento sembra riunire in un’unica decisione tutte le determinazioni assunte precedentemente dalla Corte di Cassazione in tema di accertamento della idoneità delle emissioni sonore rumorose richiamate dall’art. 659 co. 1 c.p.. Lo spunto viene da una vicenda per la quale era stato sottoposto a procedimento penale il gestore di un bar-discoteca, a seguito di numerose segnalazioni e esposti da parte degli abitanti nei dintorni di detta attività commerciale, i quali lamentavano il fatto che, nelle ore di apertura notturna del locale, da questo provenivano rumori intollerabili dovuti all’alto volume della musica.
Chiamata a decidere sulla correttezza della decisione del Tribunale che aveva condannato il ricorrente, la Corte di Cassazione ha colto l’occasione per ribadire ancora una volta alcuni principi fondamentali, oramai cristallizzati in numerose decisioni conformi, che attengono proprio all’accertamento della rumorosità delle emissioni sonore, differenziando, tra l’altro, tra la previsione di cui al primo comma e quella del secondo comma.    
        
In quest’ultimo, infatti, si fa espresso riferimento a limiti legali di rumorosità delle emissioni sonore provocate da chi esercita un’attività o un mestiere rumoroso; tale specificazione, presente nella lettera del secondo comma, ha indotto la Suprema Corte a ritenere che il criterio legale può essere adottato esclusivamente per le attività imprenditoriali, commerciali o professionali che siano rumorose per loro natura. Quando tali attività non comportano necessariamente l’emissione di rumori fastidiosi, allora non si rientra più nel campo di applicazione del secondo comma, ma occorre far riferimento al primo, nel quale muta radicalmente la prospettiva per ciò che attiene all’accertamento del limite di tollerabilità delle emissioni sonore.
Facendo rientrare la gestione di un bar-discoteca tra le attività non rumorose per loro natura, la Corte di Cassazione afferma che, ai fini di detto accertamento, si dovrà aver di conto la soglia di sensibilità della media delle persone che abitano quel determinato luogo, assumendo quindi un criterio socio-ambientale, più che tecnico. Questa circostanza, peraltro, rileva anche ai fini delle modalità dell’accertamento, perché se non occorre avere a riferimento valori di rumorosità prestabiliti dalla legge, allora neppure sarà necessaria una perizia tecnica fonometrica. Non si tratterà più di verificare il rispetto di un limite prefissato, ma il compito del giudice avrà un margine di discrezionalità ben più ampio, dovendo egli calarsi nella realtà delle persone che abitano, o che frequentano abitualmente il luogo in cui avvengono le emissioni rumorose, e valutare se tali emissioni sono effettivamente atte a disturbare il riposo o le occupazioni, avendo come guida in tale compito le prove raccolte nel corso del dibattimento.
La Corte, infine, anche se tale considerazione avviene nel testo della sentenza con priorità logica rispetto alle altre, ribadisce la natura di reato di pericolo presunto per la contravvenzione di cui all’art. 659 co. 1 c.p.[1], che quindi anticipa il momento della punibilità del fatto a quando un evento concretamente lesivo può non essersi ancora verificato. Viene perciò affermato che l’accertamento deve essere effettuato sulla potenzialità dei rumori a recare disturbo ad un numero indeterminato di persone. Le emissioni rumorose, infatti, hanno rilevanza penale non in quanto abbiano effettivamente arrecato disturbo ad alcuno, ma solo se sono idonee a ledere l’interesse tutelato dalla norma, che è la quiete pubblica. Trattandosi di reato di pericolo, non è quindi necessario accertare quante persone siano state effettivamente infastidite dalle emissioni rumorose, ma è sufficiente verificare la idoneità di queste ad essere percepite come tali da un numero indeterminato di soggetti, quando anche solo uno di essi si sia in concreto lamentato.


[1] Cfr. ex multis, Cass. pen., Sez. I, 8 ottobre 2004 n. 40393.

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