domenica 17 ottobre 2010

Le Sezioni Unite riconoscono la figura della corruzione in atti giudiziari “susseguente”. (c.d. caso Mills)

Cassazione penale, Sezioni Unite, 25 febbraio 2010, n. 15208.

La questione giuridica affrontata dalle Sezioni Unite, dirimendo un contrasto interno alla Sesta sezione penale, è quella di stabilire “se il delitto di corruzione in atti giudiziari sia configurabile nella forma della corruzione susseguente”.
La vicenda è quella di Tizio che, deponendo come testimone in un processo a carico del noto imprenditore Caio, ometteva di dichiarare quanto a sua conoscenza in ordine al ruolo di Caio nella struttura di società offshore creata dallo stesso Tizio, struttura fuori bilancio utilizzata nel corso del tempo per attività illegali e operazioni riservate del “Television Group”. In particolare egli non riferì ai giudici quanto sapeva in ordine alla proprietà e al controllo delle società offshore della “Televisione Group” e di conseguenza non rivelava che delle stesse erano beneficiari lo stesso Caio, Mevio e Sempronio., e che il controllo era esercitato da fiduciari della famiglia di Caio.
Per averlo tenuto indenne dalle accuse, Caio ricompensava Tizio, successivamente alla deposizione, con una somma di 600.000 dollari.
Per comprendere il problema, davvero molto spinoso e non definitivamente risolto da questa sentenza, è opportuno innanzitutto avere ben presente il testo dell’art. 319 ter c.p..
Art. 319 ter Corruzione in atti giudiziari: “Se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da tre a otto anni. Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena e’ della reclusione da quattro a dodici anni; se deriva l’ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all’ergastolo, la pena e’ della reclusione da sei a venti anni”. (Articolo aggiunto dalla L. 26 aprile 1990, n. 86)
A questo punto bisogna valutare la compatibilità di questa fattispecie criminosa con la forma “susseguente” di corruzione, che si ha quando la retribuzione concerna un atto già compiuto in precedenza da parte del pubblico ufficiale.
Secondo un primo orientamento (che si rinviene in Cass., Sez. VI, 4 maggio 2006, n. 33435, Battistella e altri) non è ipotizzabile la corruzione in atti giudiziali nella forma susseguente.
Il dato normativo che gioca un ruolo decisivo nella ricostruzione interpretativa di detta sentenza è racchiuso nell’inciso “per favorire o danneggiare una parte…”, che evidentemente si riferisce al mercimonio di un atto futuro, per il cui compimento il pubblico ufficiale assume un impegno.
Un diverso ragionamento, che ricomprendesse nell’area di tipicità della norma anche la mera retribuzione si atti pregressi, si risolverebbe in una forzatura interpretativa in malam partem con l’attribuzione di una valenza anche causale, oltre che finale, dell’espressione “per favorire o danneggiare”, come se ad essa fosse affiancata anche quella “per aver favorito e danneggiato”. Una lettura di questo tipo sarebbe in contrasto con il principio di tassatività.
La dottrina, largamente a favore di questo indirizzo, ha altresì evidenziato che il dolo specifico caratterizzante la fattispecie di cui all’art. 319 ter c.p. sarebbe assolutamente incompatibile con l’ipotesi di “corruzione susseguente” contraddistinta necessariamente da un dolo di tipo generico. Ciò discenderebbe dalla incompatibilità di un comportamento proteso ad ottenere un evento successivo (i fatti sono commessi “per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo) con la già avvenuta realizzazione dell’atto contrario ai doveri d’ufficio.
Un orientamento nettamente difforme si rinviene in altre decisioni della Sesta Sezione e, in particolare, nella sentenza 3 luglio 2007, n. 25418, Giombini e altro.
In quest’ultima pronuncia i giudici di legittimità affermano che il richiamo dell’art. 319 ter c.p. all’integrale contenuto degli artt. 318 e 319 c.p., impone l’adattamento della struttura della corruzione in atti giudiziari ad ambedue i modelli, della corruzione antecedente e di quella susseguente.
L’ampiezza della disposizione incriminatrice, che racchiude tutte le ipotesi di corruzione (propria e impropria, antecedente e susseguente), assoggettandole alla medesima pena, troverebbe ragione nelle tutela della funzione giudiziaria, costituzionalmente prevista per il riconoscimento dei diritti fondamentali e la il rispetto del principio di legalità.(Sul punto v. amplius Cass., sez. VI, 18 settembre 2009, n. 36323, Drassich)
Quanto all’elemento soggettivo, la “corruzione in atti giudiziari susseguente” sarebbe caratterizzata dal dolo generico della corruzione generica e dal dolo specifico proprio della corruzione in atti giudiziari che però si atteggia ad elemento antecedente della condotta tipica.
Le Sezioni Unite aderiscono al secondo dei due orientamenti sopra illustrati, sancendo, dunque, la configurabilità della “corruzione in atti giudiziari susseguente”.
A sostegno di questa scelta i giudici di legittimità adducono innanzitutto il dato letterale dell’art. 319 ter, che inequivocabilmente riconnette la sanzione in esso prevista “ai fatti indicati negli artt. 318 e 319 c.p.”, disposizioni che contemplano tutti i tipi di corruzione: propria, impropria, antecedente e susseguente. Una interpretazione di diverso tipo violerebbe, secondo la Corte, il principio di legalità.
La peculiarità dell’art. 319 ter c.p. sarebbe quella di riconnettere a tutti i fatti indicati negli artt. 318 e 319 c.p. la finalità di “favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo”.
Ciò che conta, dunque, è la finalità perseguita al momento del compimento dell’atto del pubblico ufficiale: se essa (per qualsiasi motivo: ad esempio, rapporti di amicizia o di vicinanza culturale o politica; prospettive di vantaggi economici o benefici pubblici o privati) è diretta a favorire o danneggiare una parte in un processo, è indifferente che l’utilità data o promessa sia antecedente o susseguente al compimento dell’atto, come pure è irrilevante stabilire se l’atto sia o non sia contrario ai doveri d’ufficio.
Da ultimo si evidenzia il rapporto di specialità intercorrente tra la corruzione “comune” di cui agli artt. 318 e 319 c.p. e la corruzione in atti giudiziali, con la conseguenza che la species di cui all’art. 319 ter c.p. non può non contenere tutti gli elementi del genus, ai quali si aggiunge l’elemento specializzante di essere commessa per favorire o danneggiare una parte.


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