martedì 20 marzo 2012

L'elemento soggettivo del reato: il dolo.

Appunti di diritto penale

di Filippo Lombardi

Originariamente, con la concezione psicologica della colpevolezza, gli elementi soggettivi del dolo e della colpa erano considerati legami psichici tra soggetto e fatto, ed inseriti appunto nell’alveo della colpevolezza. Con la concezione c.d. normativa della colpevolezza, abbiamo già notato come gli stessi siano stati “trasferiti” nell’alveo della tipicità, poiché valutati come elementi descrittivi della fattispecie. In altre parole, se un soggetto commette obbiettivamente un furto, ma non vi è il requisito del dolo specifico richiesto dall’art. 624 cod. pen., non è che il soggetto non sarà colpevole (3° stadio), bensì non si arriverà nemmeno al controllo dell’antigiuridicità (2° stadio). Il reato viene infatti meno già sul piano della tipicità.
Cerchiamo di comprendere quindi cosa sia il dolo e cosa sia la colpa. Per fare ciò, bisogna leggere gli articoli 42 e 43 del codice penale. Il primo ci dice, al comma II, che nessuno può essere punito per un delitto se non l’ha commesso con dolo, salvo che per quel delitto sia prevista espressamente la punibilità per colpa, preterintenzione, o per altro titolo (comma III, “…posto altrimenti a carico dell’agente”). Nelle contravvenzioni, invece, vale il principio opposto: nel silenzio della legge vale la responsabilità per entrambi i titoli (dolo o colpa), mentre se la legge si esprime può prevedere che la contravvenzione sia punibile solo per dolo o solo per colpa. A questo punto ci sorge il quesito: qual è la differenza tra dolo e colpa? E cos’è la preterintenzione? Vediamoli singolarmente.
IL DOLO: ELEMENTI COSTITUTIVI E OGGETTO.
L’articolo 43 comma I ci indica che il delitto (ma possiamo dire più genericamente “il reato”) è doloso o secondo l’intenzione quando l’evento che lo caratterizza è preveduto e voluto dal soggetto agente come conseguenza della sua azione o omissione.
Comprendiamo, quindi, che i due elementi che fondano il dolo sono la previsione e la volontà. La previsione è coscienza e consapevolezza. La volontà è forza psichica che si innesta sui decorsi causali, portandoli avanti. Originariamente la dottrina si divideva in due correnti di pensiero. La prima riteneva che la previsione, o rappresentazione, coprisse tutti gli elementi tranne l’evento, e che l’evento potesse essere coperto solo dalla volontà (teoria della rappresentazione). La seconda, invece, riteneva che anche la volontà si innestasse necessariamente su tutti gli elementi della fattispecie, compresi quelli diversi dall’evento (teoria della volontà). Attualmente, si reputa che rappresentazione e volontà debbano coprire tutti gli elementi della fattispecie normativa per dare vita ad un delitto doloso. Dicendo questo abbiamo già sostanzialmente risposto ad un altro interrogativo: qual è l’oggetto del dolo? L’oggetto del dolo è il fatto tipico, cioè tutto ciò che è inserito nella fattispecie tipica. Lo si evince, non dalle norme già citate, bensì dall’articolo 47 cod. pen. che disciplina l’errore sul fatto tipico.
L’articolo 47 infatti ci dice che, nel momento in cui il soggetto compie il fatto a causa di un errore sul fatto tipico, cioè di una falsa rappresentazione fattuale di uno degli elementi della fattispecie normativa, il dolo sarà escluso e, al massimo sarà possibile la punibilità per colpa se quell’errore era in concreto evitabile con una maggiore diligenza. Tornando a noi, se abbiamo detto che la falsa rappresentazione del fatto tipico esclude il dolo, ciò può essere tradotto con questo ragionamento: solo una esatta rappresentazione del fatto tipico può lasciare integro il dolo >> il dolo si fonda sulla esatta rappresentazione del fatto tipico >> il dolo ha per oggetto il fatto tipico.
Traiamo ulteriori conseguenze. Dire che il dolo ha per oggetto il fatto tipico significa dire che esso deve innestarsi prevalentemente su: condotta, nesso di causalità, evento. Ma anche sulle caratteristiche del soggetto passivo. In parole povere, il soggetto agente deve rappresentarsi che, tenendo quella specifica condotta, si originerà quell’evento, e deve portare avanti volontariamente la propria condotta, per originare un evento, quindi, voluto. Il dolo relativo al nesso causale non è conoscenza tecnica del suo contenuto. E’ irrilevante che Tizio, che getta Caio da un’altura, si rappresenti il modo preciso con cui si cagionerà l’evento morte (se per infarto durante la caduta, se per impatto mortale, se per dissanguamento derivante da lesioni riportate durante la caduta, ecc). Tizio deve semplicemente sapere che alla sua condotta corrisponderà l’evento morte e che l’evento morte è causato dalla sua azione. Ci si interrogava su se l’agente debba conoscere l’illiceità della propria condotta lesiva o pericolosa, oppure basti che conosca l’offensività della stessa. Si propende per la conoscenza dell’offensività, poiché esiste il principio ignorantia legis neminem excusat. In base a questo principio, i consociati sono reputati in grado di conoscere sempre l’illiceità di un comportamento, salvo i casi di ignoranza inevitabile, ai sensi della sentenza n. 364/88 della Corte Costituzionale. Si richiede, pertanto, che il soggetto agente sappia che con la sua condotta lederà o porrà in pericolo un bene del soggetto passivo.
LE CATEGORIE DI DOLO.
Il dolo può assumere nature diverse. Esistono innanzitutto il dolo generico e il dolo specifico. Il dolo generico può essere definito come rappresentazione e volontà di causare l’evento con la propria condotta, a prescindere dal motivo specifico che ha portato l’agente a compiere l’azione o l’omissione (Esempio: l’omicidio). Il dolo specifico è il dolo che a questa caratteristica abbina anche il movente, cioè la causa specifica che ha portato il soggetto ad agire od omettere l’azione (Esempio: il furto, che richiede il fine di trarre profitto per sé o per altri). Il dolo specifico altro non è che la tipizzazione del movente.
Il dolo può essere alternativo, quando un soggetto si rappresenta due o più eventi come possibili conseguenze del fatto e li approccia positivamente tutti. Cioè, li vuole indifferentemente, pur consapevole che solo uno si verificherà concretamente.
Esistono inoltre due ulteriori versioni del dolo. Quelle del dolo d’impeto e del dolo di proposito. Il dolo d’impeto si ha nel momento in cui tra l’emersione del proposito criminoso e la sua attuazione non trascorre lasso di tempo apprezzabile (esempio: Tizio vede Caio “flirtare” con la sua fidanzata. Si reca presso di lui e lo ferisce.). Al contrario, se tra la fase dell’ideazione e la fase dell’esecuzione intercorre un tempo rilevante, si parlerà di dolo di proposito.
La differenza tra dolo di proposito e premeditazione riguarda il fatto che la premeditazione (che è circostanza aggravante nel delitto di omicidio, e comporta l’applicazione dell’ergastolo) presuppone il dolo di proposito, ma si fonda sui seguenti elementi, così come indicati da dottrina e giurisprudenza:
1) Elemento cronologico. Ci deve essere un lasso di tempo apprezzabile tra la fase dell’ideazione e la fase dell’esecuzione.  
2) Elemento ideologico. Il lasso di tempo deve essere sufficiente ed idoneo per un “ripensamento” sull’azione criminosa da intraprendere. E il ripensamento non dev’essersi concretizzato positivamente. Il soggetto deve quindi aver mantenuto il proposito.
3) Macchinazione. Questo lasso di tempo deve essere utilizzato dall’agente per progettare mezzi, circostanze e modalità dell’azione criminosa futura. Contiene un’altra caratteristica, cioè la cosiddetta preordinazione, la quale riguarda solo la decisione riguardo ai mezzi. Quindi, la preordinazione da sola è sintomo di una probabile premeditazione, ma non è sufficiente. Detto in altri termini: se c’è premeditazione c’è per forza preordinazione; se c’è preordinazione, non è detto che ci sia premeditazione.
Esistono poi il dolo di danno e il dolo di pericolo, a seconda della volontà dell’agente, rispettivamente a ledere il bene giuridico o a porlo in una situazione tale che esso sia posto in pericolo.
Un discorso a parte va fatto per l’intensità del dolo. Il dolo può assumere in tal senso tre forme: dolo intenzionale, dolo diretto, dolo eventuale.
Il dolo intenzionale (anche detto diretto di primo grado) è la forma massima del dolo. Si ha quando l’evento costituisce il preciso fine dell’agente. Tizio spara a Caio perché vuole la sua morte.
Il dolo diretto (anche detto diretto di secondo grado, qualora si utilizzi per il dolo intenzionale la dicitura “diretto di primo grado”) è la forma di dolo intermedia. Si ha quando un soggetto prevede che l’evento si verificherà con alta probabilità, ne vuole l’accadimento ma come evento non principale, bensì collaterale e accessorio rispetto ad un fine principale difforme. Il rapinatore, dopo la rapina in banca, corre via per assicurarsi l’impunità, ma è braccato dal poliziotto. Il rapinatore si gira verso di lui mentre corre ed esplode dei colpi di pistola verso il poliziotto, che viene colpito da uno di essi e muore. La morte del rapinatore non è fine principale della sua azione criminosa, ma il soggetto la prevede e la vuole perché conseguenza altamente probabile e collaterale dell’azione criminosa complessivamente considerata, la quale puntava ad altro fine (in tal caso il profitto derivante dalla rapina).
Il dolo eventuale (anche detto dolo indiretto) è la forma più problematica di dolo. Esso fu definito originariamente secondo la teoria del consenso cioè, per esserci tale tipo di dolo, il soggetto agente doveva prevedere l'evento come possibile conseguenza della sua condotta, non volerlo come evento primario (in tal caso si tratterebbe di dolo intenzionale), e acconsentire alla sua verificazione. Questa teoria fu "corretta" (perché ritenuta non in grado di contemplare i casi in cui più che consenso si fosse trattato di rassegnazione) attraverso il cambio repentino della parola "consenso" con le parole "accettazione del rischio", per cui si diceva che il soggetto doveva prevedere l'evento come possibile conseguenza della propria condotta e accettare il rischio della sua verificazione.
Il problema che sorse, in virtù di quest'opera definitoria, fu quello della differenziazione con la colpa cosciente, in quanto essa, che pure annovera tra i suoi caratteri quello della previsione, ben avrebbe potuto interpretarsi come comprendente una sorta di accettazione del rischio. Un soggetto agente infatti può prevedere un evento, accettarne il rischio ma non volerlo. Si era compreso quindi che non si poteva differenziare il dolo eventuale dalla colpa cosciente tramite l'elemento della rappresentazione (e dell'accettazione del rischio, elementi presenti in entrambi gli stati psichici) ma che bisognava battere sul requisito della volontà. Arrivati a questo punto molte teorie furono avanzate. Le più importanti sono così sintetizzabili:
Secondo Frank (c.d. prima formula di Frank) la distinzione deve poggiare sull'ipotesi in cui il soggetto agente venga a conoscenza che la sua azione porterà sicuramente all'evento. Bisogna immaginare cosa farebbe l'agente: se si può ipotizzare che egli si allontanerebbe dall'agire, il suo stato psichico deve essere etichettato come colpa cosciente; al contrario, se può ipotizzarsi che egli continuerebbe nell'azione così come ha fatto, si trova in dolo eventuale.
Lo stesso Frank elaborò poi un'altra teoria, basata sul vantaggio o sullo svantaggio che l'evento lesivo o pericoloso reca all'agente. Se l'evento comporta conseguenze negative nella sfera giuridico-patrimoniale dell'agente, si può dire che l'elemento soggettivo non può mai essere quello della volontà, in quanto si dovrebbe ammettere che sia possibile che una persona voglia andare consapevolmente contro i propri interessi. Se l'evento comporta conseguenze vantaggiose, si può ammettere la volontà e quindi il dolo eventuale. Questa teoria però non può applicarsi sempre, in quanto per sua natura trova in se stessa un paradosso. E' inapplicabile ai crimini in quanto, secondo un veloce ragionamento, nessuno dovrebbe voler compiere un reato, perché nessuno vorrebbe mai la sanzione ai propri danni! Il metodo suggerito da Frank per risolvere il problema della scelta tra dolo eventuale e colpa cosciente volgerebbe perciò sempre a vantaggio dell'applicazione della colpa cosciente.

Attualmente si segue una diversa impostazione. Si deve valutare se l'evento si rappresenta nella mente del soggetto agente come evento concreto o astratto e se il soggetto ha deliberatamente subordinato il bene giuridico (poi risultato) leso ad un valore o vantaggio di natura personale.
Mettendo in ordine questi requisiti si avrebbe: il dolo eventuale nel caso in cui un soggetto, alla luce delle circostanze concrete, delle proprie conoscenze ed esperienze personali, si rappresenti un evento nella propria mente come concreto (cioè di molto probabile verificazione) e ne accetti il rischio di concretizzazione subordinando deliberatamente quel bene a qualche altro vantaggio/valore/fine personale; si avrebbe colpa cosciente nel caso in cui un soggetto agente si rappresenti un evento nella propria mente come possibile ma astratto, cioè di poco probabile verificazione. La bassa probabilità di verificazione deve rappresentarsi a causa del fatto che il soggetto agente ritenga di sapere e potere evitare l'evento grazie alle sue capacità.

IL DOLUS IN RE IPSA
Non è una forma di dolo, ma è solo la modalità di accertamento che si dovrebbe utilizzare ai fini di comprendere se il legame psichico tra soggetto e fatto è effettivamente quello del dolo. Secondo la dottrina, infatti, il dolo è un elemento difficile da sondare, poiché è impossibile “entrare nella mente del reo”. Di conseguenza, pur essendo un elemento descrittivo di tipo soggettivo, necessita di essere verificato alla stregua di parametri oggettivi, e quindi secondo massime di esperienza che lasciano intendere che determinati comportamenti, atteggiamenti, e situazioni non possono essere correlate se non alla volontà di causare l’evento lesivo o pericoloso.
Problematico l'accertamento del dolo nei reati omissivi, poiché, componendosi il dolo di rappresentazione e volontà, ed essendo la volontà meglio identificata quando vi è un'interazione materialmente evidente e percepibile del reo con la realtà circostante, si finirà processualmente per ricavare la volontà dalla rappresentazione, un processo di accertamento alquanto atecnico e poco rispettoso della struttura del dolo, ma spesso necessario laddove l'elemento soggettivo della colpa non sia lampante, dove per rappresentazione intendiamo (rectius: intenderemo, quando parleremo meglio dell'omissione): 
- la consapevolezza del reo di rivestire una posizione di garanzia.
- la consapevolezza di trovarsi nella situazione in cui la posizione di garanzia deve portare ad un'azione richiesta normativamente. 
- la coscienza della possibilità di compiere quest'azione doverosa.
- la risoluzione a non agire.

IL DOLO COLPITO A MEZZA VIA DALL’ERRORE (c.d. Dolo Generale)
Esiste una fattispecie problematica da vagliare accuratamente, e che ha dato origine a dispute dottrinali. E’ quella concernente il dolo colpito a mezza via dall’errore, la quale si verifica in casi molto specifici, di cui si può esemplificativamente rappresentare la vicenda tipica:
- Si consideri Tizio, che sferra ripetutamente coltellate a Caio, in zone vitali. Caio perde i sensi, e Tizio, credendo di averlo ucciso, ne occulta il cadavere sotterrandolo. Caio, che non era morto, decede a causa di asfissia.

Come risolvereste il caso? La dottrina ci ha provato suggerendo questa soluzione: si tratta di omicidio doloso, in quanto il dolo afferisce alla vicenda complessivamente considerata, cioè Tizio voleva uccidere e alla fine ha ucciso. Improponibile sarebbe invece la tesi dell’omicidio colposo, perché afferirebbe solo alla seconda parte della condotta e causerebbe una punizione incongrua dinanzi ad un’azione criminosa che rivela un’intensità elevata. E’ intervenuta la Corte di Cassazione a sciogliere questa questione spinosa, ritenendo che la vicenda non è da considerare unitariamente, bensì come somma di due momenti. Il primo sarebbe rappresentato dall’azione criminosa che si spinge fino al verificarsi delle ferite mortali (o che comunque miravano a causare la morte) e il secondo partirebbe dal sotterramento e giungerebbe fino alla avvenuta morte. La prima porzione dell’azione criminosa è identificata come tentato omicidio. La seconda come omicidio colposo. La punizione concreta sarà data dal concorso di reati (si tratterà, come vedremo presto, di concorso materiale di reati uniti dalla continuazione) tra tentato omicidio e omicidio colposo.  

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