lunedì 26 marzo 2012

L'elemento soggettivo del reato: la colpa.

Appunti di diritto penale

di Filippo Lombardi

Il secondo elemento soggettivo che la legge penale fornisce nell’articolo 42 è la colpa. Il delitto sarà colposo, o contro l’intenzione, quando il soggetto agente, seppure ha previsto l’evento come conseguenza della sua condotta, non l’ha voluto, ed esso si è verificato a causa di negligenza, imprudenza, imperizia o violazione di norme positive (legge, regolamenti, ordini o discipline). Già partendo dalla sua definizione, è possibile suddividere il concetto di colpa in più tipologie:
- COLPA COSCIENTE. Il reo ha previsto ma non ha voluto l’evento.
- COLPA INCOSCIENTE. Il reo non ha previsto e non ha voluto l’evento.
Nel primo caso il soggetto è rimproverabile perché, prevedendo, avrebbe potuto orientare la propria condotta in senso inverso rispetto all’azione lesiva o pericolosa. Nel secondo caso egli è rimproverabile perché gli si richiedeva di prevedere, in modo da poter evitare l’evento. Originariamente la colpa incosciente veniva reputata problematica, poiché fondata sulla presunzione di prevedibilità, il che la poneva al limite con la responsabilità oggettiva. Attualmente il problema è risolto, ritenendo che il reato colposo con colpa incosciente non vi sarà nel caso in cui l’evento fosse oggettivamente imprevedibile, poiché deve ragionevolmente intendersi che ad ogni persona potrà e dovrà richiedersi al massimo ciò che è nella sua effettiva sfera di controllo e di conoscibilità. 
Altra distinzione importante in tema di categorie di colpa è la seguente, che interviene tra:

- COLPA GENERICA. Si ha colpa generica quando il reato colposo si consuma per imprudenza, negligenza o imperizia, cioè per violazione di norma precauzionale di rilievo sociale, cioè derivante dalle aspettative comportamentali in un contesto sociale i cui membri sono responsabili delle proprie azioni. La negligenza si atteggia come “colpevole non-fare”, e infatti è la normale regola sociale che interviene nel caso di reati omissivi colposi; l’imprudenza caratterizza invece l’agire in maniera avventata e senza le dovute cautele del caso; l’imperizia può appartenere sia all’azione che all’omissione, e qualifica la regola precauzionale di derivazione sociale, applicabile all’opera del professionista. Cioè quest’ultimo sarà sempre da considerare imperito nel caso in cui compia il fatto colposo, poiché l’imperizia altro non è che una negligenza o una imprudenza qualificata.
- COLPA SPECIFICA. In questo caso il reato colposo si fonda sulla inosservanza di norme positive che prescrivono obblighi di diligenza.
Alcuni Autori suddividono, poi, la colpa nelle tipologie di “colpa propria”, che è la colpa tradizionale, cioè quella che ricalca la disciplina generale di cui parleremo effettivamente; e “colpa impropria”, in cui fanno rientrare le fattispecie di eccesso colposo nelle cause di giustificazione, errore colposo sul fatto tipico (art. 47 cod pen.), ed errore colposo nella rappresentazione dell’esistenza di una causa di giustificazione (art. 59 ult. comma cod. pen.). 

IL CONTROLLO SULLA TIPICITA’
Il fatto illecito che deriva da colpa dell’agente dovrà possedere alcuni requisiti per essere tipico, alcuni dei quali già li conosciamo poiché appartengono alla fattispecie oggettiva di cui abbiamo discusso a suo tempo. I requisiti sono i seguenti:
1) La condotta non deve essere sorretta dalla volontà di causare l’evento, e deve atteggiarsi come mancato rispetto di una norma a contenuto precauzionale. Sul piano tipico rileverà, quindi, la discrasia tra il comportamento richiesto in astratto e il comportamento tenuto in concreto. Essa (la discrasia) sarà facilmente percepibile nel caso di mancato rispetto di norma precauzionale positiva, mentre sarà oggetto di più ponderata valutazione nel caso in cui si tratti di violazione di norma di condotta sociale, poiché il termine di paragone sarebbe un modello astratto di agente e non una norma di legge specifica. Per decenni si è dovuto fare i conti col concetto di “Agente modello”, essendo stato lo stesso rintracciato prima nel bonus pater familias, poi nell’uomo medio, poi nell’homo diligens, fino alla concezione moderna di agente modello: l’homo eiusdem condicionis et professionis. Questa concezione si presenta come più versatile poiché tiene in considerazione la cerchia sociale e professionale di appartenenza del soggetto. Si dovrà valutare, quindi, se il comportamento tenuto dal soggetto corrisponde a quello mediamente tenuto nel contesto sociale a cui egli appartiene.
2) L’evento deve essere legato eziologicamente alla violazione di suddetta norma precauzionale, secondo la normale teoria condizionalistica sussunta sotto leggi scientifiche. Non deve cioè potersi ammettere che, anche ove l’agente avesse rispettato la norma precauzionale, l’evento infausto si sarebbe verificato comunque.
3) L’evento deve essere una concretizzazione del rischio che la norma precauzionale mira a prevenire.  


CONTENUTI E LIMITI DELLA COLPA SUL PIANO DELLA TIPICITA’.
Riguardo al contenuto di cui al numero 1, è utile valutare quali siano i significati di “condotta precauzionale” e quali i suoi limiti. Dal punto di vista dei significati coinvolti, possiamo dire che questi, sia nel caso di norma precauzionale di diritto positivo, sia nel caso di norma precauzionale derivante dal contesto sociale, debbano essere riassunti in tre tipologie: obbligo di informarsi, obbligo di astenersi dall’agire, obbligo di agire adottando cautele. L’obbligo di informarsi deriva da un’esigenza dell’ordinamento di ottenere dai consociati un comportamento responsabile, laddove il concetto di responsabilità significa anche ben rappresentarsi il contesto pratico in cui si agisce, la natura della propria azione, e le sue conseguenze. E per essere ben consapevoli di tutto ciò, è necessario che il soggetto agente si “armi” di conoscenze che lo aiuteranno nel caso concreto per svolgere l’azione in maniera neutra (o meglio ancora, vantaggiosa) per i beni giuridici altrui che lo circondano. L’obbligo di astenersi dall’agire deriva, invece, da un’esigenza diversa, cioè dalla conoscenza dei propri limiti da parte dei consociati. Importanti quindi sono le conoscenze speciali di cui la persona dispone, e ciò vuol dire che la persona deve conoscere le proprie capacità in modo da orientarle positivamente all’azione. Qualora quelle specifiche capacità, poiché lacunose o non perfezionate, rischino di mettere a repentaglio beni giuridici altrui, o qualora il soggetto non sia in grado di far fronte a determinate circostanze, gli si richiederà di astenersi dall’agire. Il dovere di agire adottando cautele completa ciò che si diceva poc’anzi rispetto al dovere di astenersi, in quanto impone di agire prudentemente, cioè adottando tutte le precauzioni del caso, per poter compiere una determinata azione che, altrimenti, apparirebbe rischiosa.
Riguardo ai limiti del concetto di colpa, possiamo dire che essi sono prevalentemente riscontrati nel rischio consentito e nel principio di autoresponsabilità. Il rischio consentito è quello riconosciuto a soggetti o enti che svolgono attività (rischiose ma) socialmente tollerate in quanto comportano benefici per l’intera comunità. Ciò vuol dire che questo soggetto “privilegiato” non risponderà dei danni arrecati quando, seguendo diligentemente le leges artis, ha fatto tutto quanto in suo potere e nelle sue conoscenze per evitarli. Il secondo limite alla colpa è il principio di autoresponsabilità. Esso vuol dire che ogni consociato risponderà dei propri comportamenti (sia dolosi che) colposi, e non risponderà di quelli tenuti da terzi, a meno che non rivesta una posizione di garanzia dalla quale si evinca l’obbligo di fare tutto quanto possibile per evitarli. Il principio che se ne ricava, per quanto riguarda l’assenza di un obbligo in capo a ciascun consociato di rispondere per fatti colposi altrui, è tradotto con la dicitura “principio di legittimo affidamento”, il che vuol dire che ciascun consociato, salvo l’eccezione appena citata, può legittimamente fare affidamento sul corretto e diligente comportamento altrui.
La posizione di garanzia a cui si è fatto riferimento può dare origine altresì alla cosiddetta culpa in eligendo, che sarà la colpa attribuita ad un soggetto con posizione apicale, per la scelta di soggetti incompetenti a collaborare con costui nell’ambito di attività in cui lo stesso sia coinvolto.

FOCUS SULLA COLPA MEDICA

Per quanto concerne la colpa in ambito medico, vi sono vari principi-guida che l’interprete dovrà considerare. Innanzitutto l’attività medica è giuridicamente lecita in presenza di quattro requisiti: il possesso del titolo abilitativo alla professione; la necessità dell’operazione; il consenso informato; il rispetto delle leges artis nell’attività chirurgica o terapeutica. Se vi sono questi presupposti, l’operazione che il paziente subirà sarà lecita. Ciò vuol dire che le lesioni necessarie per l’operazione (ad es. taglio della cute o degli organi per poter intervenire) non saranno considerate giuridicamente rilevanti (cioè né colpose né dolose), mentre gli eventuali esiti infausti non saranno punibili se concretizzano il rischio normalmente insito nel tipo di operazione. Nel caso in cui, invece, difetterà anche uno di questi requisiti prima citati, le lesioni necessarie saranno dolose, e le lesioni da esito infausto troveranno come elemento soggettivo di copertura il dolo eventuale o la colpa cosciente (servirà, perciò, un controllo concreto). Ultima situazione possibile è data dal mancato perfezionamento dei quattro presupposti, accompagnato dall’esito fausto. La giurisprudenza è orientata nell’ammettere la non punibilità del chirurgo il quale pur operando al di fuori di quanto coperto dal consenso del paziente, riesca a causare con il risultato dell’operazione un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute dello stesso. Se ne può dedurre che, nel caso di mancato rispetto di uno o più requisiti seguito da esito positivo dell’azione, debba darsi prevalenza al concetto di “evento che concretizza il rischio che la norma precauzionale mira a scongiurare”. Vale a dire che, dato che l’evento è favorevole al soggetto passivo, non può dirsi che esso concretizzerà il rischio, anzi lo aggirerà. Non vi sarà, perciò, punibilità nei confronti del soggetto agente, salvo il caso in cui egli abbia nel frattempo compiuto un reato difforme. E’ il caso, ad esempio, del falso medico che, estorcendo un non valido consenso, o operando senza una evidente necessità, causi un miglioramento delle condizioni fisiche del soggetto passivo: gli si potrà contestare, sussistendone i presupposti, l’esercizio abusivo della professione medica o altra fattispecie normativa in concreto esistente.
Per quanto riguarda il lavoro in equipe medica, bisogna far riferimento a due principi direttivi imprescindibili. Il primo fa riferimento alla responsabilità del soggetto che occupa una posizione direttiva nella conduzione dell’operazione, il quale sarà responsabile qualora impartisca direttive errate o avulse dal normale rispetto dei canoni concernenti quel tipo di operazione, e risponderà anche per la già citata culpa in eligendo, qualora se ne riscontrino i presupposti. Questo principio, concernente il soggetto che occupa la posizione apicale e di guida nello svolgimento dell’attività chirurgica, deve però essere in qualche modo combinato con un altro principio, quello della responsabilità per fatto del singolo componente dell’equipe. Ciò significa che ciascuno dei membri della squadra operativa risponderà per l’errore proprio e, in tal caso, sarà esclusa la responsabilità del soggetto apicale se l’attività che il singolo doveva svolgere era dotata della caratteristica della normalità, cioè era attuabile con le normali conoscenze e nelle normali circostanze che rientrano nel patrimonio di conoscenza e capacità del singolo membro. Nel caso opposto, invece, vi sarà la suddetta culpa in eligendo, poiché si potrà ammettere che il soggetto apicale ha scelto in maniera inidonea i componenti del gruppo. Nello stesso tempo, si potrà ammettere anche una responsabilità del singolo membro del gruppo, il quale poteva astenersi dall’azione e non l’ha fatto. La Giurisprudenza, però, considera ogni membro del gruppo non solo come singolo ma anche come tassello funzionale al risultato, e quindi ammette l’esistenza dell’obbligo giuridico, in capo a ognuno dei membri, di “concatenare” la propria condotta a quella degli altri, col conseguente dovere di rimozione degli effetti pregiudizievoli derivanti dalla condotta colposa di chi lo precede nella “catena esecutiva”. Ultimi appunti sul concetto di colpa medica: si punirà non solo per colpa grave, ma anche per colpa lieve, contrariamente alla tesi della dottrina che originariamente riteneva applicabile la disciplina civilistica al diritto penale e quindi punibile solo la colpa grave. La regola precauzionale di rilievo sociale sarà sempre l’imperizia, in quanto trattasi di una responsabilità colposa di un soggetto professionista.

IL CONTROLLO SULLA COLPEVOLEZZA.

Brevemente, e in attesa di parlare successivamente meglio di cosa sia la colpevolezza e di quali siano i suoi elementi strutturali, può farsi riferimento a quanto detto nei primi articoli in merito alla colpevolezza come rimproverabilità, per capire almeno cosa sia il c.d. “doppio grado della colpa”. Quando si parla del doppio grado della colpa, si intende la scissione del controllo su di essa, in due fasi. La prima fase riguarda ciò che prima abbiamo definito come discrasia (distanza, differenza, gap) tra la condotta prescritta in astratto (da norma positiva o da norma sociale) e la condotta tenuta in concreto dall’agente. Abbiamo detto che questo controllo sulla discrasia tra i due comportamenti rileva ai fini della tipicità. Successivamente, dovrà valutarsi la presenza di cause di giustificazione (si immagini il consenso dell’avente diritto nell’ambito delle competizioni sportive, in cui l’eventuale lesione o messa in pericolo del bene protetto non sarà certamente da considerare dolosamente attuata dal soggetto agente, bensì al massimo colposa e, al contempo, scriminata). Il secondo grado della colpa rileva al fine del controllo sulla colpevolezza (terzo stadio di controllo), e definisce la colpa in senso soggettivo. Si dovrà valutare se un’azione conforme alla diligenza richiesta in astratto, sia in concreto richiedibile, esigibile, al soggetto individualmente considerato. Occorrerà, in altre parole, valutare la rimproverabilità dell’agente alla luce delle sue condizioni, delle sue esperienze e delle sue capacità e conoscenze. Ad esempio, un soggetto che fa un incidente automobilistico violando regole prudenziali, sul piano della tipicità avrà prodotto la suddetta discrasia tra condotta richiesta e condotta tenuta, poiché si terrà in considerazione come agente modello un soggetto astratto appartenente alla cerchia di riferimento, cioè degli automobilisti intesi come sintesi delle caratteristiche astratte che ogni automobilista dovrebbe avere. Ma, valutando il secondo grado della colpa, che rileva dal punto di vista della colpevolezza, si farà un controllo individualizzante sul soggetto agente e si terrà in considerazione, ad esempio, il livello di esperienza che la persona in concreto aveva, perché da poco divenuto automobilista dopo l’esame di guida. 

LA COLPA COME INDICE DI COMMISURAZIONE DELLA PENA.

In ultima analisi, qualche parola va spesa per comprendere a cosa fa riferimento l’articolo 133 cod. pen. quando inserisce il “grado della colpa” negli indici di commisurazione della pena, tenendo in considerazione che all’inizio del nostro discorso abbiamo elencato più tipologie di colpa. La domanda è: bisogna tenere conto delle tipologie descritte per definire il “grado della colpa” ? La risposta è negativa. Il grado della colpa è relativa proprio al “grado di difformità” tra il comportamento astrattamente richiesto e il comportamento in concreto tenuto. Non rileverà che si tratti di colpa cosciente o colpa incosciente, considerando che la colpa cosciente opererà, se del caso, come circostanza aggravante, la quale non va presa in considerazione ai fini dell’applicazione dell’articolo 133, bensì successivamente alla definizione della pena-base, che si ricava proprio dalla operatività di questa norma. Ergo, il giudice valuterà prima la pena base da cui partire, applicando l’articolo 133, e considerando il grado della colpa come gap tra la condotta prescritta e quella attuata, e poi applicherà, se ne ricorrono i presupposti, la circostanza aggravante relativa all’aver commesso il reato colposo con previsione dell’evento.

Nessun commento:

Posta un commento