martedì 3 gennaio 2012

Sulla moralità familiare. Il pubblico scandalo nel reato di incesto.

di Filippo Lombardi

L’articolo 564 del codice penale punisce il reato di incesto, cioè in primo luogo gli atti sessuali compiuti con i soggetti indicati dal comma primo. Alcuni fanno rientrare tra i comportamenti punibili anche i meri atti di libidine.
La questione più rilevante è però l’inciso in modo che ne derivi pubblico scandalo, poiché esso ha causato forti problemi interpretativi, soprattutto dal punto di vista del significato strutturale dello stesso.
Per trattare la questione, bisogna argomentare partendo dalla definizione del bene giuridico tutelato dalla norma. Originariamente il reato proteggeva non la morale familiare, bensì la purezza della linea di sangue, considerato che l’esperienza narra di molti casi di bambini nati da relazioni incestuose, malati o con disfunzioni di vario tipo, derivanti dalla consanguineità dei genitori.
Successivamente il bene giuridico, anche al fine di scongiurare la formazione di idee di fondo idonee a riportare alla luce fantasmi del passato, fu reputato essere quello della morale familiare, inteso come normale svolgimento delle relazioni familiari secondo comportamenti comunemente accettati, poiché eticamente corretti.
A ben vedere, la prima domanda che dobbiamo porci è: a chi appartiene il bene giuridico tutelato? Al nucleo familiare o all’insieme di tutti i consociati “organizzati” in famiglie? Mi verrebbe da dire che per punire comportamenti che avvengano nell’ambito di ciascuna famiglia singolarmente intesa, sia necessario considerare la moralità familiare come un bene giuridico che afferisce ad ogni famiglia, e che discende da regole etiche generalmente sentite. Ergo, non si tratta di un bene prettamente collettivo, ma di un bene che dalla collettività discende all’interno di ogni famiglia, inteso come gruppo unico, specifico, e distaccato dalla collettività, sebbene in essa contenuto.
Se non si tratta di un bene prettamente collettivo, perché la punibilità è subordinata al verificarsi un fatto (pubblico scandalo) che invece è solo un fatto collettivo? Siamo sicuri che il Legislatore stia tutelando nei modi corretti la moralità familiare come bene facente capo alla famiglia concretamente individuata? Sembra di no. Perché, considerata la presenza dell’inciso del pubblico scandalo (di cui successivamente, de iure condendo, cercherò di analizzare il significato tecnico) sembra che una cosa come l’incesto, a mio avviso da considerare immorale nella famiglia a priori, sia considerato reato (e quindi immorale, se il bene giuridico è appunto quello della moralità familiare) solo se ad esso consegue uno scalpore misto a disgusto generalizzato, che crea turbamento nell’entourage sociale.  
Allora o si dice che il bene giuridico non è la moralità familiare bensì (mi si faccia passare il termine) la “lunaticità” dell’entourage sociale in tema di fatti immorali accaduti nel nucleo familiare, o si elimina l’inciso. Sintetizzando, per giustificare la prospettiva di eliminazione del concetto di pubblico scandalo, l’argomento offerto è il seguente:
Il mantenimento del pubblico scandalo all’interno della fattispecie normativa, fa sì che la tutela penale non avvenga nell’ambito del bene giuridico della moralità familiare, ma nell’ambito di una idea di moralità che fa capo alla società circostante, col pericolo di affidare il bene giuridico al caso, alle circostanze, o all’umore della comunità, e non ad una realtà oggettivamente e immediatamente individuata dal Legislatore. O comunque, fa sì che la tutela penale non avvenga nell’ambito del bene giuridico di moralità familiare nel suo significato completo, cioè di moralità che afferisce nel contempo alla società costruita su un’etica storicizzata e alla famiglia come risultato unico e irripetibile di quell’etica.
A rendere più difficoltoso il tutto, vi è la complessità dell’accertamento del pubblico scandalo, che non sempre risulta evidente, e potrebbe lasciare spazio a casi di impunità superabili solo con la presunzione dello scandalo stesso. In questo caso interverrebbe un duplice errore: quello relativo al fraintendimento o allo snaturamento della moralità familiare, e quello che prenderebbe corpo nella creazione di un’ipotesi di responsabilità oggettiva.
Dal momento che il nostro Legislatore non ha per niente preso in considerazione di eliminare l’inciso, e continua a considerare atipicamente il concetto di moralità familiare, bisogna comprendere quale sia il ruolo rivestito dal pubblico scandalo. La dottrina si divide, abbracciando due tesi:
1) Condizione obbiettiva di punibilità. In questo caso, essendo la condizione esterna all’aggressione al bene giuridico della moralità (perché l’incesto è immorale in sé, e non perché la comunità si sveglia un bel giorno e lo reputa tale) l’elemento soggettivo può non toccare la condizione stessa, quindi questa può operare obbiettivamente, alla luce di quanto evidenziato dalla Consulta nella nota sentenza 364/1988 ( gli elementi che contribuiscono a generare o aggravare l’offesa al bene giuridico devono essere coperti almeno dalla colpa, per rispettare l’art. 27 Cost.)
2) Elemento costitutivo del reato, e più precisamente evento. Questa parte della dottrina permette, considerando il pubblico scandalo come evento del reato, di coprire l’elemento del pubblico scandalo con il dolo. La tesi evita quindi la responsabilità oggettiva.
E’ mia intenzione sottolineare come, secondo il mio modesto parere, l’inciso normativo riguardante il pubblico scandalo debba essere eliminato per far sì che il bene giuridico della moralità familiare diventi genuino e totalmente tutelato, anche come bene appartenente al contesto familiare specificamente considerato. Se non si vuole l’eliminazione di questo ambiguo e difficilmente accertabile elemento, si dovrebbe considerare valida la seconda tesi dottrinaria, non solo per superare lo scoglio della responsabilità oggettiva, ma soprattutto perché solo considerando il pubblico scandalo come coperto dal dolo si può giungere a punire il comportamento del soggetto reo, che a quel punto offenderebbe il bene giuridico della moralità così come concepita dal Legislatore, cioè come bene afferente alla società e al pensiero che la stessa ha del concetto di morale. Altra possibilità, de iure condendo, per tutelare opportunamente il bene della moralità familiare, è quello di utilizzare il pubblico scandalo al massimo come un’aggravante di un fatto che ha già di per sé offeso la moralità intesa come bene afferente al nucleo familiare.

1 commento:

  1. dammi pure del tu! Mi fa piacere che consideri utile il saggio pubblicato. molto interessanti anche i tuoi scritti. Alla prossima pubblicazione Giovanni

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