mercoledì 11 gennaio 2012

L’abuso dei mezzi di correzione e di disciplina

di Giovanni Miccianza


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La fattispecie delittuosa da prendere in considerazione è quella prevista e disciplinata nell’art. 571 c.p..
Tale disposizione è volta a reprimere la condotta di tutti coloro che, in forza della loro autorità, abusano dei mezzi di correzione e di disciplina nei confronti della persona loro sottoposta o a loro affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte, se dal fatto deriva un pericolo al corpo o alla mente.
Il bene giuridico tutelato è l’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia e di tutte le altre istituzioni interessate nei rapporti di disciplina.

Sebbene la disposizione normativa utilizzi l’espressione “chiunque”, in capo al soggetto attivo del reato, tuttavia, è richiesta la titolarità di un potere legittimo di correzione o di disciplina.
Il reato de quo è, pertanto, da qualificarsi come proprio in quanto soggetti attivi e come tali legittimati ad usare mezzi di correzione o di disciplina possono essere soltanto soggetti legati al soggetto passivo da un vincolo di cui sono titolari in ragione di una particolare forma di autorità che si sostanzia nello ius corrigendi.
La condotta sanzionata si concretizza quando l’azione posta in essere dal soggetto attivo, trascendendo i limiti dell’uso del potere correttivo e disciplinare a lui spettante nei confronti della persona offesa, sconfina nell’abuso, qualora lo ius corrigendi venga esercitato con modalità non adeguate o per perseguire un interesse diverso da quello per il quale è conferito dall’ordinamento.
Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, per integrare la fattispecie prevista dall’art. 571 c.p., è sufficiente il dolo generico, non essendo dalla norma richiesto il dolo specifico, cioè un fine particolare e ulteriore rispetto alla consapevole volontà di realizzare il fatto costitutivo di reato.
La questione affrontata nel presente saggio concerne la possibilità di considerare se un comportamento isolato, posto in essere da determinati soggetti, titolari di un potere di disciplina nell’ambito di determinati rapporti, possa integrare il reato di abuso dei mezzi di correzione di cui all’art. 571 c.p. o piuttosto ricorre la violazione della fattispecie delittuosa di cui all’art. 572 c.p. (maltrattamenti in famiglia), concentrando l’attenzione anche sulle differenze sostanziali tra le due norme.
Con particolare riguardo ai bambini, il termine “correzione” va assunto come sinonimo di educazione e non può ritenersi educativo il ricorso all’uso della violenza, ciò sia per il rispetto della dignità umana che si deve anche al minore, sia perché il fine del progetto educativo è quello di realizzare un armonico sviluppo della personalità.
L’abuso se, inizialmente, è stato inteso come un comportamento che si concretizza in un danno meramente fisico, oggi è, invece, qualificabile anche in termini di omissione di cure o di abuso psicologico a cui si correla lo scatenarsi di diversi disturbi psichiatrici.
Ed invero, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale, mentre in passato ciò che distingueva le due figure di reato ex artt. 571 e 572 c.p. era solo lo scopo correttivo o disciplinare, attualmente la differenza è individuata, invece, nell’atteggiarsi concreto della condotta, non rilevando in nessun modo il fine correttivo che il soggetto attivo intendeva raggiungere.
La giurisprudenza più risalente riteneva che l’elemento discretivo tra le due norme fosse l’elemento soggettivo. Secondo, invece, la più recente giurisprudenza la differenza tra i due delitti risiede nell’elemento oggettivo, ovvero nella natura del mezzo utilizzato, lecito ma abusato nel caso dell’art. 571 c.p.; illecito in sé nel caso dell’art. 572 c.p.
Si configura, pertanto, il diverso reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p., quando manca la liceità del mezzo, per cui esso sia da considerare di per sé illecito, oppure quando il mezzo “lecito” si traduca in strumento vessatorio e persecutorio.
 La differenzazione delle due fattispecie non è agevole, posto che entrambe possono realizzarsi attraverso il compimento dei medesimi atti e che la diversità pare incentrata solo sull’esistenza (o meno) di un intento educativo. I confini non sono così nitidi soprattutto in ordine all’abitualità (o continuità) che risulta essere un elemento necessario del reato di maltrattamenti per cui nel caso di un comportamento lesivo che si concretizzi in un unico episodio, nel quale il reo costringa il sottoposto “per punizione” ad una condotta assolutamente degradante o umiliante, viene integrato il reato di abuso dei mezzi correzione e non quello di maltrattamenti in famiglia, che invece esige l’abitualità della condotta.
Secondo un recente orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte di legittimità anche un solo schiaffo, quando sia vibrato con tale violenza da cagionare pericolo di malattia, è stato ritenuto dalla stessa Corte sufficiente a far avverare l’ipotesi criminosa prevista nell’art. 571, comma 1, c.p. (cfr. Cass. pen., Sez. V, 18 gennaio 2010, n. 2100).
Per cui nell’ipotesi di episodio isolato e senza precedenti, non è possibile configurare il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) mancando, per un verso, la coscienza e volontà di sottoporre i discepoli a sofferenze fisiche e morali continuate e, per altro verso, quel minimo di condotte plurime collegate da un nesso di abitualità, ma sarà configurabile solo la violazione della fattispecie delittuosa di cui all’art. 571 c.p. (abuso dei mezzi di correzione). 

3 commenti:

  1. Giovanni volevo sottoporti questo interrogativo. Non è limitativo parlare di ius corrigendi come sinonimo di ius educandi, considerato che non tutte le forme di correzione tramite violenza sono idonee a causare un pericolo per il fisico o per la mente? Cioè, come si atteggiano i semplici schiaffi o strattoni (ad esempio per riportare verso un posto o una posizione il proprio figlio di pochi anni)o quant'altro quando inidonei a causare una malattia? Se intendessimo la violenza come totalmente da abolire, non avrebbe senso il limite fornito dall'art. 571 c.p. relativo alla suddetta idoneità a causare il pericolo. Quindi ritengo che per evitare fraintendimenti concettuali si debba intendere lo ius educandi come un insieme di atteggiamenti che comprendono sia quelli "diplomatici" e contenuti, sia quelli violenti (fisicamente, vocalmente ecc), dove quelli fisicamente violenti però non debbano causare il pericolo di danno al fisico o alla mente e non debbano reiterarsi, mentre quelli in altro modo violenti (es. rimproveri con tono di voce elevato) non debbano anch'essi essere posti in essere continuativamente onde evitare di varcare i limiti del 571 e sconfinare nel 572, dato che a quel punto ci sarebbe non solo l'abitualità ma anche una parvenza penalmente valutabile di metodo vessatorio. Cordialmente.

    Filippo

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    1. Condivido il tuo pensiero, tuttavia, non dovresti limitarti a considerare il reato configurabile solo nell'ambito del nucleo familiare, in quanto, come accennato nel saggio, la disposizione in riferimento è volta a tutelare il minore nei confronti di chiunque, per effetto della sua posizione, ha diritto ad esercitare una forma di autorità nei confronti del soggetto passivo. Mi riferisco soprattutto agli insegnanti (detentori tra gli altri di detto potere) che, in alcuni casi, abusano dei mezzi di correzione e disciplina a loro riconosciuti. Occorre inoltre considerare che ad oggi si ritiene ammessa tra i mezzi di correzione solo una vis modicissima, per cui possono ritenersi ammessi quegli atti di minima violenza fisica o morale, che risultano necessari per rafforzare la proibizione di comportamenti oggettivamente pericolosi o dannosi rispecchianti la inconsapevolezza o la sottovalutazione del pericolo, integrando invece la fattispecie dell’art. 571 c.p. l’uso in funzione educativa del mezzo astrattamente lecito, sia esso di natura fisica, psicologica o morale, che sconfina nell’abuso, sia in ragione dell’arbitrarietà che dell’eccessività della misura adottata. Giovanni

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  2. Come ha scritto Semeraro (Riflessioni sull'abuso dei mezzi di correzione, in Giustizia penale, 2011)la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo vieta qualsiasi atto di violenza fisica o psichica sul minore (anche la semplice percossa); tale linea è seguita anche dalla Corte di cassazione.

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