giovedì 12 gennaio 2012

Riflessioni su un caso al vaglio del Tribunale di Santa Maria C.V..

di Filippo Lombardi

IL CASO: Il soggetto agente, dopo svariati atti estorsivi nei confronti della vittima nelle giornate precedenti, lo fa salire in macchina contro la sua volontà e, dopo un viaggio di pochi minuti, lo conduce dinanzi alla sua abitazione (della vittima), intimandogli con l’uso di un’arma bianca di recarsi all’interno e rubare in casa propria, per consegnare poi la refurtiva all’agente. Mentre il soggetto passivo è all’interno e sta cercando i beni da dare all’agente, quest’ultimo si allontana dal posto, per poi incontrare successivamente il primo al fine di richiedergli il pagamento.
LE NORME “LETTERALMENTE” APPLICABILI: Estorsione (art. 629 c.p.); costringimento a compiere un reato, cioè il furto in abitazione, tramite minaccia (combinato disposto tra gli artt. 54 e 624 bis c.p.), rapina (art. 628 c.p.). Meno problematica la figura del sequestro di persona, la quale potrà trovarsi a concorrere con taluna delle suddette norme, a seconda di se venga riconosciuto il tempo giuridicamente apprezzabile di privazione della libertà personale. 

Partiamo dalla considerazione circa la rapina. Nella norma apposita, art. 628 c.p., vi sono gli elementi dell’ingiusto profitto, della minaccia, della sottrazione della cosa a chi la detiene (peraltro con condotta cooperativa della vittima), elementi che sembrano ricorrere nella fattispecie prima segnalata. Qual è allora l’elemento che spinge a non assecondare questa tesi? E’ proprio il concetto di “detenzione” il quale, mentre nel furto viene inquadrato come “possibilità di instaurare un legame ad libitum con la cosa, nella rapina viene visto secondo il criterio della “immediata disponibilità”. Si potrà trattare di rapina se il soggetto agente, continuando a minacciare con l’arma il malcapitato, lo conduce sino alla sua abitazione, entra all’interno della stessa e si fa consegnare i beni. Solo in questo caso infatti sarebbe minata l’integrità fisica (oltre che il patrimonio) del soggetto passivo. Nel caso in cui questo non accadesse, e il reo spronasse la vittima a ritornare con beni di valore senza mantenere una stretta vicinanza con la stessa, si avrebbe sì una cooperazione della vittima così come accade nella fattispecie normativa ex 628 c.p., ma sarebbe una cooperazione retta da uno stato psicologico diverso da quello proprio della rapina, il quale è normalmente uno stato di ansia e timore che si sviluppa nell’immediato, cioè in un lasso di tempo molto breve causato, come già preannunciato, dalla presenza del soggetto agente sul posto nel quale si consuma l’illecito. Ergo, la fattispecie di rapina, pur curiosamente ricomprendente gli elementi corrispondenti a quelli della fattispecie concreta, non è applicabile, a causa del requisito dell’immediata disponibilità del bene oggetto di rapina, requisito non letteralmente inserito nella norma, ma pacificamente ammesso in dottrina e giurisprudenza. Non a caso, il pubblico ministero di Santa Maria C.V. non ha contestato la rapina, la quale è stata solo aggiunta dallo scrivente al fine di identificare ulteriori criteri distintivi tra essa ed altre eventuali fattispecie criminose. Ha però contestato le due restanti imputazioni: estorsione e combinato disposto di cui agli articoli 54 (stato di necessità causato dall’altrui minaccia, il quale sposta la punibilità dall’autore materiale all’autore mediato) e 624-bis c.p.
E proprio qui sta l’errore giuridico della pubblica accusa. C’è da stare attenti al ne bis in idem sostanziale. La pubblica accusa vorrebbe infatti punire con due reati lo stesso  comportamento, cioè considera la stessa minaccia “Mi devi dare i soldi, vai a prenderli a casa tua” come integrante nello stesso tempo l’induzione a commettere il reato di furto in abitazione e quello di estorsione. 
Il tribunale collegiale di Santa Maria Capua Vetere, a scapito della tesi accusatoria, elimina un capo di imputazione a seguito della discussione finale delle parti. Si può nel caso specifico considerare sussistente solo l’ipotesi dell’estorsione, per due motivi: 
- dal punto di vista oggettivo, l’evento si colloca in una serie di estorsioni, e quindi viene vista come un ulteriore tassello del mosaico criminoso. 
- la considerazione del fatto dal punto di vista oggettivo è arricchita da una ulteriore considerazione in tema di elemento soggettivo e di idoneità della minaccia a causare il furto in abitazione. Dal punto di vista soggettivo, infatti, l’agente non manifesta nella minaccia alcun dolo evidente volto al furto in abitazione. In parole più semplici, l’obiettivo dell’autore è quello di ottenere un ingiusto profitto con minaccia tesa a far “fare qualcosa”, e non quello di ottenere soldi o valori attraverso l’unica via del furto in abitazione. All’estorsore interessa il fine, non il mezzo. Di conseguenza non immette nella minaccia alcun aut aut, bensì è come se suggerisse alla vittima la modalità con la quale si perfezionerebbe la sua estorsione. Se la vittima avesse trovato soldi o valori non rubando in casa propria, non credo che l’estorsore si sarebbe offeso. Questo ha una ripercussione anche sul piano della idoneità della minaccia a causare il furto in abitazione. Il soggetto passivo si sente vittima di una ingiusta richiesta di beni, non si sente vincolato alla modalità del furto in casa propria. Ecco perché viene ritenuta giuridicamente esistente solo l’ipotesi dell’estorsione. 
Bisogna aggiungere che nel caso concreto non si verifica alcun assorbimento, bensì le due fattispecie (629 c.p. e combinato di cui agli artt. 54 e 624-bis) sono assolutamente alternative. Non è possibile intravedere infatti, né un principio di specialità tra le due, né un principio di sussidiarietà (che si ha nel caso in cui due azioni criminose susseguenti l’una all’altra siano in realtà attacchi progressivamente più gravi nei confronti dello stesso bene giuridico), né un principio di assorbimento in senso stretto (il che si verifica quando secondo l’id quod plerumque accidit si possa commettere un reato al fine di commetterne un altro).

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