mercoledì 9 novembre 2011

La Cassazione sul tentativo di concussione.

Cassazione penale, sez. VI, 13 luglio 2011, n. 27459.

Nella sentenza in commento la Suprema corte disamina in maniera analitica gli elementi del reato di tentata concussione, ai sensi degli artt. 56 e 317 c.p., in una ipotesi fattuale interessante.
Il caso è quello di Tizio, sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di________, il quale telefonava all'avv. Sempronio, nella convinzione che fosse il difensore di tale Caio, controparte in una controversia di lavoro con l'imprenditore Mevio, amico del magistrato, invitandolo a promettergli di transigere detta controversia, facendo conto che alla stessa fosse interessato direttamente lui anziché il Mevio.
L’imputato Tizio, essendo stato informato successivamente che Caio non era assistito dall’avv. Sempronio ma da altro professionista, aveva ricontattato il legale e lo aveva invitato a non tenere conto della precedente segnalazione.
Il GUP riteneva, al termine dell’udienza preliminare, che l’azione posta in essere dal Tizio, pur astrattamente inquadrabile nell’ipotizzabile tentativo di concussione, si era rivelata assolutamente inoffensiva, perché inidonea alla realizzazione del proposito criminoso.
I giudici di legittimità, chiamati a pronunciarsi sulla fattispecie dietro ricorso del P.G., rigettavano detto ricorso ritenendo che nel fatto contestato non fossero ravvisabili gli estremi dell'ipotizzato tentativo di concussione, il che impone, a norma dell'art. 129, comma 2, c.p.p., di superare ogni riferimento alla figura del reato impossibile e alla connessa causa di non punibilità ex art. 49, comma secondo, c.p., su cui fa leva la decisione in verifica.
 Sulla questione la Suprema Corte afferma che l'intervento del Tizio sull'amico avv. Sempronio, perché si attivasse nel transigere una controversia di lavoro tra Caio e l’imprenditore Mevio, pure amico del magistrato, a prescindere dall'erroneo convincimento dell'imputato che il detto legale fosse il difensore del Caio, può costituire - al limite - un illecito disciplinare, ma non integra gli elementi strutturali dell'ipotizzato reato.
 L'iniziativa del Tizio, per quello che si evince dalla sentenza impugnata, va inquadrata nell'ambito dei rapporti, di natura privata, che legavano il predetto, per un verso, all'avv. Sempronio e, per altro verso, all'imprenditore Mevio.
 Momento costitutivo della materialità del delitto di concussione è, innanzi tutto, l'abuso dei poteri o della qualità da parte del pubblico ufficiale, abuso finalizzato alla costrizione o all'induzione del soggetto passivo.
Non è individuabile concettualmente, nella condotta contestata all'imputato, l'abuso dei poteri, concretandosi questo nell'esercizio del potere secondo criteri volutamente diversi da quelli imposti dalla sua natura. Il Tizio, nel sollecitare la transazione della lite innanzi citata, non fece certamente leva sui poteri, abusandone, che gli derivavano dalla sua posizione istituzionale di sostituto Procuratore della Repubblica, considerato che non pose in essere alcuna estrinsecazione oggettiva della funzione della quale egli era investito, ma fece leva esclusivamente sui rapporti personali che lo legavano al Sempronio e al Mevio.
 Non è apprezzabile neppure, nella condotta dell'agente, l'abuso della qualità, inteso come uso indebito della posizione personale rivestita, indipendentemente e a prescindere dall’esercizio dei poteri a questa corrispondenti. L'abuso della qualità implica comunque una strumentalizzazione della posizione di preminenza rivestita dal pubblico ufficiale, il che significa che assume rilievo, ai fini che qui interessano, l'eventuale estrinsecazione dinamica di tale posizione soggettiva e non il mero aspetto statico della medesima. Nel caso in esame, nessun elemento di fatto, univocamente sintomatico del dinamismo prevaricatore, risulta essere stato accertato.
 Altro momento costitutivo della materialità del delitto di concussione è la dazione o la promessa dell'indebito.

Nella vicenda di cui si discute, l'indebito non è tale oggettivamente, perché la mera sollecitazione a definire una lite in corso con una transazione non significa necessariamente, come si ipotizza nel capo d'imputazione, penalizzare gli interessi di una parte a vantaggio dell'altra, ma implica una regolamentazione equilibrata dei contrapposti interessi, attraverso reciproche concessioni convenzionali tra le parti interessate, per porre fine ad una controversia in atto (art. 1965 c.c.). Nulla induce a ritenere, sulla base degli elementi acquisiti, che l'imputato si attivò per una transazione a vantaggio del proprio amico imprenditore. Né l'indebito può ravvisarsi, per le considerazioni innanzi svolte, nelle modalità della richiesta fatta dall'imputato all'avv. Sempronio, nell'ambito di un rapporto personale che legava i due.

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