lunedì 23 aprile 2012

Il concorso di persone nel reato

Appunti di diritto penale

Filippo Lombardi

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 Una fattispecie di reato può essere compiuta da un solo soggetto agente o da più autori. In quest’ultimo caso, sorge l’ipotesi del concorso di persone nel reato. La caratteristica basilare è quindi data dal fatto che più persone cooperano al fine di eseguire il reato. Dal punto di vista tipologico, possiamo avere varie ipotesi:
1) concorso eventuale di persone nel reato.
2) concorso necessario di persone nel reato (c.d. reato plurisoggettivo).
3) concorso esterno nel reato plurisoggettivo.

Iniziamo a parlare della prima tipologia.
Essa è disciplinata dall’attuale codice penale, agli articoli 110 e successivi. Si può fare un duplice discorso, per capire la problematica sottesa all’argomento. Il primo discorso è un discorso di tipizzazione legislativa ai fini sanzionatori. Esistono due tipi di tipizzazione possibile. Il primo è quello che regola la pena a seconda dei ruoli dei soggetti (tipizzazione differenziata), il secondo invece considera i soggetti in maniera unitaria (tipizzazione unitaria), e quindi li sottopone alla pena comune. Il nostro codice adotta formalmente la seconda soluzione, all’articolo 110 già citato in precedenza, ma sostanzialmente fa salva la possibilità di diversificazione secondo quanto prescritto dalle norme successive.
Il secondo discorso possibile in materia di più soggetto cooperanti nel reato è legato alla
problematica del fenomeno concorsuale, che sottende la seguente questione: se è lecito punire il soggetto che si occupa dell’esecuzione criminosa, che integra senza dubbio il tenore letterale della norma incriminatrice, su che base possono essere puniti i soggetti che con l’esecuzione della fattispecie non c’entrano affatto?
Per dare una risposta a questa domanda, la dottrina ha elaborato varie teorie:
- TEORIA DELL’ACCESSORIETA’. Il soggetto non esecutore è punito perché, con la sua condotta, accede all’esecuzione altrui. I sostenitori di questa teoria si sono poi bipartiti. Una parte intende l’accessorietà come accessorietà estrema, in base alla quale il soggetto non esecutore risponderebbe anche nel caso in cui l’esecutore sia in concreto non punibile, essendo sufficiente che la sua condotta sia antigiuridica. Altri ritengono l’accessorietà una accessorietà attenuata, e sostengono che il non esecutore dovrebbe essere punito solo se l’esecutore è anch’egli in concreto punibile. La teoria è stata criticata per due motivi: innanzitutto non sarebbe applicabile, secondo taluni, al caso in cui due o più soggetti si occupano direttamente dell’esecuzione; in secondo luogo l’accessorietà sarebbe inspiegabile o non esistente nell’ambito della collaborazione di un extraneus al compimento del reato da parte di un intraneus. In realtà, al primo problema può obbiettarsi che l’accessorietà sarebbe reciproca, mentre al secondo problema pone la soluzione il codice stesso all’articolo 117.
- TEORIA DEL FENOMENO CONCORSUALE. I soggetti, esecutori e non esecutori, dovrebbero essere puniti perché contribuiscono con la loro condotta al raggiungimento dell’evento voluto da tutti.
- TEORIA DELLA FATTISPECIE PLURISOGGETTIVA EVENTUALE. La punibilità non dipende dall’accessorietà, poiché l’accessorietà porterebbe a ritenere che la fattispecie rilevante sia la norma incriminatrice (singola) di parte speciale. Al contrario, la tipicità è ricollegabile al combinato disposto tra l’art. 110 e la norma incriminatrice stessa.
- TEORIA DELLE FATTISPECIE PLURISOGGETTIVE DIFFERENZIATE. I vari soggetti sarebbero puniti perché svolgerebbero attività che hanno in comune il raggiungimento dell’evento, differenziandosi solo per modalità di condotta ed elemento soggettivo.

Illustrate le teorie relative alla ratio della punibilità del soggetto non esecutore, è bene chiarire quali siano gli elementi strutturali del concorso di persone nel reato. Può sintetizzarsi come segue:
- più soggetti.
- il compimento di una fattispecie di reato.
- l’accordo.
- il contributo di ciascuno.
- l’elemento soggettivo.

Per quanto riguarda i soggetti, si richiede che siano in numero non minore di due. Alcuni ritengono che vadano inseriti nel computo anche i soggetti non imputabili o altrimenti non punibili. Autorevole dottrina si oppone a tale scelta (ANTOLISEI), in quanto specialmente inserendo nel novero i non imputabili si contemplerebbe nel fenomeno criminoso un soggetto già di per sé non punibile. Si ritiene che debbano essere senza dubbio inserite le ipotesi c.d. con autore mediato quali quelle consistenti nel costringimento fisico, nella minaccia tesa a far commettere un reato o l’ipotesi dell’errore derivante da altrui inganno.

La concretizzazione sul piano materiale dell’esecuzione criminosa, inoltre, è elemento imprescindibile, in quanto il mero accordo non seguito da essa (almeno spinta fino alla soglia del tentativo punibile) non è penalmente rilevante. L’unica reazione dell’ordinamento potrà essere a quel punto una misura di sicurezza se i soggetti sono pericolosi socialmente. 

Anche l’accordo è costitutivo del fenomeno criminoso, nel senso che i soggetti pianificano il reato da compiere. Esso può essere originario o successivo. Nel primo caso ci si immagini più soggetti che si accordano sulla commissione di un reato, anticipatamente rispetto al momento in cui intendano eseguirlo. Nel secondo caso si faccia riferimento ad un soggetto che decide di aiutare altri durante un’esecuzione criminosa già iniziata. L’accordo a cui non consegua l’estrinsecazione materiale almeno al livello del tentativo punibile, non porta l’applicabilità della sanzione, come già detto.

Prima di parlare del contributo, che ha comportato seri problemi identificativi, è bene chiarire quale sia l’elemento soggettivo richiesto ai fini della punibilità del concorrente. L’elemento soggettivo è innanzitutto il dolo, ed è divisibile in due porzioni, che devono entrambe esistere: il dolo di evento e il dolo di concorso. Col dolo di evento, il concorrente vuole che si arrivi alla lesione o messa in pericolo del bene protetto dall’ordinamento, mentre col dolo di concorso, egli vuole qualcosa in più. Vuole che quell’evento discenda dalla sua cooperazione con gli altri soggetti. Egli sa, in base al dolo di concorso, che il suo contributo si unisce a quello degli altri per il raggiungimento del risultato voluto da tutti. E’ sufficiente che il dolo sia unilaterale. Ad esempio, verrà condannato per concorso nel reato di furto, il soggetto che, all’insaputa del ladro vero e proprio, decide improvvisamente, trovandosi a passare sul luogo del delitto, di fargli da palo. Parte della dottrina ritiene che possano esservi anche concorso colposo nel delitto doloso, e concorso doloso nel delitto colposo.  Nel primo caso, la punibilità è da questi considerata attuabile per esigenze legate ad evitare fenomeni di impunità. La critica che si muove a questa teoria è che non tiene in considerazione il principio del legittimo affidamento che ciascuno può riporre nella diligente e lecita condotta altrui, quindi potrà ragionevolmente essere accettata solo a patto che il soggetto in colpa abbia una posizione di garanzia nei confronti del soggetto che compie il reato volontariamente. Il secondo tipo di concorso con elemento soggettivo eterogeneo (concorso doloso in delitto colposo) è invece punibile. Ne è una prova l’esistenza della fattispecie del reato commesso in maniera colposa per errore derivante dall’inganno altrui (che è ovviamente sorretto dal dolo). Altra fattispecie, completamente diversa, è quella della cooperazione colposa, che vedremo successivamente, alla fine di questo capitolo.

E arriviamo così a trattare del contributo. Per la sua definizione sono state usate tre teorie, di cui solo due sono prese in considerazione.
La prima teoria è quella condizionalistica. Essa ritiene che possa essere ritenuto contributo, il comportamento del partecipe, senza il quale non si sarebbe giunti al perfezionamento del reato (o comunque alla soglia di punibilità). Il contributo è quindi visto come imprescindibile per il compimento del fatto illecito, ed è considerato come condicio sine qua non. La critica che viene mossa è quella per cui la tesi in oggetto non farebbe rientrare nella nozione di contributo il contributo rilevante, ma terrebbe in considerazione solo il contributo essenziale. Ecco perché è stata proposta una seconda teoria, quella dell’aumento del rischio. Questa teoria reputa penalmente rilevante la condotta del partecipe, grazie alla quale si possa dire che aumentino le possibilità di compimento del reato, o meglio, di verificazione dell’evento previsto e punito dalla legge penale. La critica che è stata mossa a questa teoria riguarda l’incompatibilità con il principio per cui la mancata verificazione del reato non comporta la punibilità. Se applicassimo la teoria citata,letteralmente, essa suggerirebbe la punizione di un soggetto secondo una valutazione ex ante rispetto al reato, poiché reputa sufficiente l’aumento del rischio di verificazione del reato, senza che esso si concretizzi materialmente. E’ stata, perciò, aggiunta una terza teoria, e cioè la c.d. teoria agevolatrice o di rinforzo. Il contributo rilevante penalmente non è solo quello essenziale al compimento del reato, cioè quello senza il quale il reato non si sarebbe verificato, ma anche il contributo che ha agevolato o rinforzato l’attività criminosa. Agevolare significa rendere più semplice o più immediata l’esecuzione. Il rinforzo invece, a ben vedere, può anche non richiedere l’aver agevolato o reso più facile il reato, valendo semplicemente come l’aver sommato, aggiunto, il proprio comportamento a quello altrui, dando manforte all’attività compiuta dagli altri partecipanti. Ciò significa che anche nel caso in cui, se non fosse stato tenuto quel preciso comportamento da parte del partecipe, il reato si sarebbe verificato lo stesso, il partecipe è punibile se la sua condotta ha facilitato il compimento del reato, o se comunque si è aggiunto come tassello utile su cui gli altri membri del gruppo hanno potuto contare.  Tra le tre teorie proposte, quindi, vengono considerate utili solo la prima e la terza.
E’ da ricordare che, nel caso in cui il contributo non sia assolutamente utilizzato ai fini del compimento del reato, il potenziale partecipe non dovrà essere punito, in quanto per punirlo si dovrebbe utilizzare il messaggio esposto dalla seconda teoria. Inoltre, la punibilità dei partecipi che non si occupano della fase esecutiva non può essere ragionevolmente subordinata al “tentativo di contributo”, bensì al contributo che, essendo stato contemplato fattivamente nel compimento del reato, ha portato almeno alla soglia del tentativo (del reato) punibile. Alla persona che ha fornito il contributo inutilizzato si potrà applicare una misura di sicurezza, ma questo solo quando la sua pericolosità sociale sarà verificata. Sarà onere della pubblica accusa dimostrare che quel contributo era stato prestato ai fini del compimento del reato eseguito poi con altri mezzi ugualmente idonei.
Il contributo può essere anche di natura psichica, e può atteggiarsi come istigazione e come determinazione. L’istigazione accresce un proposito criminoso già esistente nella mente dell’esecutore. La determinazione crea un proposito criminoso prima inesistente. Anche nel caso del contributo psichico, il soggetto istigatore o determinatore sarà punito secondo le regole della teoria condizionalistica aggiornata con quella agevolatrice o di rinforzo. Si noti infatti che i due ruoli citati traggono proprio origine dalle due possibili conseguenze del contributo: se il soggetto è un determinatore vuol dire che senza il suo contributo il reato non si sarebbe verificato (teoria condizionalistica), mentre se è un istigatore vuol dire che ha rinforzato un proposito (teoria agevolatrice o di rinforzo). Si dovrà comunque trattare di istigazione accolta ed evento verificatosi. Se l’evento non si verifica e non si raggiunge la soglia del tentativo punibile, in quanto non vi è affatto inizio dell’esecuzione criminosa, al “partecipe psichico” potrà essere al massimo applicata una misura di sicurezza. La mera presenza sul luogo del reato non sarà sufficiente a garantire la punibilità del soggetto, mentre la connivenza e l’adesione psichica lo potranno essere. Ciò vuol dire che se la situazione concreta trascende la sterile presenza e manifesta un’adesione al fatto, idonea a contribuire al rafforzamento dell’altrui proposito, essa consentirà la punibilità del soggetto.    

Se uno dei partecipi voleva un reato diverso da quello verificatosi, egli sarà comunque punibile, ma non in base ad una responsabilità oggettiva, come lascerebbe intendere l’articolo 116 cod. pen., il quale subordina la punizione al mero nesso di causalità. Sarà punibile in base alla normale “sommatoria” di nesso eziologico ed elemento soggettivo almeno colposo (la giurisprudenza costituzionale parla al riguardo di “prevedibilità” in concreto dell’evento difforme da quello pianificato). Chi scrive ritiene che il comma I dell’articolo 116, anche prima della sentenza 364/88 che impone di richiedere sempre almeno la colpa ai fini della punibilità di un soggetto agente, non comportava un’ipotesi di responsabilità oggettiva. O meglio, non si dubita che il Legislatore intendesse formulare con suddetta norma un’ipotesi di responsabilità di tal tipo, ma cadeva in un paradosso concettuale, un’irragionevolezza comportata dalla presenza del secondo comma del medesimo articolo. Il comma II recita, infatti “Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita a chi volle il reato meno grave”. Quindi il legislatore ci starebbe dicendo che:

- nel caso in cui un soggetto voleva il reato più grave, e questo non si è verificato, bensì se ne è verificato uno meno grave non prevedibile, in conseguenza della sua condotta, il soggetto che voleva il reato più grave sarà sanzionato sulla base della sua volontà di concretizzare quest’ultimo, seppur tale volontà non sia sfociata fattualmente in realtà.
- nel caso in cui un soggetto voleva il reato meno grave, ma quello verificatosi è conseguenza della sua condotta, si prende (improvvisamente) in considerazione la volontà.

Quindi l’elemento soggettivo veniva considerato o non considerato, sulla base di quale fosse il reato voluto, se più grave o meno grave, senza fare i conti con la sfera di dominio del soggetto agente. Se l’evento voluto fosse stato più grave, al legislatore non sarebbe importato di valutare se quell’evento fosse in concreto prevedibile, forse sulla scorta di un fantomatico principio “La volontà del reato maggiore ingloba certamente la volontà del reato minore”. Se l’evento voluto fosse stato meno grave, invece, il legislatore avrebbe accordato rilevanza all’elemento soggettivo, cioè alla volontà. Fortunatamente la giurisprudenza costituzionale ci insegna attualmente come risolvere tutte le ipotesi di responsabilità oggettiva in maniera costituzionalmente orientata.

Per quanto concerne le circostanze applicabili al fenomeno concorsuale, la disciplina è fornita dagli articoli 112, 114, 118, 119 del codice penale. L’art. 112 elenca le circostanze aggravanti, alcune da applicarsi ai vari soggetti partecipanti, altre solo a persone specifiche (si rimanda, per l’elenco, alla lettura dell’articolo stesso). L’aumento è in alcuni casi fino ad un terzo, mentre in casi particolari può essere della metà o di due terzi. L’articolo 114 offre la possibilità di attenuare la pena per colui che ha fornito il contributo “minimo”. Innanzitutto l’attenuante in oggetto non si applica qualora sia già stata applicata taluna delle aggravanti previste dall’art. 112 (art. 114 co. II). La giurisprudenza ritiene che il contributo sia di minima importanza non quando senza lo stesso il reato si sarebbe verificato ugualmente. Questo non avrebbe senso, in quanto abbiamo già indicato come un contributo può essere anche solo rafforzativo e non essenziale. La minima importanza verrà riscontrata quando il contributo ha inciso in maniera marginale sul fenomeno concorsuale, poiché sarebbe stato facilmente sostituibile con altri contributi allo stesso modo efficaci.
Gli articoli 118 e 119 ci parlano delle circostanze che interferiscono con la pena, aumentandola, diminuendola o escludendola. L’articolo 118 lascia comprendere che le circostanze aggravanti e attenuanti ivi tassativamente elencate si applicano solo ai soggetti ai quali si riferiscono. Ne deriva che quelle soggettive diverse da quelle elencate, e quelle oggettive si estendono a tutti i partecipi. L’articolo 119, in tema di cause di esclusione della pena fa ritornare il normale principio per cui le circostanze soggettive che escludono la pena si applicano solo singolarmente ai soggetti ai quali si riferiscono. Si estendono a tutti le circostanze oggettive che escludono la pena.

Altra questione rilevante è data dal caso in cui un soggetto, che non ha la qualifica che lo renda intraneus, partecipi al reato proprio assieme al soggetto intraneus. Quali reati saranno commessi dai due soggetti? Bisogna differenziare alcune ipotesi (per comodità si parlerà di Tizio come intraneus, e di Caio come extraneus):

1) Caio fornisce un contributo alla condotta di Tizio, che compie un reato proprio esclusivo (esclusivo= che non trova una corrispondente parallela fattispecie di reato comune) -> Se Caio è consapevole della qualifica di Tizio, Caio concorre nel reato proprio esclusivo. Ad esempio, in caso di abuso d’ufficio, Caio e Tizio verranno imputati dei reati di cui agli articoli 110, 323 c.p.. In casi difformi da questo, Tizio non sarà punito, cioè non potrà esserci concorso nel reato proprio.
2) Se Caio e Tizio compiono un reato proprio non esclusivo, bisogna differenziare due ipotesi:
- se Caio non conosce la qualifica di Tizio, i due verranno puniti per i rispettivi reati;
- se Caio conosce la qualifica di Tizio, si ritiene che il nomen iuris per cui i due verranno puniti dipenda da chi rivesta il ruolo dominante nell’intero fenomeno concorsuale (a prescindere da chi sia l’esecutore). Se è Tizio a rivestire tale ruolo primario, si avrà concorso nel reato proprio. Se è Caio ad avere il ruolo direttivo o dominante, si avrà concorso dei due nella fattispecie di reato comune. 

Il concorso di un partecipe nel reato può essere anche commissivo nel reato omissivo, se il contributo fornito si basa su una istigazione a non tenere la condotta doverosa. Non esiste, invece, il concorso omissivo nel reato omissivo, in quanto il soggetto già di per sé viola un obbligo giuridico di agire, e compie reato omissivo già personalmente.

Passiamo ora a trattare brevemente del concorso necessario (reato plurisoggettivo) e del concorso esterno nel reato plurisoggettivo.
Il reato plurisoggettivo si ha nel caso in cui la norma penale incrimini direttamente uno specifico fatto, richiedendo che esso sia compiuto da più soggetti. Ecco perché viene indicato col nome di concorso necessario. Ciò vuol dire che i soggetti che tengono la condotta illecita non verranno puniti in base al combinato disposto tra una norma di parte speciale e l’articolo 110, bensì direttamente da una norma specifica. I reati plurisoggettivi più importanti sono quelli di rissa, violenza sessuale di gruppo, e corruzione, nonché i reati associativi di cui agli articoli 416 e 416 bis del codice penale. Altri reati plurisoggettivi rilevanti sono quelli contro la personalità dello Stato. La dottrina divide i reati plurisoggettivi in tre tipologie: unilaterali, bilaterali, reciproci. Quelli unilaterali vedono i soggetti agire assieme per un fine unico, ma il legame psichico tra singolo individuo e fine comune emerge rispetto all’aspetto collaborativo delle condotte. La differenza è netta rispetto ai reati plurisoggettivi reciproci (di cui i più importanti e pericolosi sono appunto i reati associativi) nei quali all’unico scopo fa fronte un elemento collaborativo molto forte. Nei reati plurisoggettivi bilaterali i più soggetti si trovano in posizioni antagoniste e confliggenti, come nel caso del reato di rissa. Alcuni Autori ritengono che sussista anche la categoria dei reati plurisoggettivi impropri, reati che si perfezionano con la condotta di più soggetti, di cui solo alcuni sono puniti (ad es. la corruzione impropria susseguente, in cui non è punito il soggetto extraneus).
Pur essendo vero che quando si parla di reati plurisoggettivi non viene normalmente in rilievo l’articolo 110 del codice penale, dobbiamo dire che vi è in concreto un’eccezione. Esiste il concorso esterno nel reato plurisoggettivo, e tale concorso esterno (lungi dal verificarsi solo nel reato di associazione di stampo mafioso) si può verificare in qualsiasi ipotesi di reato plurisoggettivo. Ad esempio:
- nel reato di rissa, sono reputati partecipanti quelli che vengono allo scontro fisico o a distanza. Se però Tizio, soggetto esterno alla rissa, fornisce un’arma a Caio, sarà invocabile l’articolo 110 in combinato col 588 c.p.
- nel reato di violenza sessuale di gruppo (609-octies), sono puniti i soggetti presenti nello stesso luogo, che partecipano ad atti di violenza sessuale. Se Tizio, soggetto esterno, fornisce a Caio le chiavi di casa dove commettere il reato, e si tiene a debita distanza dal luogo durante l’esecuzione, non si potrà certo arrivare ad un risultato di impunità, e sarà quindi concretamente applicabile la sanzione in base all’art. 110.    

Il reato che desta più interesse, derivante dall’applicazione sostanziale dell’articolo 110 con un reato plurisoggettivo associativo è il concorso esterno in associazione mafiosa. Ciò che rileva sarà, come ricorda la Corte di Cassazione, il contributo concreto, specifico, consapevole e volontario all’associazione mafiosa in sé (quindi un contributo alla sussistenza, al mantenimento e alla conservazione del fenomeno associativo mafioso) o al raggiungimento dei suoi fini (ad esempio nel caso di ausilio prestato per il compimento di un reato-scopo dell’associazione). Nel primo caso si avrà un’imputazione formata dagli articoli 110 e 416-bis. Nel secondo caso il reato di concorso esterno sarà abbinato al reato-scopo aggravato dall’articolo 7 della Legge 203/1991. Il carattere “esterno” del soggetto lo si evincerà da due elementi, uno formale e uno sostanziale. Quello formale è il mancato riconoscimento dello stesso come membro dell’associazione. Quello sostanziale sarà l’incontro estemporaneo delle volontà del partecipe esterno e dell’associazione. Ciò significa che il concorrente è esterno, innanzitutto perché non è un membro effettivo che riconosce come propri i fini dell’associazione, e poi perché solo occasionalmente vi è stata una convergenza di interessi tra i due “enti”, uno scambio di favori sulla base del principio do ut des, che cristallizza la distanza tra essi, pur non facendo venir meno la rilevanza penale del contributo fornito dal partecipe esterno.

Ultimo appunto sulla differenza tra concorso eventuale di persone nel reato, e concorso necessario di tipo associativo. Nel concorso eventuale, due o più soggetti si accordano temporaneamente per commettere dei reati specifici, e risultano sforniti di una organizzazione capillare ed evoluta di mezzi. Nel reato associativo abbiamo i caratteri opposti: vincolo stabile e tendenzialmente permanente (non a caso il reato associativo è appunto un reato permanente che si perfeziona con la deliberazione di disponibilità di un soggetto nei confronti della struttura associativa e nella presa in carico degli obblighi finalizzati a consentire la sopravvivenza della stessa e la concretizzazione dei suoi fini), piano criminoso indeterminato, organizzazione di mezzi e uomini ben definita, capillare, non rudimentale o embrionale, a cui si aggiungono: la c.d. affectio societatis cioè l’elemento soggettivo fondato sulla consapevolezza di appartenere ad una struttura allargata e di esserne un tassello operativo dotato di volontà che si “intreccia” con quella altrui per consentire lo sviluppo dell’associazione, ove nel concorso eventuale l’elemento soggettivo si basava su un dolo unilaterale di contribuire all’altrui esecuzione criminosa, per poi “uscire” dal fenomeno concorsuale; elementi “aggiuntivi” eventuali, come una gerarchia interna di ruoli, una contabilità, ecc.  

Due cose importanti, in merito alla cooperazione colposa (art. 113 c.p.) e cioè la sua possibile definizione e la sua differenza con il concorso di condotte colpose indipendenti.
Si ha cooperazione colposa quando un soggetto compie una condotta che accede ad una condotta altrui, dalla quale scaturisce un reato colposo. E’ richiesto che il primo soggetto sappia che la sua condotta si innesterà sulla condotta altrui ma allo stesso tempo non deve volere l’evento. La differenza con il concorso di condotte colpose indipendenti sta proprio nell’elemento soggettivo. Mentre nel primo caso Tizio tiene una condotta imprudente o negligente, consapevole che essa troverà il suo sbocco nella condotta colposa altrui, nel secondo caso più soggetti tengono condotte colpose in maniera contemporanea ma inconsapevole dell’intreccio che avrà ad oggetto le condotte stesse. L’esempio di scuola per la cooperazione colposa è quello di Tizio che suggerisce a Caio di gettare la sigaretta accesa fuori dal finestrino in prossimità di un bosco; quello per il concorso di condotte colpose indipendenti è il caso di più automobilisti che, violando regole precauzionali connesse alla guida, causano la morte dello stesso pedone attraversante la strada.

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