mercoledì 1 maggio 2013

Malori improvvisi e colpi di sonno patologici: tra caso fortuito ed infermità.





CASSAZIONE PENALE – Sez. IV – 14 febbraio 2013 n. 9172 – Pres. Brusco – Est. Dovere – (Annullamento con rinvio, GDP di Lovere, 1 giugno 2012, n. 16/2010).

Delitti contro la persona – Lesioni personali colpose – Circolazione stradale – Malore improvviso e colpo di sonno – Vizio di mente.

Il malore improvviso, ancorché riconducibile al colpo di sonno cd. “patologico”, costituisce uno stato morboso integrante un vizio di mente ex art. 88 c.p., non invece circostanza di caso fortuito, idonea ex se a spezzare la concatenazione causale legata all’evento di reato ovvero ad escluderne la punibilità. Ne consegue per il giudice di valutare in termini di suitas, basandosi su elementi concreti, la prevedibilità ed evitabilità della condotta delittuosa o dei fattori causali intercorsi, ovvero l’eventuale sussistenza di fattori imprevedibili ed inevitabili, tali da escludere coscienza e volontà dell’azione. (Fattispecie relativa ad un delitto di lesioni colpose da incidente automobilistico, nel quale il giudice aveva ipotizzato la sussistenza di malore improvviso o colpo di sonno per il conducente imputato, sulla scorta delle indicazioni peritali, senza tuttavia argomentare concretamente in merito all’imprevedibilità ed inevitabilità dell’accidente).

MALORI IMPROVVISI E COLPI DI SONNO PATOLOGICI:
TRA CASO FORTUITO ED INFERMITA’
(Francesco Sollazzo)

1. Premessa. – 2. Caso fortuito nei reati stradali. La Cassazione sul malore improvviso. – 3. Il versante probatorio. – 4. Conclusioni.


1. PREMESSA.
La pronuncia di legittimità in commento, nell’affrontare gli scottanti e rilevantissimi problemi sistematico-giuridici legati ai cosiddetti “reati della strada”, consente di far luce in modo chiaro e preciso sulla collocazione concettuale delle evenienze legate a malore alla guida, nonché relativamente all’onere probatorio ed al suo bilanciamento tra le parti processuali.

La prima questione concerne l’eventuale possibilità di annoverare o meno le situazioni di malore improvviso del conducente, nell’ambito dei quali sono compresi i comuni “colpi di sonno”, all’ampia categoria del caso fortuito di cui all’art. 45 c.p. Dall’inquadramento sistematico poi, ne scaturiscono diversi effetti in termini di onere probatorio e susseguente quantum.


2. CASO FORTUITO NEI REATI STRADALI. LA CASSAZIONE SUL MALORE IMPROVVISO.
Senza voler minimamente sconfinare in una trattazione manualistica, pare indispensabile in prima battuta chiarire le basi del concetto di “caso fortuito”, rapportandolo nei contesti legati ai reati alla guida.
Ancorché datata, emblematica pare in tal senso la definizione giurisprudenziale che configura il caso fortuito quale “”quid” imponderabile, imprevisto ed imprevedibile inseritosi improvvisamente nell’azione del soggetto soverchiando ogni sua possibilità di contrasto, tale da rendere fatale il compiersi dell’evento[1]”.
Indispensabile quindi che, ai fini del caso fortuito, l’accadimento estraneo alla condotta del soggetto e che s’inserisce nella concatenazione causale dell’azione, costituisca un accidente totalmente imprevedibile ed incontrollabile, avverso il quale il soggetto stesso non possa porre in essere alcuna condotta alternativa o strumentale ad evitare o attenuare il pericolo stesso.
Quanto detto, ci induce a considerare il caso fortuito in posizione diametralmente antitetica rispetto alla concezione di colpa, giacché “non costituisce caso fortuito, tale da escludere la punibilità dell’agente, quello cui l’agente stesso abbia dato causa, con la sua condotta negligente o imprudente[2]”, e dunque “se l’accadimento, pur se eccezionale, ben poteva in concreto essere previsto ed evitato, non è possibile parlare di caso fortuito in senso tecnico[3]”.
A livello di teoria generale, nell’ambito della contrapposizione ermeneutica sull’istituto tra un’accezione prettamente oggettiva, quale serie d’eventi idonei ad escludere il nesso di causalità[4], e soggettiva quale causa d’esclusione della colpevolezza[5],  la giurisprudenza di legittimità, pur senza disconoscere i riverberi degli eventi fortuiti a livello già di tipicità[6], propende per la prima tesi, la quale, lasciando intatto il contributo causale meramente fisico dell’agente, scrimina a livello di suitas[7].
Nella casistica dei reati stradali alla guida, la giurisprudenza della Cassazione si è dimostrata abbastanza selettiva nel riconoscere la scriminante del caso fortuito, esaltando così il reciproco concetto della prevedibilità ed evitabilità dell’accidente intercorso. Nello specifico, sono stati ritenuti non fortuiti accadimenti quali: l’abbagliamento di un fulmine[8] ovvero dei raggi solari[9]; strada sdrucciolevole[10]; afflosciamento di uno pneumatico già abbondantemente usurato[11] ed in generale i guasti al veicolo dovuti a negligenza[12]; spegnimento della pubblica illuminazione[13].
Nelle evenienze di negligenza altrui sovente si nega il caso fortuito, sull’assunto che il conducente debba adottare altresì quelle cautele idonee a prevedere e prevenire i possibili comportamenti colposi d’altri[14], specialmente quando  “l’imminenza e la gravità di una situazione di pericolo sia percepibile con estrema facilità, chiarezza e prevedibilità e possa conseguentemente essere evitata con diligenza anche minima[15]”; tuttavia qualora la manovra d’emergenza risulti necessitata, l’eventuale evento delittuoso cagionato dall’infruttuoso compimento della stessa rientra nella categoria del fortuito[16].
Discorsi peculiari vanno fatti per le patologie intercorse alla guida ed il comune “colpo di sonno”. Una prima delimitazione in negativo dell’ambito relativo al caso fortuito, concerne tutte quelle situazioni legate a cause fisiologiche o di preesistente conoscibilità, le quali giammai potrebbero annoverarsi tra le evenienze fortuite[17], bensì rilevano in tema di colpa cosciente ovvero dolo eventuale.
Astrattamente riconducibili al caso fortuito, sono allora esclusivamente quei malori e colpi di sonno “patologici”, vale a dire alterazioni funzionali del tutto repentine ed imprevedibili[18]. Nonostante la confacenza di simili situazioni alla disciplina dell’art. 45 c.p., sostenuta peraltro da una giurisprudenza di legittimità ormai minoritaria e risalente[19], la sentenza in esame si colloca lungo un filone consolidatosi in seno alle Sezioni Unite nel 1980[20], teso ad escludere per questi stati patologici improvvisi il caso fortuito, ricollocandoli tra i vizi totali di mente di cui all’art. 88 c.p. e rilevando già sotto il profilo dell’imputabilità.
L’iter logico-giuridico della pronuncia in commento, rileva come le situazioni di caso fortuito presuppongano ontologicamente  un’azione umana cosciente e volontaria[21], a differenza dello stato patologico improvviso, il quale minando la coscienza dell’azione “spezza il collegamento tra il comportamento del soggetto medesimo e le funzioni psichiche che allo stesso presiedono”, provocando così movimenti o inerzie del tutto svincolate dal requisito minimo d’imputabilità di cui all’art. 42 co.1 c.p.[22].


3. IL VERSANTE PROBATORIO.
Considerare colpi di sonno patologici et similia quali elementi rilevanti in punto d’imputabilità (e segnatamente riguardo a coscienza e volontà dell’azione), anziché evenienze fortuite, comporta differenti distribuzioni degli oneri probatori. Infatti, qualora tali condizioni fisiche venissero interpretate sotto quest’ultima ottica, e ricondotte pertanto nell’ambito delle cause di esclusione della colpevolezza (secondo la concezione prevalente in giurisprudenza per il caso fortuito), malori e colpi di sonno patologici dovrebbero esser provati a pieno, e tale onere spetterebbe esclusivamente in carico alla parte eccepente, poiché elementi negativi del reato. Al contrario, ponendosi nella prospettiva ermeneutica della sentenza in commento, queste situazioni riguardano elementi costitutivi del reato, involvendo la suitas della condotta, pertanto gli stessi sono a carico probatorio dell’accusa, e qualora non fossero pienamente comprovati, l’imputato andrebbe assolto con formula dubitativa ai sensi dell’art. 530 cpv. c.p.p.
Una volta chiarito che spetta al giudice vagliare la sussistenza di tali stati nell’ambito della verificazione in punto di coscienza e volontà della condotta, è pur sempre buona deontologia difensiva quella di eccepire la circostanza d’incapacità, la quale, se confutata oltre il “ragionevole dubbio” perfezionerà la fattispecie delittuosa, in caso contrario si addiverrà alla pronuncia ricordata al capoverso precedente.
Ai fini assolutori quindi, è sufficiente una mera prospettazione di malore improvviso o necessitato un quid pluris probatorio?
Sul quesito gli ermellini si mostrano fedeli ad un solco giurisprudenziale di legittimità univoco, propendendo per la seconda soluzione, tesa a garantire un quantum di prova concreto e specifico e giammai astratto. In questo senso, affinché il giudice possa valutare lo stato d’incapacità e quello d’efficienza  del veicolo, non è sufficiente la mera formulazione d’ipotesi astratte; pertanto in “assenza di elementi concreti capaci di renderla [l’eccezione relativa agli stati de quibus] plausibile (ad esempio l’età e le condizioni psicofisiche dell’imputato)[23]”, ed in “presenza di risultanze inequivoche confortanti la colpevolezza, deve presumersi che la condotta del soggetto, normalmente capace, sia riferibile ad un’azione cosciente e volontaria e, quindi, liberamente determinata[24]”.

4. CONCLUSIONI.
Collocati concettualmente colpi di sonno patologici e malori improvvisi, e delineatone l’aspetto quantitativo nella loro prova, la Cassazione annulla con rinvio la sentenza impugnata. Il giudice di prime cure, infatti avrebbe preso in considerazione delle circostanze ipotetiche ed inidonee a configurare quantomeno il “ragionevole dubbio” ai fini della sua decisione assolutoria. Gli elementi addotti in motivazione deponevano verosimilmente per una situazione di colpo di sonno, la quale non scrimina in tal senso se non nella sua ipotesi “patologica”, quest’ultima però doveva esser provata in maniera più specifica e definita.




[1] Cass. Pen., 25 mar. 1988, RP, 1989, 1218.
[2] Cass. Pen., Sez. IV, 17 set. 2009, n. 44548.
[3] Cass. Pen., Sez. III, 18 dic. 1997, n. 1814.
[4] Mantovani, Diritto penale, IV ed., Cedam, 2001, 159 ss.
[5] Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, XV ed., Giuffrè, 2000, 383 ss.
[6] Cass. Pen., S.U., 14 giu. 1980, n. 12093.
[7] Salomonica in tal senso, Cass. Pen., Sez. IV, 17 ott. 2007, n. 5096.
[8] Cass. Pen., Sez. IV, 2 mar. 1982, n. 11997.
[9] Cass. Pen., Sez. IV, 16 giu. 1992, n. 8928.
[10] Cass. Pen., Sez. IV, 15 mar. 2007, n. 19373.
[11] Cass. Pen., Sez. IV, 2 mag. 1983, n. 3988.
[12] Cass. Pen., Sez. 15 giu. 1981 n. 5866.
[13] Cass. Pen., Sez. IV, 9 giu. 1982; n. 720.
[14] Cass. Pen., Sez. IV, 17 apr. 1981, n. 3462; id., Cass. Pen., Sez. IV, 1 apr. 1982 n. 3506.
[15] Cass. Pen., Sez. IV, 26 mar. 2010, n. 19630.
[16] Cass. Pen., Sez. IV, 24 giu. 2008, n. 29442.
[17] Cass. Pen., Sez. IV, 9 nov. 1989, n. 459.
[18] Cass., n. 12093/1980, cit..
[19] Cass., n. 459/1989, cit.
[20] Cass., n. 12093/1980, cit.
[21] Cass. Pen., Sez. IV, 30 ott. 2001, n. 41097.
[22] Analogamente Cass. Pen., Sez. IV, 29 lug. 2004, n. 32931.
[23] Cass., n. 41097/2001, cit.; id., Cass., n. 32931/2004, cit.
[24] Cass. Pen., 12 giu. 1991, n. 12149.

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