giovedì 2 maggio 2013

Alzheimer ed esecuzione della pena, tra carcere e detenzione domiciliare.




CORTE DI CASSAZIONE – Sezione I Penale – 15 gennaio 2013 n. 2872 Pres. Giordano – Rel. Rocchi – Ricorrente Ciola (Annulla con Rinvio Tribunale di Sorveglianza Bari, 19 aprile 2012, n. 321)

Ordinamento penitenziario – Detenzione domiciliare e differimento di pena – Soggetto affetto da morbo di Alzheimer – Incompatibilità con il regime carcerario – Principio di rieducazione
Va concesso il differimento di pena, ai sensi dell’art. 147 c.p., e la misura della detenzione domiciliare, ai sensi dell’art. 47-ter L. 26 luglio 1975 n. 354, introdotto dall’art. 13 L. 10 ottobre 1986 n. 663, al detenuto affetto da morbo di Alzheimer, in ragione del fatto che detta patologia è ritenuta incompatibile con il regime carcerario perché contrario al principio di rieducazione stabilito dall’art. 27 comma 3 Cost.; a tal fine è necessaria una valutazione concreta e attuale dei comportamenti del detenuto al fine di ritenere l’attualità della pericolosità del soggetto.

“ALZHEIMER ED ESECUZIONE DELLA PENA, TRA CARCERE E DETENZIONE DOMICILIARE”.
(dott. Cristian Buttazzoni)
La sentenza in esame prende in considerazione il rapporto tra malattie psichiche di tipo degenerativo (nel caso di specie, morbo di Alzheimer) e detenzione carceraria, ricercandone profili di compatibilità.
Occorre, in primo luogo, delineare l'istituto della detenzione domiciliare introdotta all'art. 47-ter, Legge sull’ordinamento penitenziario (inserito dall'art. 10 della Legge 10 ottobre 1986, n. 663) che prevede in particolare quattro casi di possibile applicazione:

1) pena della reclusione per tutti i delitti, ad eccezione di quelli di violenza sessuale e di quelli previsti dall'art. 51 c. 3-bis del Codice di procedura penale nonché dell'art. 4-bis l. o.p. in caso di persona di età superiore a 70 anni, salvo che sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza e non sia stata applicata la circostanza della recidiva ai sensi dell'art. 99 codice penale;
2) pena residua da scontare non superiore ad anni quattro quando si tratta di donna incinta o madre con figli di età inferiore ad anni dieci, padre esercente la potestà genitoriale, persona in gravi condizioni di salute, persona di età superiore ad anni sessanta, dichiarata inabile, persona di età inferiore ad anni ventuno per esigenze familiari, di studio o lavoro;
3) persona dichiarata recidiva quando la pena residua da scontare è inferiore a  tre anni;
4) Persona condannata a pena detentiva inferiore a due anni quando non sia previsto l'istituto dell'affidamento in prova e sempre al fine di evitare il pericolo di reiterazione del reato.
 Nei casi di rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione, è possibile disporre la detenzione domiciliare anche nel caso in cui la pena abbia una durata superiore ai limiti indicati al comma 1.
Ciò considerato, occorre delineare il caso di specie. Si tratta di persona che ha compiuto ottanta anni e condannata per il reato di cui all'art. 74  del D.P.R. 309/1990 (T.U. stupefacenti) alla pena di 11 anni di reclusione, per fatti commessi dal 1989 al 1992. In tale contesto sono state respinte anche le istanze di differimento di pena, ai sensi dell'art. 147 c.p.
La particolarità del caso in esame consiste nella patologia degenerativa di cui è affetto il soggetto, ossia il morbo di Alzheimer; essa consiste in una forma di demenza senile degenerativa di tipo primario, che si manifesta nell'impossibilità di ricordare le cose e, in seguito, si traduce in difficoltà a livello relazionale, con annessi sbalzi d'umore, irritabilità, difficoltà di linguaggio e disfunzioni sensoriali.
La malattia in esame impedisce, quindi, il percorso di rieducazione al quale deve tendere la detenzione carceraria, così come previsto dal principio costituzionalmente sancito all'art. 27 comma 3 e, quindi, non consente la creazione di un percorso che porti al reinserimento sociale del detenuto, circostanza che rende difficile anche la vita del detenuto all'interno dell'istituzione carceraria.
Inoltre, la presenza della malattia degenerativa in esame, che a tutt'oggi non prevede cure, rappresenta in tali casi anche un problema di carattere sanitario (di qui, la censura sollevata con riferimento all'art. 32 della Costituzione), perché non è possibile allo stato assicurare terapie adeguate alla patologia e un ambiente come quello carcerario contribuisce ad accelerarne lo sviluppo.
Sulla base di queste premesse, la Suprema Corte ha ritenuto che sia necessario formulare un giudizio di compatibilità della pena che tenga conto anche della pericolosità del soggetto, essendo possibile nell'ordinamento penitenziario anche l'applicazione di altri strumenti, quali l'affidamento in prova al servizio sociale, la libertà vigilata oppure, come nel caso di specie, la detenzione domiciliare.
In questo caso, sussistendo i requisiti per l'applicazione della misura della detenzione domiciliare, si è ritenuto opportuno adottare tale misura, portando all'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata, anche per consentire al detenuto la migliore condizione possibile nel periodo della reclusione.
Inoltre, va rilevato che, nel caso di specie, la Corte ha ritenuto sussistere, per gli stessi motivi sopra elencati, i requisiti per il differimento della pena, ai sensi dell'art. 147 c.p., che peraltro erano stati dichiarati insussistenti da parte della Corte di merito, la quale si era basata unicamente sulla gravità del delitto per la quale l'imputato era stato condannato, sul pericolo di reiterazione del reato e sulla commissione di illeciti disciplinari durante la detenzione.

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