mercoledì 1 maggio 2013

La Cassazione sul reato di invasione di terreni ed edifici.



CORTE DI CASSAZIONE – Sez. II penale – 14 gennaio 2013 n. 1630 – Pres. Macchia – Est. Rago. 

Invasione di terreni o edifici – Arbitrarietà dell'invasione –  Modalità violente dell'azione – Irrilevanza – Dolo specifico - Perseguimento di scopo sociale – Sussistenza.

L'art. 633 c.p. richiede, ai fini della realizzazione della condotta tipica del reato di invasione di terreni od edifici, che l'introduzione nel fondo altrui sia caratterizzato dall'elemento dell'arbitrarietà, ossia si ponga contra ius, in quanto priva di qualsiasi titolo legittimante, pur non necessariamente accompagnata da modalità violente, e sia sorretta dal dolo specifico dell'occupazione ovvero, alternativamente, del conseguimento di altro profitto o generica utilità anche non patrimoniale; pertanto, deve ritenersi sussistente il reato de quo nella condotta di chi si introduce nell'immobile  altrui senza alcuna autorizzazione e senza il consenso dell'avente diritto, sia pure in assenza di modalità violente e di intenzioni ostili, non al fine di occuparlo, ma di ricavarne un' utilità consistente nel perseguimento di uno scopo sociale - dimostrativo.

Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità -  Elemento oggettivo del reato – Interruzione e turbativa – Alternatività – Carattere temporaneo e parziale dell'interruzione – Sufficienza.

La ratio dell'art. 340 c.p. deve individuarsi nella necessità di tutelare non solo l'effettivo funzionamento di un servizio pubblico o di pubblica necessità ma anche il suo regolare ed ordinato  svolgimento, assoggettando a sanzione sia la condotta consistente nell'interruzione dell' ufficio o servizio di entità e durata tale da turbarne la regolarità, sia la turbativa idonea a determinare un un'interruzione o un impedimento, sia pure temporanei e parziali, delle attività; pertanto, deve ritenersi punibile ai sensi della norma in parola anche la turbativa che si traduca in una alterazione temporanea, purchè oggettivamente apprezzabile, della regolarità o continuità di un singolo settore o di una singola funzione dell'ufficio o servizio e che non ne coinvolga l'operatività globale e complessiva, in quanto condotta ideonea a ledere il bene giuridico dell'ordinato svolgimento del pubblico ufficio o servizio.

Considerazioni dell’avv. Amalia Spatuzzi

Con la sentenza in commento la Suprema Corte si pronuncia in ordine all'esatta individuazione degli elementi costitutivi di due distinte fattispecie incriminatrici: quella di '"invasione di terreni ed edifici", di cui all'art. 633 c.p. e quella di "interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità", ex art. 340 c.p. 
Il Giudice di prime cure ed il Giudice d' appello avevano infatti ritenuto sussistenti i reati in esame nella condotta di alcuni cittadini i quali, in orario d'ufficio, si erano introdotti nella sede del Magistrato delle Acque di Venezia, per finalità dimostrative, barricandosi all'interno dei locali degli stessi uffici, muniti di megafono e striscioni, impedendo l'accesso ad altri soggetti e compromettendo in tal modo il regolare svolgimento dell'attività lavorativa degli impiegati ivi presenti.

Con uno dei motivi di impugnazione, i ricorrenti deducono l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 633 c.p., per avere la Corte d'Appello di Venezia da un lato erroneamente interpretato la nozione di "invasione" contemplata dalla norma in parola – si era infatti accertato che la condotta degli imputati non si era estrinsecata in un'irruzione violenta nei predetti uffici - dall'altro ritenuto integrato l'elemento soggettivo del dolo specifico richiesto dal legislatore (fine di occupar[e i terreni o gli edifici] o di trarne altrimenti profitto), nonostante dall'istruttoria dibattimentale fosse incontrovertibilmente emerso che i manifestanti avevano posto in essere un'iniziativa simbolica, dimostrativa ed essenzialmente pacifica, finalizzata ad ottenere un contraddittorio con le autorità pubbliche.
Per quanto attiene all'elemento materiale del reato de quo, gli Ermellini sottolineano – richiamando altresì una serie corposa di propri precedenti[1] - che la nozione di "invasione" si caratterizza non per l'aspetto violento della condotta, bensì per la sua arbitrarietà, per il suo porsi contra ius, se ed in quanto colui che si introduce nell'immobile altrui sia privo del diritto d'accesso (derivante dal consenso dell'avente diritto, da una norma giuridica o da un'autorizzazione dell'autorità competente). Come autorevole dottrina[2] ha rilevato, dunque, il termine "invasione" dev'essere inteso quale sinonimo qualificato di "introduzione", la quale peraltro deve configurarsi non solo priva di titolo giustificativo e spazialmente riconnessa ad un altrui bene, ma connotata anche da un ulteriore elemento caratterizzante, ravvisabile nell'effettiva turbativa del godimento altrui del bene. L'interesse protetto dalla norma in esame consiste infatti in quel rapporto di fatto sulla res, esercitato sia dal proprietario che da terzi, riconducibile alla nozione di "possesso" di cui all'art. 1140 c.c. Ne consegue che la condotta tipica sanzionata deve individuarsi nell'arbitraria introduzione nel terreno o edificio altrui, allo scopo di esercitare sullo stesso un rapporto di fatto che escluda in tutto o in parte quello preesistente riguardante altra persona[3], dal quale il soggetto agente possa trarre un qualsiasi profitto, a nulla rilevando le modalità, violente o meno, con cui si attua la condotta vietata (sebbene tale interpretazione sembri porsi in contrasto con la collocazione sistematica della presente fattispecie di reato, inserita dal legislatore nel capo I del titolo XIII del libro II del codice penale, dedicato ai "Delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone").
Parimenti, per la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo specifico, il legislatore richiede alternativamente la finalità dell'occupazione ovvero del conseguimento di altra utilità: quest'ultima, come la Suprema Corte ha più volte precisato[4], non deve necessariamente identificarsi in un'utilità di natura strettamente patrimoniale, potendo altresì consistere in uno scopo di particolare valore morale e sociale, in una qualsiasi utilità diretta o indiretta anche di ordine morale, ivi compresa la finalità dimostrativa (come nel caso di specie).
Sulla base di queste considerazioni, la Corte di Cassazione dichiara pertanto infondata l'esaminata doglianza.
Ad analoga conclusione i giudici di legittimità pervengono con riferimento all'ulteriore motivo di impugnazione proposto dai ricorrenti, relativo alla violazione ed erronea applicazione dell'art. 340 c.p. Il giudice di merito aveva ravvisato, in punto di fatto, tanto l'elemento dell'interruzione quanto quello della turbativa dell'ufficio o servizio pubblico nella condotta degli occupanti, che aveva determinato un'interruzione dell'attività lavorativa dell'ufficio della Magistratura delle Acque, costringendo gli impiegati presenti a sgomberare parte dell'edificio prima del normale orario di chiusura, a seguito dell'intervento della forza pubblica.
Ebbene, la Suprema Corte preliminarmente rileva come il reato di "interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità" sia ravvisabile sia nella condotta di chi cagiona un'interruzione sia in quella di chi turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità: le due ipotesi, alternative, secondo la giurisprudenza devono ritenersi equivalenti, nel senso che "l'interruzione deve essere tale da turbare la regolarità dell'ufficio o servizio e la turbativa si realizza anche con un'interruzione, purchè di entità e durata tale da determinarla" (si veda: Cass. Pen., sent. n. 33062/2003, rv. 226662).
Ciò premesso, i giudici della II sezione penale della Corte di Cassazione affermano di non condividere quell'orientamento, pur manifestatosi all'interno della stessa giurisprudenza di legittimità[5] (e su cui si fonda la tesi difensiva), in base al quale ai fini della configurabilità del reato in esame è necessario che il turbamento della regolarità dell'ufficio si manifesti in forma di alterazione del funzionamento, ancorchè temporanea, dell'ufficio o servizio intesa nel suo complesso, e non di alterazione di una singola funzione o prestazione "rapportata ad un determinato momento che, in quanto tale, non ha alcuna incidenza negativa di apprezzabile valore sulla concreta operatività globale dell'ufficio o del servizio". Tale interpretazione riduttiva, infatti, finirebbe col conferire una tutela solo parziale al bene protetto dalla norma incriminatrice: al contrario, dal momento che la ratio dell'art. 340 c.p. deve individuarsi nella necessità di tutelare non solo l'effettivo funzionamento di un servizio pubblico o di pubblica necessità ma anche il suo regolare ed ordinato  svolgimento, è sufficiente – per realizzare la fattispecie de qua – che la turbativa si traduca in una alterazione temporanea, purchè oggettivamente apprezzabile, della regolarità o continuità anche di un singolo settore o di una singola funzione dell'ufficio o servizio ovvero di una singola prestazione, pur senza coinvolgere l'operatività globale o la totalità delle attività. Secondo la Suprema Corte, in conclusione, anche disfunzioni parziali e limitate di un singolo settore di un ufficio o di un servizio, che non pregiudicano la regolarità del suo funzionamento complessivo, sono idonee a costituire offesa al bene giuridico tutelato dalla specifica norma in esame. 



[1]    Si vedano, ex multis: Cass. Pen., sent. n. 8107/2000, rv.216525; n. 49169/2003, rv. 227692; n. 15610/2006, rv. 233970.
[2]    Fiore S., I reati contro il patrimonio, Utet giuridica, 2010.
[3]    Crespi - Forti - Zuccalà, Commentario breve al Codice Penale, CEDAM, 2010.
[4]            Si vedano, a titolo esemplificativo: Cass. Pen., sez. II, n. 8107/2000, rv. 216525 e Cass. Pen., sez. VI, n. 1763/2003
[5]    Cass. Pen., sez. VI, sent. n. 35399/2006, rv. 235196; sez. VI, n. 15750/2003; sez. VI, n. 2723/1997.

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