giovedì 31 maggio 2012

Abbandono del tetto coniugale: calunnia e falsa denuncia del coniuge.


di Giovanni Miccianza

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Costituisce oramai una prassi quella secondo la quale, a seguito dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza coniugale, un coniuge abbandona il domicilio domestico e riceve dall’altro una denuncia-querela per la violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.), senza che risulti configurata la fattispecie delittuosa.
Si può parlare di calunnia?
Il reato di calunnia ex art. 368 c.p. si verifica ogni qual volta chiunque incolpa di un reato taluno che egli sa essere innocente ( c.d. calunnia formale o diretta), ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato (calunnia materiale o indiretta).
La norma è soprattutto volta ad evitare il pericolo che l’amministrazione della giustizia sia tratta in inganno.
Ed invero, il delitto ha natura plurioffensiva poiché titolari dell’interesse giuridico tutelato dalla norma incriminatrice sono non solo il privato incolpato falsamente (soggetto passivo in via secondaria) ma anche e soprattutto lo Stato (soggetto passivo primario).
Si tratta di un reato di natura istantanea, comune e di pericolo.

Autore del reato può essere chiunque (reato comune). Per integrare la fattispecie è sufficiente che l’Autorità Giudiziaria dia inizio al procedimento per accertare il reato incolpato, (al riguardo basta il singolo atto di indagine) con danno per il normale funzionamento della giustizia (reato di pericolo). E’ un reato istantaneo e si consuma nel momento e nel luogo della prima dichiarazione accusatoria, suscettibile di dare l’avvio ad un procedimento penale.
Al riguardo giova rammentare che le dichiarazioni successivamente rese, che non apportano sostanziali cambiamenti al fatto denunciato, non integrano la continuazione o permanenza del fatto-reato ma finiscono per assumere solo valore di conferma.
Per quanto attiene all’elemento oggettivo del delitto in questione, consiste nell’incolpare taluno falsamente di un reato, cioè di un fatto che corrisponda in ogni suo estremo ad una ben determinabile ipotesi delittuosa o contravvenzionale. L’elemento soggettivo consiste nella consapevolezza e volontà di incolpare di un reato taluno che sia innocente e di cui si sa che risulta innocente (dolo generico).
Con riferimento al caso specifico del coniuge che abbandona il tetto coniugale occorre analizzare se nel suo comportamento possa configurarsi la violazione dell’art. 570 c.p. e nell’ipotesi in cui risulti innocente,o meglio si sa essere innocente, possano ravvisarsi a carico del coniuge querelante gli estremi del delitto di calunnia.
Da tempo costituisce un consolidato orientamento giurisprudenziale l’affermare che l’abbandono del domicilio domestico costituisce reato solo in assenza di una giusta causa (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 22 dicembre 2010, n. 785). Ed invero, l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza coniugale può essere supportata da diverse circostanze tra le quali si evidenziano: una condanna per il reato di maltrattamenti o che i coniugi siano pervenuti a un accordo preventivo, in regime di convivenza, secondo cui si era pattuito che uno dei due coniugi lasciasse la casa coniugale. Pertanto, il comportamento del coniuge, che lascia la casa coniugale, può essere sorretto da una giusta causa, dovuta all’intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
La condotta del coniuge querelante, nell’ipotesi della presenza di una giusta causa che renda intollerabile la prosecuzione del coniugio, risulta avere i connotati propri della ipotesi delittuosa di cui all’art. 368 c.p.: non a caso, come ha statuito di recente la Suprema Corte: “rientra nel delitto di calunnia il comportamento del marito che denuncia la moglie di violazione degli obblighi di assistenza familiare, nella modalità di abbandono del domicilio domestico, pur conoscendo che tale comportamento era avvenuto per giusta causa, dovuta all’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, e, pertanto, nella piena consapevolezza dell’innocenza della consorte, secondo quanto previsto dall’art. 368 c.p.” (Cass. pen., Sez. VI, 12 febbraio 2008, n. 11327).
Ulteriore aspetto da analizzare riguarda la sussistenza o meno dell’elemento soggettivo della condotta perpetrata dal coniuge, con riferimento alla denuncia fatta all’autorità giudiziaria. Per integrare la fattispecie delittuosa ex art. 368 c.p. è necessario che il calunniatore abbia la volontà di incolpare una persona, accompagnata dalla consapevolezza dell’innocenza della medesima. Di conseguenza se il coniuge querelante pone in essere una denuncia nei confronti del marito/moglie ben sapendo che costui non si è reso responsabile della ipotesi di cui all’art. 570 c.p., l’elemento psicologico del delitto di calunnia non potrà che sussistere.
Ed invero la recente giurisprudenza di legittimità ha sostenuto che: “la volontà di accusare e la conoscenza dell’innocenza dell’incolpato sono le componenti essenziali dell’elemento soggettivo del delitto di calunnia. L’intenzionalità dell’incolpazione e la limpida conoscenza dell’innocenza dell’accusato sono dati che vanno tenuti concettualmente distinti, nel senso che la presenza del primo non comporta la necessaria sussistenza del dolo della calunnia, ma questo è integrato soltanto se da parte dell’agente vi sia anche la consapevolezza della innocenza del calunniato, consapevolezza evidenziata – di norma – dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive che definiscono l’azione criminosa, da cui, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto” (Cass. pen., Sez. VI, 19 marzo 2008, n. 12279).
Alla luce di quanto detto, dunque, nei numerosi casi in cui tale situazione si verifica, il coniuge querelante sarà responsabile per il delitto di calunnia e l’altro coniuge, nel giudizio instaurato a carico del coniuge calunniatore, potrà costituirsi parte civile per far valere il diritto al risarcimento dei danni.

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