lunedì 7 maggio 2012

La responsabilità penale del direttore del telegiornale e del periodico telematico


Avv. Daniele Pomata
Alcune recenti pronunce del Giudice di Ultima Istanza (e non solo), hanno ravvivato il dibattito, dottrinale e giurisprudenziale, in merito ad un tema che, in ragione della rilevanza (anche economica e politica) delle problematiche che involge, sollecita sempre più al Legislatore una compiuta disciplina della materia e di alcuni ambiti di essa che paiono, quantomeno prima facie, sottratti alle specifiche disposizioni penali in materia di reati a mezzo stampa.  
Senza alcuna pretesa di inserirsi in un dibattito dottrinale ben più autorevolmente animato, la presente trattazione si propone, piuttosto, di costituire un umile momento di riflessione in merito alle variegate applicazioni che, in subjecta materia, possono conoscere i principi generali contenuti nel Codice Penale, le leggi vigenti e, soprattutto, in merito alla possibilità di utilizzare i primi quale strumento esegetico che possa guidare l’interprete nell’applicazione delle seconde.
     Il titolo di imputazione in funzione del quale figure apicali dei mass media, nell’ipotesi di commissione di reati veicolati da tali mezzi, possano essere chiamati a risponderne in sede penale, ha, costantemente e a più riprese, impegnato il Legislatore.
      La centralità rivestita dalla questione, già in epoca in cui il solo mezzo di comunicazione di massa, idoneo a raggiungere una platea indeterminata di destinatari, era la stampa, periodica o meno, viene ad emersione sol che si richiami il disposto dell’art. 21 Cost.; la predetta disposizione, infatti, sulla scorta dei divieti in materia che avevano segnato il periodo storico in allora appena concluso, esplicita, con quel dettaglio che la Carta Costituzionale dedica al porre le più ampie garanzie a tutela di libertà al tempo appena ritrovate, come la libertà di stampa sia corollario della libertà di parola riconosciuta all’individuo (“…la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure…“) e contestualmente rimanda alla “…legge sulla stampa…” per l’individuazione dei responsabili di eventuali violazioni di norme perpetrate con tale mezzo.
      Il tema ha rivestito assoluta centralità, inoltre, tanto nell’ordito del codice penale, ove alla materia sono dedicati, fin dal Titolo III° del Libro I°, gli artt. 57  ss. Il legislatore ha inoltre dedicato alla materia della stampa la (tuttora) fondamentale, anche per le ragioni che si diranno a breve, L. 47/48.
      Ora, se da un lato è indiscussa la centralità che la carta stampata e, conseguentemente, le norme dedicate all’individuazione del titolo di imputazione in funzione del quale le figure apicali deputate al controllo di quanto per essa diffuso possano essere chiamate a rispondere di eventuali reati in tal modo perpetrati, ha rivestito in un recentissimo passato e tuttora riveste,  altrettanto innegabile è che la progressiva diffusione di trasmissioni radiofoniche e televisive, nonché, nell’ultimo ventennio, della rete internet, ha posto con crescente intensità al giudice e al legislatore il problema di stabilire se le disposizioni in allora dettate per l’unico mezzo di comunicazione di massa potessero trovare applicazione, nel silenzio del legislatore della Carta Fondamentale e di quello del Codice Penale, anche per i reati commessi mediante mezzi di comunicazione di massa che, semplicemente, al tempo in cui furono promulgati la Costituzione, il Codice e la L. 47/48, non esistevano, quali la trasmissione televisiva o telematica. Soccorreranno, dunque, nel silenzio della Legge sul punto, i principi generali in tema di imputazione della responsabilità penale e di interpretazione della norma penale.
      In subjecta materia, il tema è da sempre stato affrontato muovendo dal tentativo di individuare l’esatto perimetro applicativo degli artt. 57 ss.c.p. onde stabilire, tra l’altro, se possa esservi legittimamente ricondotta un’eventuale responsabilità penale del direttore di un telegiornale o di un quotidiano telematico.

     Ora, il tenore letterale dell’art. 57 c.p. è esplicito nel configurare quella di cui all’art. 57 c.p. come una forma di responsabilità penale in funzione della quale il soggetto qualificato viene punito “…a titolo di colpa…”. Il tenore letterale della disposizione in parola, tuttavia, è altresì esplicito nel sancire che, fuori dei casi di concorso, il direttore (o vicedirettore) responsabile risponde con le pene del reato doloso veicolato, ancorchè diminuite in misura non eccedente un terzo. Si comprende, allora, come l’art. 57 c.p. - soprattutto nell’originaria formulazione- non sia stato affatto immune da sospetti di incostituzionalità, sul presupposto che celasse, in parziale analogia a quanto può osservarsi per la previsione di cui all’art. 116 c.p., un’ipotesi di responsabilità oggettiva, e che, conseguentemente, l’inciso “…a titolo di colpa…”, dovesse intendersi come prescrizione quoad poenam, a prescindere, dunque, dalla valutazione di un’effettiva colpa (mediante omissione) in capo all’agente.
     La questione è approdata al vaglio della Corte Costituzionale a due lustri dalla promulgazione della Costituzione. In quell’occasione il Giudice delle Leggi ritenne la conformità della disposizione impugnata ai principi costituzionali in materia di responsabilità penale trasfusi nell’art. 27 Cost., ma sollecitò altresì il legislatore a provvedere ad una modifica, tempestivamente attuata con L. 127/58, dell’art. 57 c.p.
      All’esito dell’intervento del legislatore, che introdusse, tra l’altro, nell’occasione, l’art. 57 bis c.p., i sospetti che il sistema delineato celi una forma di responsabilità oggettiva permangono tuttora, basti considerare al riguardo che le disposizioni de quibus vengono da molti Autori individuate come le uniche vere fonti di responsabilità oggettiva rimaste nel nostro ordinamento penale.
      Ad uno sguardo più ravvicinato, il sistema delineato dagli artt. 57 ss. C.p. contempla, in prima battuta, due differenti ambiti applicativi, a seconda che il reato venga veicolato da una pubblicazione periodica o meno e, conseguentemente, due differenti centri di imputazione della responsabilità (per colpa), che rimontano al direttore o vice-direttore responsabile (art. 57) ovvero, in maniera sussidiaria, all’editore o allo stampatore (art. 57 bis).
      Nel caso di pubblicazioni periodiche, dunque, quale può essere un quotidiano, il centro di imputazione della responsabilità sarà da individuarsi in capo al direttore o al vice-direttore responsabile.
      Posto, come statuito dalla Corte Costituzionale, che il sistema di cui all’art. 57 c.p. non delinea in capo al direttore una forma di responsabilità oggettiva, bensì una responsabilità per colpa (e, più precisamente, per colpa ex art. 40 c.2. C.p.), stante la posizione di garanzia rivestita dal predetto, non risulta affatto agevole, a dispetto dell’apparente linearità del disposto, individuare, in concreto, gli esatti confini di detta colpa e, talvolta, addirittura la distinzione tra la colpa che si traduce in agevolazione (colposa) di un reato doloso e concorso ex art. 110 c.p., in ipotesi, con dolo eventuale, nel reato stesso.
      La questione non è affatto meramente teorica o definitoria, da essa discendendo, al contrario, rilevantissime conseguenze sul piano dell’inquadramento della fattispecie concreta. L’art. 57 c.p., infatti, configura una fattispecie che presenta la struttura di agevolazione colposa (mediante omissione) di un reato; pertanto, onde integrare la fattispecie sarà necessario riscontrare l’elemento soggettivo della colpa in capo al direttore. Diversamente, l’agente non potrà essere chiamato a rispondere ex art. 57 c.p., ferma restando la possibilità, ove questi fosse animato da dolo, anche eventuale, di un concorso ex art. 110 c.p. nel reato commesso, ad esempio,  e tipicamente, una diffamazione ex art. 595 c. 3 c.p. E se in linea di principio la distinzione è (concettualmente) netta, le pronunce giudiziali hanno più volte reso esplicito come sia difficoltoso, in concreto, distinguere un’omissione colpevole di controllo da parte del direttore, da un’omissione idonea a configurare un dolo eventuale di quest’ultimo.
Ciò che, allo stato, forse, più rileva è che, sotto il profilo della colpa, la costante negazione da parte della giurisprudenza della possibilità per il direttore di delegare il controllo e la quantità di materiale destinato alla pubblicazione che, ad esempio, il direttore di un quotidiano dovrebbe, in tempi brevissimi, vagliare per non incorrere in responsabilità ex art. 57 c.p. delineano una forma di responsabilità che, se non è oggettiva, certamente molto vi si avvicina e abbraccia situazioni al limite dell’inesigibilità o del caso fortuito.
Così configurandosi il regime della responsabilità previsto dagli art. 57 ss. C.p. resta da stabilire se, ed entro quali limiti, il predetto regime possa trovare applicazione anche nei riguardi del direttore del telegiornale o del quotidiano telematico.
      La disciplina della responsabilità per i reati commessi a mezzo di trasmissioni radiofoniche o televisive  è contenuta nella L. 223/90, il cui art. 30 ricalca solo in parte la disciplina di cui all’art.57 c.p.; differente, in primo luogo, è il centro di imputazione della responsabilità, non più individuato nel direttore o vice-direttore responsabile, bensì nel ”…concessionario privato o la concessionaria pubblica ovvero la persona da loro delegata al controllo della trasmissione…”. Il direttore del telegiornale, dunque, già prima facie, non compare quale soggetto qualificato del reato proprio in parola.
      Le differenze non si arrestano qui, involgendo anche l’oggetto della tutela penale: ai sensi dei primi tre commi dell’art. 30 L. 223/90, inoltre, la condotta vietata non riguarda il colpevole omesso controllo ad opera di soggetti qualificati volto ad impedire che tramite il medium venga realizzato un qualunque reato, bensì solo le trasmissioni con carattere di oscenità o, ai sensi di quanto disposto dai richiamati artt. 14 e 15 L. 223/90, raccapriccianti o tali da urtare la sensibilità dei minori.
      Il quarto comma dell’art. 30 della c.d. “legge Mammì“, inoltre, prende in specifica considerazione l’ipotesi in cui il medium veicoli il reato di diffamazione (aggravata ex art. 595 c.2 c.p.) equiparandolo quoad poenam alla diffamazione commessa a mezzo stampa.
      Ma le differenze e le analogie più significative con la delineata discliplina prevista dagli artt. 57 ss. c.p. si colgono in punto di titolo di imputazione della penale responsabilità. Infatti, mentre i primi due commi dell’art. 30 L. 223/90 configurano un’ulteriore ipotesi di agevolazione colposa di un reato doloso, in questo potendo, con tutte le significative riserve appena espresse, paragonarsi alla disciplina ex art. 57 c.p., per la diffamazione (aggravata) di cui al quarto comma della disposizione in esame, i soggetti di cui al comma primo dell’art. 30 L. 223/90, risponderanno (eventualmente in concorso) secondo i principi generali e, dunque, non essendo il reato di diffamazione configurabile a titolo colposo, solo ove essi siano animati da dolo, sia pure in ipotesi solo eventuale. Né risulterebbe percorribile la soluzione, talvolta ipotizzata, di estendere “implicitamente” il titolo di responsabilità di cui ai primi due commi (ovvero, la colpa per omissione) anche ai fatti di cui al comma quarto, ovvero la diffamazione (aggravata), a ciò ostando il divieto di interpretazione analogica in malam partem. Il fatto che le proposte tese ad estendere anche ai soggetti di cui al comma primo dell’art. 30 L. 223/90 non siano state approvate e trasfuse in testo normativo costituisce una (neppure troppo) implicita conferma dell’impercorribilità della via dell’interpretazione analogica in malam partem dell’art. 57 c.p.
      Altra differenza significativa tra il rigoroso regime di cui agli artt. 57 ss. C.p. e quello, meno stringente, di cui all’art. 30 L. 223/90, è rappresentata dalla facoltà per i soggetti di cui al primo comma della disposizione da ultimo richiamata, di avvalersi, con conseguente spostamento in capo ai secondi del centro di imputazione della penale responsabilità, di delegati.
      Come già accennato, infatti, in tema di responsabilità ex art. 57 c.p. la giurisprudenza, con rigore spesso reputato ingiustificato dalla dottrina, ha costantemente negato al direttore responsabile la possibilità di spostare, con la delega di funzioni, il centro di imputazione della responsabilità al delegato, in tal modo, forse, fornendo involontariamente una delle argomentazioni più forti a sostegno della tesi della responsabilità oggettiva del direttore responsabile ex artt. 57 ss. C.p.
      Rispetto a quello del direttore della carta stampata o dei soggetti individuati dall’art. 1 della L. 224/90, il regime della responsabilità del periodico telematico si delinea ancora differente e sconta ulteriori e più accentuati margini di perplessità.
      Anche in questo caso, l’architrave concettuale sulla quale poggiare una ricostruzione del modello di responsabilità è costituito dalla possibilità, nel silenzio della legge, di estendere il rigoroso regime di cui all’art. 57 c.p. anche al direttore del periodico telematico.
      Va detto che l’interrogativo ha suscitato, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, un acceso dibattito negli ultimi anni, contrapponendo coloro che, sulla scorta dell’enorme diffusione conosciuta da detta forma di comunicazione, scorgevano il rischio di non individuare preventivamente, ex lege, un centro di imputazione della responsabilità (per colpa) anche in tale ambito, a quanti, invece, coglievano le irriducibili peculiarità del mezzo telematico rispetto a quello della carta stampata, inferendone l’impossibilità, sancita altresì dal divieto di analogia in malam partem in materia penale e dal principio di tassatività, di estendere, sic et simpliciter, la disciplina prevista dagli artt. 57 ss. C.p. e dalla L. 47/48 anche ai direttori (quando siano individuati) di periodici telematici.
      Prima ancora che sul piano giuridico dei principi generali da ultimo richiamati, le differenze e le (parziali) analogie tra la carta stampata e il periodico telematico si colgono su un piano pratico.
Così, va da sé, per aversi “stampa” ex art. 57 c.p., con conseguente imputazione della relativa responsabilità alle figure apicali del prodotto, occorrono almeno due condizioni concomitanti: una riproduzione tipografica (già questo elemento difetta nel periodico telematico) e la diffusione ad una vasta platea di potenziali destinatari.
      Ancorchè possa dirsi che il periodico telematico può sempre essere stampato, invocando pertanto la rigorosa disciplina contemplata dagli artt. 57 ss. C.p., risulta altrettanto agevole obiettare che, in detta ipotesi, a stampare sarebbe il destinatario del periodico e non il suo autore o, comunque, uno dei soggetti responsabili della sua diffusione. Si tornerebbe, invece, nell’alveo applicativo della L. 47/48 e dell’art.58 c.p., e sempre fuori dei casi di concorso, ove la stampa avvenisse a monte della diffusione, ma ciò non in virtù di un’estensione analogica in malam partem delle disposizioni richiamate, bensì perché, in questa seconda ipotesi, la condotta integrerebbe quella vietata dalle disposizioni richiamate.
      Ulteriore, residuale argomento che, in parziale analogia a quanto osservato in relazione alla responsabilità del direttore di telegiornale, può utilizzarsi per valorizzare le irriducibili peculiarità che segnano il rapporto tra la disciplina della responsabilità prevista dagli artt. 57 ss. C.p. e quella imputabile al direttore di un periodico telematico è quello in forza del quale il fatto stesso che siano state avanzate numerose proposte (nessuna delle quali, ad oggi, è stata consacrata in legge) finalizzate ad estendere a quest’ultimo il rigoroso regime di cui agli artt. 57 ss. C.p. costituisce una (neppure troppo) implicita dimostrazione della eterogeneità delle due ipotesi.
      Pur avvedendosi di ciò, in molti avevano nondimeno salutato l’avvento, nel 2001, della facoltà, normativamente introdotta, per i periodici telematici di esprimere un direttore e di registrarsi in apposito elenco, ma solo, si badi, a fini amministrativi, onde beneficiare delle provvidenze previste per l’editoria, come l’equiparazione prevista ex lege dei periodici telematici a quelli stampati.
  Tuttavia detta registrazione, e la relativa investitura di un direttore responsabile, costituiscono mere facoltà per il periodico telematico, lungi dal rappresentare imprescindibili momenti di emersione di una posizione di garanzia sancita ex lege. In un sistema penale governato dal divieto di estensione analogica in malam partem della norma penale e dal principio di tassatività, l’obiettivo (ammesso e non concesso che questo debba essere) dell’equiparazione della disciplina sancita dagli artt. 57 ss. C.p. ai periodici telematici pare invero assai lontano.
      A ciò si aggiunga, inoltre, e non pare irrilevante rimarcarlo, che tanto la giurisprudenza di legittimità quanto quella di merito, con pronunce che spesso hanno avuto, anche di recente, forte risonanza, ha costantemente negato la possibilità di ricomprendere anche i periodici telematici entro l’alveo applicativo della disciplina contemplata dagli artt. 57 ss. C.p.
      Ciò, tuttavia, non significa, né potrebbe in alcun modo, che i reati commessi per il tramite di detto medium siano sottratti ad ogni opzione sanzionatoria, quasi confinati in un’area che non è stata ancora oggetto di disciplina specifica ad opera del legislatore. Così, infatti, non è; e non solo poiché residua comunque la non certo (come le cronache giudiziarie dimostrano) marginale e meramente teorica possibilità che residui per quanti contribuiscono alla perpetrazione del reato commesso con il periodico telematico di un concorso ex art. 110 c.p., ad esempio, in una diffamazione o in altri, anche più gravi, delitti, quali quello di cui all’art. 600 ter c.p., ma anche perché la Suprema Corte, ferma nel negare la possibilità di estendere analogicamente la disciplina di cui agli artt. 57 ss. C.p. ai periodici telematici ha però sancito che la rete internet rientra comunque tra gli altri “…mezzi di pubblicità…” di cui all’art. 595 c.3, che comportano rispetto alla fattispecie base un aggravio di pena notevole per l’agente (e gli eventuali concorrenti). Peraltro, come acutamente osservato da alcuni, ragionando in termini di pena, pur sussistendo sensibili differenze rispetto all’art. 13 L. 47/48, si potrebbe pensare ad un giudizio di equivalenza con altre attenuanti (ad esempio, ex art. 62 bis c.p.) che comporterebbe una sostanziale equiparazione (quantomeno agli effetti della pena) delle due situazioni.
      Ciò che, piuttosto, può lasciare maggiormente perplessi è, in quest’ambito, il fatto che le sentenza si succedano ribadendo, in tema di (ir)responsabilità dei direttori di periodici telematici i medesimi principi, (salvo, ovviamente, i casi di concorso nel reato) ma contestualmente escludano la responsabilità per soggetti che, quantomeno prima facie, sembrerebbero invece chiamati a rivestire una posizione molto simile a quella di garanzia (con conseguente responsabilità per colpa omissiva), quali i webmaster o gli hosting provider.

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