lunedì 28 maggio 2012

Avvocati: come campare speculando sulle inefficienze della P.A.!

Rubrica Contrordine
 http://www.rodolfomurra.it/2012/03/come-campare-speculando-sulle-inefficienze-ed-incapacita-della-p-a/

di Rodolfo Murra

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La storia che sto raccontando è nota a molti addetti ai lavori, ma non alla gran massa dei cittadini romani che, pagando le tasse, contribuisce a garantire l’esistenza di risorse economiche a disposizione della città.
E’ una storia in cui i protagonisti sono da un lato taluni ben identificati mozzorecchi (diconsi mozzorecchi, o mozzini, i legulei romani: cfr. Coglitore, “Lo schiaramazzo”, Cedam, 2004), dall’altra ignoti ed ignavi funzionari comunali.
La vicenda scaturisce da un nutritissimo contenzioso giudiziario, tanto insignificante sul piano giuridico quanto corposo su quello economico, che vede contrapposti i cittadini all’Amministrazione civica in tema di sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni al Codice stradale. Molti di questi cittadini, che vanno a chiedere informazioni in Via Ostiense dopo aver ricevuto la notificazione di un verbale di contestazione od una cartella esattoriale (in Via Ostiense si trovano sia gli uffici comunali sia quelli prefettizi, entrambi competenti, a titolo diverso, sulla questione delle “multe”), trovano ad attenderli all’uscio taluni – appunto – mozzini, che in cambio della consegna del provvedimento e di una “firmetta” su un foglio (costituente null’altro che la procura alle liti) assicurano al cittadino di gestire in sua vece l’opposizione alla multa sollevandolo da tutta una serie di noiose e snervanti trafile giudiziarie. Costoro patrocinano il ricorso davanti al Giudice di Pace senza alcun acconto, sperando di vincere la causa onde potersi soddisfare sull’importo delle spese processuali che (in virtù del principio della c.d. “antistatarietà”, cioè del fatto che sono i legali ad anticipare gli oneri, senza pretendere acconti) gli verranno riconosciute in sentenza.
Capiamoci: non tutti gli avvocati sono di questa foggia, ovviamente: quelli di cui parlo (sempre gli stessi) si contano sulle dita di due mani. Ma hanno costituito così tanto efficienti “officine” da apparire una moltitudine di giuristi.
Quando il cittadino, malauguratamente, perde la causa, e si vede dopo anni destinatario di un atto di fermo amministrativo, oppure di un precetto per il pagamento delle spese processuali (ove al rigetto del ricorso segua la condanna alla rifusione dei costi della causa), questi galantuomini in toga non si fanno più trovare ed al massimo si beccano le maledizioni del “cliente”, che invero confidava sull’esito positivo delle promesse fattegli sul marciapiede di Via Ostiense, e che invece ora è costretto a far fronte ad una somma ben diversa da quella recata dal verbale originario.
Se, però, la causa è vinta, la multa è annullata e le spese legali vanno direttamente in favore dell’antistatario (l’avvocato patrocinatore).
E qui comincia la nostra, vera, storia (sino ad ora si trattava di spiegarne le “premesse”).
Il mozzino, invero, non ha alcun interesse a che l’Amministrazione che ha perso la lite gli paghi prontamente le spese processuali, perché per lui la sentenza che gliele ha riconosciute è una specie di “tesoretto”. Debitamente il mozzorecchi notifica la sentenza alla controparte (di solito il Comune), attende i 120 giorni previsti dalla legge per compiere il secondo atto della sua (per carità, legittima, in assenza di risposta dell’Amministrazione) strategia: cioè la notificazione dell’atto di precetto. La redazione di questo atto comporta, automaticamente, una forte lievitazione dei suoi compensi, perché dentro al relativo conteggio il mozzino ci mette di tutto e di più.
Dopo di che egli continua ad augurarsi che la P.A. non esaudisca la sua richiesta perché in questo modo egli è autorizzato a compiere un terzo passo: la notificazione di un atto di pignoramento presso la banca che gestisce il servizio di tesoreria. Tale atto a sua volta vede quasi raddoppiate le somme recate nell’atto di precetto. Alla fine della fiera, il giudice dell’esecuzione forzata (perché il pignoramento costituisce l’atto di inizio di un nuovo processo, quello appunto esecutivo) emette un provvedimento di assegnazione delle somme pignorate, a sua volta aumentate di ulteriori onorari e diritti di rappresentanza. Con questo atto il mozzino si presenta in banca e riscuote.
Questo gioco potrebbe essere impedito, azzerato dall’origine, se l’Amministrazione pagasse il suo debito con celerità, non appena avuta notizia della sentenza che annulla la multa impugnata e che condanna al pagamento delle spese processuali. In questo modo si bagnerebbero le polveri a chi, di questo gioco (permesso, bene inteso, dal Codice di procedura civile, ma che sul piano etico fa accapponare la pelle!), ne fa una vera e propria “strategia” per sbarcare il lunario (non avendo altro tipo di lavoro, ovviamente).
Le migliaia di sentenze che ogni anno arrivano sui tavoli degli uffici comunali, di annullamento delle multe, rappresentano un numero irrisorio rispetto a quanti verbali di infrazione stradale vengono elevati e regolarmente pagati (nel 2011, due milioni e mezzo di verbali per un incasso di circa 90 milioni di Euro). Ma si tratta di un numero irrisorio rispetto solo a quelli, non certo alle uscite economiche che il fenomeno comporta ed ai danni che provoca sul bilancio comunale.
Faccio un esempio pratico per far capire di cosa stiamo parlando.
Sentenza del Giudice di Pace del 2009 che annulla una multa di 70 Euro e condanna il Comune di Roma a pagare 500 Euro di spese processuali ai due avvocati (!) costituitisi: 250 Euro ciascuno, cioè.
I due signori aspettano che la sentenza passi in giudicato e la notificano in forma esecutiva al Comune. Gli avvocati capitolini la trasmettono all’Ufficio competente al pagamento, invitandolo a farlo senza indugio. Nessuno lo fa (le cause di questa inerzia mi sono ignote, ma spesso ci viene detto che non ci sono fondi: eppure si incassano milioni dalle multe pagate!).
I due mozzini redigono e notificano due distinti atti di precetto, ognuno per l’importo di 650,00 Euro (l’aumento è dovuto in gran parte agli importi dell’Iva e della cassa di previdenza, ma ci sono anche voci tariffarie per le attività eseguite dopo l’emissione della sentenza): da 250 a 650, con un aumento secco di 400 Euro (quasi il doppio dell’importo iniziale).
Il precetto fa la fine della sentenza: gli avvocati comunali lo inviano per un (sollecito) pagamento all’Ufficio competente che, però, non paga (per le stesse, immagino, ragioni di cui sopra).
Il mozzino è tutto contento, perché entro 90 giorni (se è egli corretto, altrimenti reitera un nuovo precetto speculando ancor di più) notifica un atto di pignoramento per la somma precettata (650 Euro) aumentata della metà (e quindi per un totale di 975) come consentito dalla legge.
Inizia così il processo esecutivo, con udienza in cui il terzo (la banca tesoriera) rende la dichiarazione, il giudice esamina la regolarità dei documenti, eccetera eccetera: alla fine il giudice, tenendo anche conto della durata del processo esecutivo, assegna al mozzorecchi la somma di Euro 1.450,00! Esattamente un importo superiore di 1200 Euro a quello originario portato dal titolo esecutivo (sei volte di più).
Anche l’altro mozzino ha fatto lo stesso percorso ottenendo identica cifra ed il medesimo risultato: 1450 Euro a fronte dei 250 che avrebbe percepito se qualcuno glieli avessi consegnati appena uscita la sentenza.
Un giochetto che si ripete per migliaia e migliaia di volte, dissanguando le poste del bilancio comunale senza che nessuno faccia nulla.
Una volta l’Economo dell’Avvocatura comunale aveva assegnato, a titolo di anticipazione di cassa (da rendicontare trimestralmente), un gruzzolo di denaro destinato appositamente per pagare le spese processuali di importi modesti. Ricevuta la sentenza chiamava l’Avvocato, mettendogli a disposizione la somma: se questi nicchiava, gli spediva l’assegno a studio. E la cosa finiva lì.
Oggi, secondo taluni soloni ragionieri comunali (immagino questi soggetti muniti di visiera nera, con le mezzemaniche, le scrivanie ingolfate di polverose carte, a far di conto con il pennino intriso di inchiostro, intenti a dire sempre: “questo non si può fare, questo è vietato, quello è contrario alla computisteria”, ecc.), l’anticipazione di cassa non è consentita e, quindi, secondo loro, è meglio pagare tardi e sei volte di più che, invece, subito e lo stretto necessario.
Ho pensato che noi, al Comune di Roma, abbiamo circa 500 soccombenze l’anno in questa materia (i numeri, credo, dicono qualcosa di più), con altrettante decisioni che ci caricano del costo delle spese processuali: prendendo a parametro l’esempio di cui sopra, se pagassimo subito sborseremmo 125.000 Euro. Pagando attraverso il meccanismo che ho descritto la somma diventa 725.000 Euro: con un danno secco (senza contare comunque ciò che costa lavorare tutte queste ulteriori posizioni), di 600.000 Euro. E’ facile immaginare cosa possa farci, in un momento così duro per l’economia, il Comune, con 600.000 Euro in più ogni anno.
Ho fatto i conti della serva, come si dice, prendendo a parametro i due fascicoli dei mozzini creditori di 250 Euro ciascuno, ma esistono Giudici di Pace che liquidano anche molto di più. Così come esiste il fenomeno (ancor più avvilente sotto il profilo professionale, ma che fa render conto di quale sia il grado di crisi economica che attaglia la categoria forense) di quei mozzorecchi che, avendo ricevuto una somma ritenuta non soddisfacente in primo grado a titolo di riconoscimento di spese processuali, propongono appello allo scopo di farsi attribuire dal Tribunale un incremento di quelle, con l’aggiunta degli ulteriori oneri per il grado di impugnazione: ed allora lì si sbanca!
Torno a ripetere: la responsabilità non è di quegli 8-10 mozzini, che tengono famiglia (non, però, clienti) e che vivono sulle spalle di chi consente il loro gioco.
Le colpe sono altrove: ma non sta a me indicare dove.

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