lunedì 8 novembre 2010

È concussione la condotta del primario che pretende denaro per effettuare una operazione personalmente e in tempi brevi.

Cassazione penale, sez. VI, 18 gennaio 2010, n. 1998.

La questione giuridica affrontata dalla Cassazione nella sentenza indicata in epigrafe è quella di stabilire se la condotta del primario ospedaliero che si fa consegnare denaro o altri beni per effettuare un intervento chirurgico in tempi brevi e personalmente nella clinica dove opera piuttosto che nella struttura pubblica convenzionata risponde di concussione, corruzione o truffa aggravata.
Il caso è quello di Tizio che, nella sua qualità di primario dell’Ospedale convenzionato “San Sempronio”, prospettava l’assoluta necessità di un intervento chirurgico sulla colonna di Caia e l’eventualità di una lunga attesa e degenza nell’ospedale pubblico a fronte dei tempi molto più brevi della Clinica “Santa Mevia” presso la quale egli operava privatamente e ove tuttavia sarebbe occorsa la somma di euro 35.000,00. Egli inoltre riferiva a Caia che molto probabilmente, in caso di ricovero presso l’ospedale pubblico, l’intervento sarebbe stato eseguito da un altro medico non altrettanto specializzato, costringendola, o comunque inducendola, in questo modo ad optare per la soluzione “a pagamento”.
Sia in primo che in secondo grado Tizio veniva dichiarato colpevole del reato di concussione, di cui all’art. 317 c.p..
Avvero la sentenza d’appello l’imputato proponeva ricorso in Cassazione deducendo, tra gli altri motivi, che i fatti cosi come ritenuti in sede di merito sarebbero riconducibili non al delitto di concussione, bensì a quello di corruzione, vertendosi in una ipotesi di trattativa condotta paritariamente al fine di garantire a Caia che l'intervento fosse eseguito personalmente da Tizio.
Secondo la Corte, invece, la qualificazione del fatto come concussione, operata dalla Corte d’appello era corretta.
Utilizzando come criterio discretivo tra la concussione e la corruzione quello del “metus publicae potestatis” ed evidenziando il particolare stato di soggezione  in cui Caia, sofferente e preoccupata, si trovava rispetto al primario Tizio, la Cassazione afferma che “poichè le persone malate ed i loro familiari si trovano particolarmente indifesi di fronte al medico preposto al pubblico servizio sanitario, dalle cui prestazioni dipende la conservazione di beni fondamentali, quali la salute e, in determinati casi, la stessa vita della persona, anche la sola richiesta di compensi indebiti da parte di detto medico acquista, in tale situazione quell'efficacia quantomeno induttiva sufficiente ai sensi dell’art. 317 c.p. per la sussistenza del reato di concussione (Cass. 29 marzo 1995, Azzano)”.
Chiarito ciò, la Sesta sezione affronta altresì il problema della configurabilità, nel caso di specie, degli estremi della truffa aggravata ai sensi dell’art. 61, n. 9, c.p..
La distinzione tra concussione e truffa aggravata si presenta piuttosto difficoltosa perché l’aggravante si configura quando l’agente abusa di poteri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio.
La sentenza in commento, che esclude la riconducibilità del fatto al delitto di truffa aggravata, aderisce all’orientamento giurisprudenziale maggioritario secondo cui le due figure si distinguano tra loro essenzialmente per le modalità dell’azione realizzata. Mentre nella truffa, infatti, l’indurre si sostanzia in una serie di atti ingannatori, in modo che il soggetto cada in errore, nella concussione strumento della persuasione non è l’inganno, ma la pressione prevaricatrice esercitata dal pubblico funzionario.
Si richiama, in proposito, un’altra decisione della Cassazione per cui “risponde del reato di concussione, e non di truffa aggravata, il direttore di un'unità operativa cardiochirurgica di un ente ospedaliere, che prospettando ai pazienti, ricoverati per essere sottoposti a delicati interventi chirurgici, il rischio di essere operati dal medico di turno, privo della necessaria pratica, si faccia consegnare, a titolo di ringraziamento, somme non dovute, per condurre egli stesso l'operazione chirurgica” (Cass. 30.09.2005, n. 39955).

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