sabato 20 febbraio 2016

SOLUZIONE PARERE SUL CONCORSO DI REATI (RAPINA E SEQUESTRO DI PERSONA).

SOLUZIONE PARERE CONCORSO DI REATI (RAPINA E SEQUESTRO DI PERSONA).
Cassazione penale, sez. II, 19 maggio 2015 – 25 maggio 2015, n. 22096

Fatto
Con sentenza del 10 gennaio 2014, la Corte di appello di Napoli in riforma della sentenza pronunciata il 17 maggio 2012 dal Tribunale della medesima città nei confronti di C.P., D.S. V., M.G., S.E. e V. G., ha assolto perchè il fatto non sussiste il C. dai reati di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, I1, Y1, per il processo riunito capi 2) e 4) della imputazione; il D.S. dai reati di cui ai capi B1, F1, G1; il M. dal reato di cui al capo 11; il S. dai reati di cui ai capi H1, J1, K1, Y1, per il processo riunito capi 2) e 4) dell'imputazione; il V. dal reato di cui al capo 2). Ha conseguentemente rideterminato le pene rispettivamente comminate per i residui reati a C. nella misura di anni 12 e mesi 6 di reclusione ed Euro 4.000 di multa; al D.S. nella misura di anni 8 e mesi 6 di reclusione ed Euro 3.700 di multa; al V. nella misura di anni 4 e mesi 6 di reclusione ed Euro 1.800 di multa; al M. nella misura di anni 6 e mesi 10 di reclusione ed Euro 2.900 di multa - come da ordinanza di correzione di errore materiale del 25 marzo 2014 - ed al S., ritenuta la continuazione tra i reati di cui al presente processo con quelli di cui alla sentenza della Corte di appello di Napoli del 16 marzo 2010, irrevocabile il 15 marzo 2011, nella misura complessiva di anni 12 di reclusione ed Euro 3.700 di multa, come da ordinanza di correzione di errore materiale del 25 marzo 2014.
Il procedimento, promosso per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di rapine ad agenzie assicurative, per varie rapine e reati concernenti le armi, vedeva in appello circoscritto l'ambito della devoluzione, giacchè, a seguito della rinuncia ai motivi di gravame concernenti il merito della responsabilità da parte del C. e del D.S. ed ai motivi di gravame in ordine alla responsabilità per reati diversi da quelli riguardanti le armi da parte del S., il profilo della responsabilità oggetto di giudizio si limitava alle posizioni del M. e del V.. Sul rilievo che nei vari episodi contestati non fossero state rinvenute armi gli imputati, anche in ragione dell'effetto estensivo della impugnazione, venivano tutti assolti dai reati concernenti le armi, loro rispettivamente ascritti.
Veniva accolto poi il motivo di impugnazione del S. relativo alla applicazione della continuazione rispetto ai fatti giudicati dalla medesima Corte con sentenza del 16 marzo 2010, mentre nel resto veniva reputato corretto il giudizio di primo grado, con la rideterminazione, per tutti, delle pene applicate.
Avverso la sentenza di appello tutti gli imputati suddetti hanno proposto ricorso per cassazione. Nel ricorso proposto nell'interesse di V.G. si lamenta che i giudici dell'appello si siano nella sostanza limitati a richiamare la motivazione posta a base della sentenza di primo grado, censurandosi il valore probante delle individuazioni fotografiche, in quanto influenzate dalle immagini pubblicate sui giornali. Si lamenta poi vizio di motivazione in relazione alla richiesta di concessione delle attenuanti generiche ed in merito alla sollecitata riduzione della pena.
Nel ricorso proposto personalmente da D.S.V. viene genericamente prospettata la violazione dell'art. 599 cod. proc. pen. la eccessività della pena e la mancata concessione delle attenuanti generiche.
Nel ricorso proposto nell'interesse di S.E. si lamenta nel primo motivo che nel giudizio di primo grado sia stata respinta la eccezione difensiva relativa al legittimo impedimento dell'imputato a presenziare alla udienza per sopravvenuto stato detentivo in riferimento ad altro processo, sul rilievo che l'impedimento stesso non sarebbe stato tempestivamente comunicato in quanto avvenuto soltanto alla udienza del 17 maggio 2012, trattandosi di tesi smentita dalle Sezioni unite di questa Corte. Si lamenta, dunque, che su tale eccezione di nullità la Corte di appello abbia omesso di pronunciarsi. Nel secondo motivo si censura la mancanza di motivazione in ordine all'aumento per continuazione tra i reati oggetto del presente processo e quelli di cui alla sentenza della Corte di appello di Napoli del 16 marzo 2010, divenuta irrevocabile il 15 marzo 2011. L'aumento sarebbe infatti eccessivo in quanto riferito ad un numero di episodi di rapina inferiore a quelli giudicati nel presente procedimento e per i quali la quantificazione della continuazione era di gran lunga inferiore. Non sarebbe inoltre spiegata la ragione per la quale sia stata ritenuta più grave la rapina di cui al capo b) mentre quella oggetto della sentenza del 16 marzo 2010 aveva fruttato un bottino maggiore: pertanto era quella condanna da prendere a base per la determinazione del trattamento sanzionatorio. Anche a tale riguardo mancherebbe una congrua motivazione da parte dei giudici a quibus. Nel terzo motivo si rinnovano le censure relative alla insussistenza del reato di cui all'art. 605 cod. pen. in riferimento alla rapina di cui al capo I), in quanto i dipendenti della agenzia assicurativa non furono chiusi nell'antibagno e pertanto la limitazione della loro libertà fu limitata al tempo strettamente necessario per la consumazione della rapina.
Anche nei confronti di M.G. si formula la stessa eccezione di mancato riconoscimento di impedimento in primo grado per lo stato detentivo. Infatti, si osserva nel ricorso, il M. rinunciava espressamente a partecipare alla sola udienza del 5 novembre 2013 esprimendo invece la volontà di partecipare a tutte le altre udienze; sicchè, la mancata traduzione dell'interessato dopo la dichiarazione di revoca della rinuncia violerebbe il suo diritto ad intervenire in giudizio. Nella specie, la Corte di appello, pur in assenza di una manifestazione di volontà a rinunciare alla partecipazione alla udienza, ha ritenuto di celebrare ugualmente l'udienza del 29 novembre 2013, in tal modo ledendo il diritto dell'imputato a presenziare, avendo omesso la citazione del medesimo per tutte le altre udienze. Si censura, poi, la sussistenza del delitto di cui all'art. 605 cod. pen. in forza delle stesse considerazioni che il medesimo difensore ha articolato nel terzo motivo del ricorso proposto nell'interesse del S.. Tanto per il S. che per il M., con separati motivi il medesimo difensore lamentava la mancata concessione delle attenuanti generiche.
Nel ricorso proposto nell'interesse di C.P. si lamenta vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed in merito ai criteri di commisurazione della pena, in quanto i giudici dell'appello avrebbero fatto leva esclusivamente sulle modalità di consumazione dei vari reati addebitati all'imputato. Si lamenta, infine, che la Corte territoriale abbia disatteso la richiesta di applicazione del vizio parziale di mente sulla base di apprezzamenti di alcuni testi senza tener conto degli apporti difensivi e della giovane età e delle condizioni di salute dell'imputato.
I ricorsi sono tutti palesemente inammissibili. Le doglianze prospettate nell'interesse del V., del D.S. e del C., oltre che a profilare aspetti che pertengono esclusivamente agli apprezzamenti del merito, come tali eccentrici rispetto alla odierna sede di legittimità, si limitano nella sostanza a riproporre le medesime questioni già devolute ai giudici del gravame e da questi motivatamente disattese, senza che il relativo apporto argomentativo abbia poi formato oggetto di una autonoma ed articolata critica impugnatoria, specie per ciò che attiene ai criteri di determinazione del trattamento sanzionatorio ed alla mancata concessile delle attenuanti generiche, in tal modo incorrendo in un palese vizio di aspecificità dei motivi. La giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai da tempo consolidata nell'affermare che deve essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. e), alla inammissibilità della impugnazione (Cass., Sez. 1, 30 settembre 2004, Burzotta; Cass., Sez. 6, 8 ottobre 2002, Notaristefano; Cass., Sez. 4, 11 aprile 2001 Cass., Sez. 4, 29 marzo 2000, Barone; Cass., Sez. 4, 18 settembre 1997, Ahmetovic).
Parimenti manifestamente destituiti di fondamento sono i ricorsi rassegnati nell'interesse del S. e del M.. Quanto al S. va rilevato che la prima eccezione in rito è assorbita dalla circostanza che l'imputato stesso in udienza ha dichiarato di rinunciare a tutti i motivi di appello - tra i quali, dunque, anche quello relativo alla eccezione di che trattasi - tranne quelli concernenti i reati relativi alle armi, per i quali è intervenuta assoluzione, e quelli sulla quantificazione della pena. Le censure formulate a quest'ultimo riguardo sono tutte palesemente infondate. A proposito della determinazione dell'aumento di pena a titolo di continuazione - che costituiva domanda impugnatoria che ha trovato accoglimento - va infatti osservato che questa Corte non ha mancato di puntualizzare che il giudice della cognizione che, in sede di applicazione della continuazione, individui il reato più grave in quello al suo esame e i reati-satellite in quelli già definitivamente giudicati, non è vincolato, nella rideterminazione della complessiva pena, dalla misura stabilita dalla sentenza irrevocabile relativa ai reati-satellite. (Sez. 1, n. 5832 del 17/01/2011 - dep. 16/02/2011, P.G. in proc. Razzaq, Rv. 249397); mentre per ciò che attiene alla individuazione in concreto del più grave reato fra reati di pari gravità edittale, ove la continuazione debba essere applicata in sede di cognizione e non in executivis, la relativa determinazione presuppone un accertamento di fatto - come ora pretenderebbe il ricorrente - che non può essere devoluto alla sede di legittimità, ma doveva formare oggetto, se del caso, di uno specifico petitum al giudice al quale era stata richiesta l'applicazione della continuazione.
Parimenti destituita di fondamento è la insistita richiesta di esclusione del reato di cui all'art. 605 cod. pen., in quanto la giurisprudenza di questa Corte, sin da epoca ormai risalente è consolidata nel ritenere che il delitto di sequestro di persona resta assorbito dal reato di rapina aggravata a norma dell'art. 628 c.p., 2 cpv., n. 2 (reato complesso) soltanto quando la violenza usata per il sequestro si identifichi e si esaurisca col mezzo immediato di esecuzione della rapina stessa, non quando invece ne preceda l'attuazione con carattere di reato assolutamente autonomo anche se finalisticamente collegato con quello successivo (rapina), ancora da porre in esecuzione, o ne segua l'attuazione per un tempo non strettamente necessario alla consumazione della rapina e, perciò, con carattere di condotta delittuosa autonoma, anche se finalisticamente collegata a detto reato. Pertanto la privazione della libertà personale costituisce ipotesi aggravata del delitto di rapina e rimane in esso assorbita solo quando la stessa si trovi in rapporto funzionale con la esecuzione della rapina medesima, mentre nell'ipotesi in cui la privazione della libertà non abbia una durata limitata al tempo strettamente necessario alla consumazione della rapina, ma si protragga oltre tale termine temporale, il reato "de quo" concorre con il delitto di sequestro di persona, (da ultimo, in tal senso, v. Sez. 2, n. 3604 dell'8 gennaio 2014, Palanza). La coercizione della libertà personale, poi, che costituisce l'elemento materiale del delitto di sequestro di persona, è strutturalmente configurata dal legislatore alla stregua di fattispecie a forma libera, nel senso che per realizzare il fatto tipizzato dall'ordinamento, non si richiede necessariamente l'impiego di mezzi violenti o una coercizione di tipo fisico, bastando anche la semplice attività di intimidazione, la quale, ove non si esaurisca nel contesto ed allo scopo della realizzazione del delitto di rapina, ben può integrare - come nella vicenda in esame - il concorso delle due figure criminose. La circostanza, dunque, che la porta del locale, ove i dipendenti della agenzia vennero costretti con minaccia ad intrattenersi anche dopo l'esaurimento della condotta criminosa, fosse stata lasciata aperta, si rivela del tutto inconferente, proprio perchè ciò che rileva è la perdita "coattiva" della libertà personale ed il permanere di tale status per un tempo apprezzabile dopo l'allontanamento dei rapinatori. Le doglianze attinenti alla dosimetria della pena ed alla mancata concessione delle attenuanti generiche sono manifestamente infondate alla luce della motivazione del tutto congrua offerta al riguardo dai giudici a quibus.
Quanto al M., si lamenta che l'imputato avrebbe rinunciato a comparire per la sola udienza del 5 novembre 2013, con la conseguenza che la mancata traduzione per l'udienza del 29 novembre 2013 avrebbe determinato una lesione del diritto di difesa: l'assunto è del tutto inconsistente, non solo e non tanto perchè la rinuncia non risulta specificatamente circoscritta ad una determinata udienza, quanto e sopratutto perchè, come risulta dagli atti, lo stesso imputato ha rinunciato espressamente a comparire per l'udienza del 29 novembre 2013, ove il difensore presente nulla ha eccepito. A proposito, poi, delle doglianze relative alla ritenuta ipotesi di sequestro di persona si è già detto, mentre le censure attinenti alla mancata concessione delle attenuanti generiche sono palesemente incongrue, tenuto conto della adeguatezza motivazionale esibita sul punto dalla sentenza impugnata.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 ciascuno alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 maggio 2015.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2015


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