lunedì 14 gennaio 2013

Concorso della moglie nella detenzione ai fini di spaccio compiuta dal marito.


di Filippo Lombardi

Cassazione penale, sez. IV, n. 35641 del 2012

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La Corte di Cassazione, con la sentenza in epigrafe affronta il delicato tema del concorso nel delitto di cui all'articolo 73 del D.P.R. 309/1990, compiuto dalla moglie in favore del proprio marito, durante una perquisizione dei Carabinieri destinata a concludersi con il ritrovamento di sostanza stupefacente utile a comporre circa 188 dosi.

La Corte d'Appello di Napoli, confermando la sussistenza della responsabilità penale della donna, emetteva una sentenza di condanna che veniva prontamente impugnata con ricorso per cassazione. La Corte territoriale aveva emesso la citata condanna in quanto l'imputata, nel caso di specie e su richiesta del marito, aveva occultato su di sé la droga oggetto di ricerca dei Carabinieri nell'abitazione dei due, attraverso un'apposita perquisizione. L'occultamento era stato facilmente smascherato dagli agenti, in quanto la donna tentava spesso di dileguarsi in bagno, o di fingere malori per spostare la sostanza nel proprio letto e renderla irreperibile.

La sentenza veniva impugnata con ricorso per cassazione sulla base dei seguenti motivi: 1) non era stato valutato il favoreggiamento piuttosto che il concorso nel reato; 2) la donna non conosceva il contenuto della confezione che occultava su di sé e teneva la condotta solo perché gli era stato richiesto dal marito.


La Cassazione giudica tali doglianze infondate. Innanzitutto ritiene che il comportamento irrequieto della moglie potesse solo essere sintomatico di una perfetta conoscenza di ciò che faceva e del contenuto della confezione che occultava. Poi ricorda la natura del reato di detenzione ai fini di spaccio. Tale reato, finché dura la detenzione senza che essa si tramuti in cessione, si qualifica come reato permanente. Questo carattere riveste fondamentale importanza per una
riflessione in tema di distinzione tra concorso nel reato e favoreggiamento (sia personale che reale - artt. 378, 379 c.p.). Il favoreggiamento poggia le sue basi sul fatto che un reato sia stato "commesso". In altri termini, il reato deve essere stato compiuto, si deve essere consumato. La consumazione si ha solo quando l'illiceità della condotta cessa si sussistere. Tale principio vale anche per i reati permanenti, che non possono dirsi consumati finché dura la condotta illecita. Di talché, rapportando il principio al caso concreto, finché la droga si fosse trovata nella disponibilità della coppia non avrebbe potuto dirsi consumato il reato, e quindi qualsiasi aiuto "in corso d'opera" avrebbe perfezionato il concorso nello stesso, e non il favoreggiamento.

La Cassazione quindi ribadisce la tesi attualmente dominante, inerente alla possibilità di configurare il favoreggiamento solo nel caso di consumazione del reato permanente. Tesi più risalenti ritenevano invece che dovesse essere rilevato il favoreggiamento, e non il concorso, nel caso in cui il reato permanente si fosse "perfezionato" (il termine "commesso" veniva letto in tal modo), dove per perfezionamento si deve intendere il verificarsi di tutti gli elementi costitutivi del reato; oppure che il discrimine tra favoreggiamento e concorso nel reato permanente dovesse fondarsi sull'elemento soggettivo: nel caso di mera volontà di aiutare taluno a "farla franca", il soggetto sarebbe stato imputato di favoreggiamento mentre, nel caso in cui la volontà dell'agente fosse di protrarre la durata del reato permanente, vi sarebbe stato il concorso nello stesso.

Sussiste dunque la responsabilità penale per concorso nel delitto di detenzione di sostanza stupefacente ai fini di spaccio poiché la donna ha apportato un contributo agevolatore (o almeno questo era il suo fine - d'altronde il controllo sull'agevolazione è condotto ex ante) volontario e consapevole al delitto commesso dal marito. Da ricordare, poi, un importante spunto in tema di connivenza della moglie nei confronti della detenzione ai fini di spaccio, di sostanza drogante tenuta dal marito: la moglie commette ab initio il reato concorsuale se, lungi dal disinteressarsi completamente della vicenda possessoria, in realtà lascia intendere al proprio marito una piena disponibilità ad intervenire in suo favore successivamente, qualora le cose
dovessero "mettersi male", integrando tali presupposti un contributo agevolatore di tipo morale (istigazione). In casi contrari, qualora la moglie si tenga ben distanza da qualsiasi condotta agevolatrice, di tipo morale/materiale, la sua mera connivenza non è punibile, tornando a qualificarsi in termini di illiceità solo in casi come quello in parola.

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