giovedì 19 luglio 2012

Tempo e tempistica dell'illecito penale

Appunti di diritto penale

di Filippo Lombardi

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1. I MOMENTI SIGNIFICATIVI DELL’ILLECITO PENALE.
Un reato, in quanto fatto umano che si distribuisce nel tempo, presenta alcune significative fasi costitutive: l’ideazione, la rappresentazione, la programmazione, l’esecuzione, il perfezionamento e la consumazione. Con la fase dell’ideazione, l’autore forma nella propria mente il concetto di reato specifico; nella fase della rappresentazione crea il collegamento tra se stesso e l’azione criminosa da compiere, cioè “familiarizza” con l’immagine di se stesso che compie il reato; con la programmazione egli pianifica il compimento del reato, e tale fase può aversi solo nei reati con dolo di proposito ( o peggio, commessi con premeditazione). Se si tratta di mero dolo di proposito, vuol dire che l’unico carattere esistente è la distanza temporale tra la fase rappresentativa-ideativa durante la quale il soggetto mantiene il proposito criminoso, e quella esecutiva. Se oltre a tale carattere vi è la predisposizione di mezzi finalizzati all’attuazione, si parla di preordinazione (sintomo ma non presupposto automatico della premeditazione). Se, oltre alla preordinazione, si riscontra la progettazione di modalità e circostanze di luogo e di tempo, si parlerà di premeditazione.  Si comprende bene che quando il reato è compiuto con dolo d’impeto, il passaggio dalla fase ideativa a quella esecutiva è talmente rapido da “scavalcare” il momento della programmazione. Successiva a tale ultima fase citata è quella dell’ esecuzione, in cui il pensiero avente ad oggetto il reato nelle sue componenti trascende il suo contenimento nella psiche del soggetto e si estrinseca nella realtà materiale. E’ da rimarcare a tal proposito che, se parlassimo di esecuzione in senso lato, potrebbero essere compresi in tale alveo anche gli atti che mirano a concretizzare il reato ma non integrano ancora il tenore letterale della norma incriminatrice avente ad oggetto quel fatto illecito specifico, poiché tratteremmo l’esecuzione come momento inerente semplicisticamente alla materializzazione del pensiero criminoso. Mentre, laddove si parlasse di esecuzione strictu sensu, si farebbe riferimento solo agli atti penalmente rilevanti, cioè quelli integrativi della norma penale. L’esecuzione ha un principio e una fine, la quale coincide col cosiddetto perfezionamento del reato. Il reato è perfetto nel momento in cui risulta integrata la fattispecie penale di riferimento, cioè l’istante in cui si può asserire che tutto ciò che è presente nella norma astratta e generale ha trovato il proprio “referente” materiale nella realtà esteriore e concreta. Il perfezionamento, secondo alcuni, integra già la consumazione del reato, mentre per altri quest’ultima potrebbe anche collocarsi ad un livello temporale successivo, rimanendo ciò una fase eventuale, come del resto la programmazione. La consumazione, cioè, si avrebbe nel momento in cui l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice raggiunge la sua estensione massima. Per esemplificare, si immagini il bene giuridico integrità fisica, offeso dalla lesione. Il reato corrispondente si verificherà nel momento del primo atto idoneo ( si immagini il primo colpo di coltello), e potrà dirsi perfezionato. Se l’atto è unico, il reato è perfezionato e consumato, mentre se seguono altri colpi, l’offesa al bene giuridico cresce attraverso un’ escalation, e la fase della consumazione si avrà quando verrà sferrato l’ultimo colpo. Distinguere il momento del perfezionamento da quello della consumazione è molto utile in tema di reato permanente, di cui si parlerà a breve.
La ricostruzione ora fornita, inerente alla distribuzione del reato nel tempo, necessita di integrazioni e correzioni in tema di reato colposo, per ovvi motivi. I momenti della rappresentazione e dell’ideazione coinvolgono l’aspetto intellettivo dell’illecito colposo, che è un aspetto eventuale, potendo essere la colpa anche incosciente, e cioè sfornita proprio dell’elemento della previsione. Il soggetto agente, nel reato colposo con coscienza, può quindi prefigurarsi che vi potrebbe essere la verificazione di un evento reputato illecito dalla legge penale, che consegua ad una propria condotta, ma ovviamente non programmerà tale evento, poiché la programmazione sottintende il finalismo e quindi il dolo. L’esecuzione si ha con il compimento di un’attività omissiva o commissiva irrispettosa di una regola precauzionale fornita da fonti scritte o di derivazione sociale, e si giungerà così al perfezionamento. O meglio, il perfezionamento nel reato colposo coincide proprio col momento in cui il soggetto prende le distanze dalla condotta prescritta con finalità cautelare, causando un danno. La consumazione si avrà invece nel momento in cui sarà stato raggiunto il massimo grado di offesa al bene giuridico tutelando, al pari di quanto detto per il reato doloso.

2. IL TEMPUS COMMISSI DELICTI.
Brevemente si segnalano quindi i momenti, nell’ambito di ciascuna tipologia di reato, allo scattare dei quali si possa dire che il reato è stato commesso.

Il reato doloso è commesso nell’ultimo istante della condotta che sia retto dalla volontà criminosa dell’agente. Il reato colposo è commesso nel momento in cui è violata la norma precauzionale tesa a scongiurare quel tipo di evento in concreto verificatosi. Il reato omissivo improprio è commesso nell’ultimo istante utile per l’intervento del reo, cioè il momento ultimo in cui l’intervento suddetto avrebbe integrato l’azione doverosa scongiurando il verificarsi dell’evento lesivo. Il reato omissivo proprio è commesso anch’esso nell’ultimo momento in cui la legge (termine perentorio) richiede di agire o nell’alternativo istante (termine ordinatorio) in cui l’intervento avrebbe scongiurato il pericolo. I reati abituali sono commessi nel momento in cui la reiterazione di un’attività integra il sistema di condotte sufficienti per essere reputate offensive del bene giuridico tutelato, con consapevolezza che l’ultima di tali condotte sia un tassello aggiunto alle altre precedenti. Il reato permanente è commesso nel momento della rimozione dello stato di antigiuridicità, e cioè quando il bene giuridico compresso, si espande nuovamente o è definitivamente annichilito. Il reato condizionato è commesso al verificarsi della condizione. Si può dire, quindi,  che la commissione del reato si ha in generale con la consumazione dello stesso, e non col mero perfezionamento. Quest’ultimo invece fungerà da presupposto per l’individuazione dell’autorità giudiziaria competente territorialmente. L’esempio lampante è proprio dato dal reato permanente, in cui il distacco temporale tra perfezionamento e consumazione aiuta a capire questo discorso più chiaramente. Nel sequestro di persona, reato permanente per eccellenza, il giudice competente per territorio è quello del luogo ove la vittima è privata della libertà (perfezionamento). Se il sequestratore nel frattempo girerà l’Italia con il sequestrato, la competenza territoriale non cambierà ( salvo il caso che si verifichi la morte del sequestrato). Se il sequestro si protrae per anni, sarebbe rischioso da parte del Legislatore ritenere che il reato sia stato commesso nel momento della privazione della libertà personale, perché a far data da quell’istante vi sarebbe l’inizio del decorso temporale necessario a far prescrivere il reato, e quindi si cadrebbe nel paradosso che l’ordinamento giuridico incentivi i sequestratori a portare avanti il loro reato utilizzando tutto il tempo necessario a prescrivere, per rimanere così impuniti. Ecco perché il tempo necessario a prescrivere partirà dalla rimozione dello stato di antigiuridicità (consumazione), e da tale momento potremo dire che il reato è stato commesso. Si deve aggiungere che il gap temporale e fattuale tra perfezionamento e consumazione sarà utile ai fini della commisurazione della pena, laddove l’articolo 133 c.p. prescrive di valutare l’entità del danno o del pericolo, la quale sicuramente verrà approfondita proprio in virtù del lasso di tempo trascorso. Altresì, si consideri come perfezionamento e consumazione possono coincidere, ad esempio nel caso dei reati unisussistenti.

3. DIFFERENZE TRA REATO ISTANTANEO E “REATI DI DURATA”.
Il reato si definisce istantaneo quando perfezionamento e consumazione sono pressoché contestuali, nel senso che il reato contempla un perfezionamento coincidente col massimo dell’offesa arrecata al bene giuridico (lesione con unico colpo di pugnale), e quindi con la consumazione, o contempla un perfezionamento a cui segue nel brevissimo periodo l’escalation nell’offesa al bene giuridico, senza rilevante protrazione nel tempo dello stato di antigiuridicità (lesioni multiple concentrate in pochi minuti).
Ci si troverà dinanzi ad una forma di reato diverso, cioè a quello permanente, nel momento in cui perfezionamento e consumazione si trovino ad una distanza temporale rilevante per l’ordinamento. Si richiamino i reati associativi e il reato di sequestro di persona. Se l’accordo di costituire un’associazione per delinquere (art. 416 cod. pen.) nasce e cessa dopo pochi istanti, il reato non è integrato e tra l’altro non è punibile nemmeno sotto forma di delitto tentato, poiché il reato associativo deve essere considerato reato di pericolo, che non ammette il tentativo. Diverso è il discorso del sequestro di persona, in quanto esso è reato di evento naturalistico, coincidente con la compressione della libertà personale del sequestrato. Secondo la giurisprudenza, però, per essere integrato tale reato, non è sufficiente il perfezionamento, cioè la limitazione della libertà, ma è necessario un principio di consumazione. Tale principio si verifica quando la limitazione della libertà personale si protrae per un tempo giuridicamente apprezzabile, essendo sufficienti per la Suprema Corte anche che la condotta illecita sia durata pochi minuti. Se tale tempistica non è rispettata, il reato, pure in teoria perfezionato, poiché tutti gli elementi tipici si sono concretizzati, in pratica viene considerato al livello di tentativo. Quindi si può dire che mentre il reato istantaneo può essere integrato a prescindere dalla consumazione, essendo sufficiente il perfezionamento, il reato permanente rimane al livello di tentativo se si perfeziona senza godere di un minimum di consumazione, ed è integrato qualora lo stato di illiceità si protragga per un tempo rilevante giuridicamente. Il reato permanente, come già si anticipava, si qualifica anche per la protrazione della volontà criminosa, la quale deve “coprire” il tempo della condotta illecita, cioè estendersi insieme ad essa, e può avere ad oggetto solo un bene giuridico comprimibile, quindi elastico, che può tornare alla sua dimensione originaria dopo la consumazione del reato. Una questione giuridica importante si pone rispetto alla possibilità di avere la continuazione tra più episodi relativi a reati permanenti. La risposta è affermativa, nel momento in cui si creino “pause” nella condotta illecita, qualora essa sia iniziata nuovamente in un momento successivo, trovando tale reiterazione la propria ratio nel reato identico precedentemente compiuto. Volendo esemplificare, sempre tenendo a mente il reato associativo, questa volta ex art. 416 bis, e il reato di sequestro di persona, si può argomentare come segue. Può aversi la continuazione tra due reati di associazione mafiosa qualora, ad esempio, la condotta illecita permanente sia intervallata da episodi di detenzione e il ritorno operativo nell’associazione sia dettato dal senso di appartenenza al sodalizio vantato dall’ex detenuto e dalla consapevolezza, già esistente precedentemente alla “pausa detentiva”, in capo all’associato, del pericolo che l’attività criminosa avrebbe potuto dare origine a tali fenomeni carcerari, che sarebbero stati superati dal mantenimento del proposito di conferire la propria disponibilità al già costituito pactum sceleris. Per quanto concerne il sequestro di persona, invece, ci si immagini il caso in cui il sequestrato scappi, sottraendosi completamente alla vigilanza e al controllo coercitivo del sequestratore, il quale però, fortuitamente ritrova il sequestrato e lo “risequestra”. Anche in tale ipotesi si può parlare di possibile continuazione, qualora siano presenti i requisiti giuridici relativi al reato continuato. Altre questioni sono sorte intorno al reato permanente, e segnatamente: 1) se il reato omissivo sia reato permanente e,  2) il discrimine tra favoreggiamento personale e concorso di persone. La prima questione ha ricevuto risposte diverse da varie parti della dottrina. Alcuni Autori ritengono che, per comprendere se il reato omissivo sia permanente, si debba verificare se, dopo l’omissione, permanga un interesse del soggetto passivo (o in mancanza, dell’ordinamento giuridico) a che l’azione sia ancora compiuta: se il vaglio riceve risposta positiva, il reato è permanente, altrimenti sarà istantaneo. Dottrina più attenta sottolinea la necessità di fare riferimento al termine ultimo consentito dalla legge al garante: se il termine è perentorio il reato omissivo non potrà che essere istantaneo; se il termine è ordinatorio, dovrà svolgersi il vaglio di cui si discorreva precedentemente. Riguardo alla possibilità di avere favoreggiamento personale o concorso di persone nel reato permanente, bisogna svolgere alcune considerazioni. Il favoreggiamento personale si ha quando l’agente “dopo che fu commesso un delitto” (art. 378 c.p.) aiuta taluno a sottrarsi alle ricerche dell’Autorità inquirente. Solo la comprensione del termine “commesso” ci spianerà le porte verso una soluzione della questione. Come sappiamo, esistono due momenti utili in tema di esecuzione del reato: il perfezionamento e la consumazione (si veda par. 1). Risulta agevole comprendere che l’antigiuridicità della condotta subisce un’escalation, nei reati permanenti, tra il primo e il secondo momento. Se per “commissione” intendiamo il perfezionamento, la condotta di favoreggiamento può avvenire quando lo stato di antigiuridicità non è ancora rimosso mentre, se per “commissione” intendiamo la consumazione, il favoreggiamento può esistere solo dopo la rimozione dell’illiceità della condotta. Abbracciando la prima tesi, si pone il problema di reperire il discrimine tra concorso di persone nel reato e favoreggiamento. Si reputa che il criterio più adatto sia il controllo sull’elemento soggettivo: se l’agente tiene una condotta volta al protrarsi del reato permanente (e quindi il suo fine è la prosecuzione e il rafforzamento del crimine), si deve ammettere il concorso di persone nel reato e la punizione ex art. 110, o in base alla norma sull’eventuale reato plurisoggettivo. Se il fine è quello di aiutare l’altro a non essere rintracciato dall’Autorità, allora il suo fine non è tanto rivolto alla buona riuscita del crimine, quanto alla protezione e all’impunità dell’agente. Si avrà in tal caso favoreggiamento personale.
Trovandoci in tema di reato continuato, si può sottolineare quindi la differenza sostanziale tra questo e il reato permanente: si tratta della costanza della condotta antigiuridica. Nel reato permanente lo stato di illiceità non è mai rimosso, mentre il reato continuato, proponendo un regime sanzionatorio quoad poenam che si applica al fenomeno del concorso materiale di reati, già presuppone che si verifichino vari reati distaccati nel tempo, e a se stanti.
Altro reato che presenta connotati-limite con il reato continuato è il reato abituale, che si distingue sia dal primo che dal reato permanente. Il reato abituale è integrato da varie condotte, le quali, verificandosi, danno vita ad un autonomo titolo di reato. Ciò vuol dire che, pur essendo le condotte multiple, e appartenenti ad un certo tipo, costituiscono un singolo reato. Il reato abituale è “sistemico”, cioè si integra attraverso una sommatoria di atti che danno origine ad un sistema di condotte, una volta verificatesi le quali può dirsi offeso il bene giuridico di riferimento. Il reato abituale può essere proprio o improprio. E’ improprio quando le condotte singolarmente intese, prima di dare origine al sistema punibile, sono già autonomamente illeciti penali. Questo è molto rilevante, laddove si comprende che la reiterazione di condotte già di per sé punibili, daranno origine al concorso materiale di reati (eventualmente considerando la continuazione) laddove non raggiungano il livello di reato abituale, mentre tale concorso materiale sarebbe sostituito dal reato abituale stesso, laddove esso si verifichi. E’ importante quindi, ai fini dell’integrazione di tale tipo di reato, che la reiterazione delle condotte raggiunga una stabilità nella costanza, dal punto di vista oggettivo, e una consapevolezza che ogni condotta si aggiunga alle precedenti, dal punto di vista soggettivo.
Se parliamo invece di reato abituale proprio, le singole condotte saranno di per sé irrilevanti penalmente, finché verrà integrato quel “sistema nefasto” che l’ordinamento vieta. Un esempio di reato abituale improprio è la relazione incestuosa, che si compone di costanti condotte incestuose, di per sé punibili. Un reato abituale proprio invece è quello dei maltrattamenti in famiglia, che può verificarsi anche laddove un soggetto tratti in maniera degradante e vessatoria un’altra persona del nucleo famigliare senza che i singoli comportamenti rientrino perfettamente in ipotesi di reato, ma che cumulandosi raggiungano quell’effetto esasperante, denigrante, emarginante, richiesto ai fini del perfezionamento del reato di cui all’art. 572 cod. pen. Si discute, invece, sulla natura di reato abituale del favoreggiamento della prostituzione. Dottrina e giurisprudenza si collocano su posizioni antitetiche. La prima (MANTOVANI, ANTOLISEI) rivendica l’abitualità del reato, mentre la seconda si accontenta anche del singolo comportamento agevolatore del meretricio. Il reato abituale, sintetizzando, si distingue dal reato continuato poiché il primo è un reato unico, anche quando deriva dalla reiterazione di più condotte già di per sé illecite, mentre il secondo mantiene la struttura particellare poiché è un concorso materiale di reati punito eccezionalmente col regime del cumulo giuridico. Inoltre è possibile sottolineare anche una ulteriore differenza relativa all’elemento soggettivo: il reato abituale si “accontenta” di un elemento soggettivo che sussista nel momento delle varie condotte reiterate. Non è necessario che il soggetto agente sin dall’inizio intenda commettere il reato abituale, quanto che si arrivi al perfezionamento del “sistema” criminoso attraverso la consapevolezza, durante ogni condotta costitutiva del reato, che tale condotta si aggiunge alle altre precedenti. Il reato continuato si fonda invece sul principio opposto: pur dovendosi innestare la volontà su ogni reato singolarmente e di volta in volta commesso, si necessita del disegno criminoso antecedente. Ciò vuol dire che l’agente deve immaginare, già prima del compimento del primo reato, che egli compierà vari reati in virtù del medesimo fine e sorretti da elementi già almeno genericamente inquadrati sin dall’inizio. Tale anticipazione mentale concerne sia l’elemento rappresentativo che l’elemento volitivo, ma quest’ultimo deve poi “rinnovarsi” in occasione del compimento di ciascun reato esecutivo del programma iniziale. Il reato abituale, in secondo luogo, si distingue dal reato permanente perché nel secondo lo stato di illiceità è costante, mentre nel primo si potrebbero tanto avere più condotte pseudo-illecite, che quindi non generano affatto l’antigiuridicità finché non integrano il reato abituale, quanto si potrebbero avere varie condotte già illecite che parimenti integrano solo una reiterazione di crimini, con pause di normalità, senza che lo stato di illiceità sia costante. In comune avrebbero la caratteristica dell’unicità del reato, poiché tanto nel reato abituale quanto nel reato permanente non si assiste alla verificazione di più reati, quanto alla concretizzazione di un reato unico. Onde sgomberare il campo da dubbi legittimi, si deve rendere conto anche di quanto avviene nel caso del reato abituale improprio non perfezionato. In tal caso, seguendo quanto abbiamo detto, si sarebbero verificate più condotte già di per sé illecite che non hanno raggiunto una reiterazione significativa tanto da far scattare il perfezionamento del reato abituale. Ebbene, la soluzione si palesa agevole: l’agente verrà punito per un concorso materiale di reati eventualmente avvinti dal medesimo disegno criminoso e quindi puniti ex art. 81 comma II (reato continuato).       
Resta da chiarire quali siano i caratteri delle seguenti categorie di reato: istantaneo ad effetti permanenti, eventualmente permanente, a consumazione prolungata (o ad esecuzione frazionata). Trattasi di categorie suggerite dalla dottrina ma che non hanno una rilevanza pratica evidente. Il reato istantaneo è riconosciuto come avente effetti permanenti quando le conseguenze del reato si distribuiscono nel tempo. Si immagini una invalidità conseguente al reato di lesioni. Il reato eventualmente permanente si avrebbe, invece, nel caso in cui una norma incriminatrice non disciplini un reato permanente ma sia il soggetto agente a mantenere lo stato di antigiuridicità, relativa a quel reato, costante nel tempo.
La categoria più problematica è quella dei reati frazionati (o ad esecuzione frazionata, o a consumazione prolungata). A ben vedere, nemmeno in questo caso siamo dinanzi ad una autonoma categoria di reato, ma più che altro ci troviamo dinanzi ad una particolarità che alcuni reati possono presentare: l’esecuzione frazionata, appunto. L’esecuzione si dice frazionata quando è suddivisa in frangenti, ognuno dei quali si aggiunge a quello precedente al fine di “comporre” la condotta richiesta dal tenore letterale della norma per la configurabilità del reato. Si faccia riferimento all’omicidio attraverso dosaggi frequenti di veleno alla persona costretta su un letto di ospedale: ogni goccia di veleno somministrata aggiunge offensività al bene vita, procurando, a sommatoria avvenuta, la morte della vittima. La caratteristica dei reati frazionati è, quindi, quella di non essere permanenti, bensì istantanei, seppur in un’accezione lievemente diversa da quella a cui si è abituati. Normalmente i reati istantanei si perfezionano attraverso un’esecuzione intera che avviene in un momento preciso, in maniera complessiva, e non suddivisa in fasi. Le fasi che invece caratterizzano il reato frazionato non devono trarre in inganno. In effetti anche il reato frazionato è un reato istantaneo, poiché la norma incriminatrice sarà integrata a condotta avvenuta, quindi con il compimento dell’ultimo atto da cui scaturisce l’evento punito. In tale ultimo istante il reato è perfezionato e, contemporaneamente, è rimosso lo stato di antigiuridicità (quindi si verifica anche la consumazione), proprio come avviene per qualsiasi reato istantaneo. A parte i casi in cui l’evento può essere, per propria particolare natura (esempio: morte) raggiunto attraverso varie fasi più o meno distanti nel tempo, ci sono due reati che sono stati ufficialmente “battezzati” come possibili reati frazionati dalla Corte di Cassazione: il reato di cui all’art. 640 bis c.p. ( Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) e quello ex art. 644 c.p. ( Usura). Reati di tale tipo consentono facilmente di rintracciare in essi elementi di poliedricità, in grado di farli apparire, a seconda delle circostanze, come reati frazionati, e la ragione è di facile comprensione: si tratta di reati che sono integrati attraverso la dazione di somme di denaro. Tale dazione proviene in entrambi i casi dal soggetto passivo, e può frazionarsi in varie erogazioni che si susseguono nel tempo, e che dipendono dalla condotta illecita dell’agente.
In particolare, più teorie si contendevano il campo nel tentativo di definire il reato di usura. Se ne fornisce un elenco: 1) reato istantaneo ad effetti eventualmente permanenti; 2) reato eventualmente permanente; 3) reato permanente; 4) reato frazionato. La prima teoria troverebbe il proprio precipitato fattuale nel caso in cui vi sia il mero accordo sull’erogazione del denaro dietro ritorno di capitale e interessi usurari o nel caso, di poco dissimile, in cui vi sia accordo e cessione della somma, in entrambi i casi con rateizzazione del ritorno di capitale e interessi usurari. La seconda teoria, quella della natura di reato eventualmente permanente, si cristallizzerebbe nei medesimi casi, ma con la differenza che, secondo i sostenitori di tale concezione, si avrebbe il costante stato di antigiuridicità derivante dal fatto che il soggetto agente non rifiuta, nel tempo, il pagamento altrui avente ad oggetto gli interessi usurari. La protrazione nel tempo di tale illiceità, configurerebbe la costanza dell’offesa al bene giuridico protetto, la quale è requisito del reato permanente. Il reato sarebbe “eventualmente” permanente poiché potrebbe anche non verificarsi la rateizzazione del pagamento di capitale e interessi, i quali potrebbero essere restituiti in un’unica soluzione. Secondo parte della dottrina, invece, si tratterebbe in realtà di un vero e proprio reato permanente, e ciò verrebbe dedotto dalla presenza dell’art. 644 ter c.p., che fa decorrere il termine di prescrizione del reato dal giorno dell’ultima riscossione di interessi e capitale. Ciò indurrebbe a pensare che far decorrere il termine di prescrizione non dal perfezionamento (accordo, o accordo e dazione) ma dalla consumazione (ritorno delle somme all’usuraio) avvicini la natura del reato di usura a quella del reato permanente, in cui assistiamo alla medesima disciplina giuridica. Di contrario avviso è la Corte di Cassazione, la quale nota come, se il reato fosse stato un vero e proprio reato permanente, sarebbe bastato l’articolo 158 c.p. a dettare il termine di prescrizione. L’aver previsto, il Legislatore, una norma apposita, vorrebbe dire che non ci si trova dinanzi ad un reato di tal tipo. La stessa Suprema Corte ha quindi riconosciuto la presenza dell’esecuzione frazionata, nel senso che essa ha intuito come il perfezionamento del reato si avrebbe, come nel caso di qualsiasi reato istantaneo, con la fine dell’esecuzione, e cioè con la ricezione da parte dell’agente, di capitale più interessi usurari e non con il mero accordo, seppur accompagnato dalla dazione della somma prestata alla vittima.      

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