lunedì 9 luglio 2012

Il delitto preterintenzionale.



  Appunti di Diritto penale

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1. CRITERIO DI IMPUTAZIONE DELL’EVENTO PIU’ GRAVE. PROPOSTE DE IURE CONDENDO.
La preterintenzione fa parte degli elementi psicologici del reato, ed è disciplinata, così come il dolo e la colpa, dall’articolo 43 del codice penale. Esso recita che il delitto è preterintenzionale o oltre l’intenzione quando il danno ( o il pericolo) che si realizza è più grave rispetto a quello voluto dall’agente come conseguenza della propria condotta. Nel nostro ordinamento esistono due figure di delitto preterintenzionale: l’omicidio preterintenzionale e l’aborto preterintenzionale. Ma vedremo come, seguendo spunti offerti dalla dottrina, potrebbero aggiungersi fino a due casi ulteriori. Innanzitutto è bene chiarire cosa si intenda per “evento più grave”. Due tesi si contendono il campo, una di tipo formale e una di tipo sostanziale. Dal punto di vista formale si può considerare evento più grave quello punito in maniera più severa dal legislatore. Dal punto di vista sostanziale, alcuni ritengono che l’evento più grave debba essere il risultato di un’ escalation di offensività tra beni omogenei. La Giurisprudenza pare orientata per l’applicazione della prima concezione illustrata.

L’omicidio preterintenzionale è disciplinato dall’articolo 584 c.p. e punisce colui che, con atti diretti a ledere o percuotere, causa in realtà come conseguenza non voluta la morte del soggetto passivo. Si è indagato a lungo, e la questione è tuttora aperta, sul criterio di imputazione dell’evento. Anche in questo caso, la dottrina non ha esitato ha sfoderare varie teorie a riguardo:

1. DOLO MISTO A RESPONSABILITA’ OGGETTIVA. In questo senso, gli atti diretti a ledere o percuotere sarebbero animati dal dolo, mentre l’evento più grave sarebbe addossato all’autore solo sulla base del nesso causale. Sappiamo che nel nostro ordinamento, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme che propinano responsabilità oggettive, esse devono essere modificate, accettando il criterio dell’imputazione minima colposa.
2. DOLO MISTO A COLPA. Questa teoria, pur cercando di concretizzare il rispetto che si richiede dell’art. 27 Cost., ha comportato vari dubbi operativi. E’ evidente che la teoria concepisca gli atti diretti a ledere o percuotere come sorretti dal dolo di evento dei rispettivi reati base, mentre l’evento non voluto dovrebbe essere posto a carico dell’agente a titolo di colpa. La questione principale ruota intorno al tipo di colpa. Alcuni Autori hanno fatto riferimento alla colpa specifica, cioè al mancato rispetto di norme di diligenza che sono insite nelle norme che vietano i reati base. Autori più attenti (FIANDACA) hanno ribattuto notando il paradosso concettuale del “non commettere né lesioni né percosse, ma se vuoi farlo, fallo bene!”. Secondo questo Autore, sarebbe sconfessata la natura stessa di norma giuridica penale, in quanto essa non esprimerebbe più solamente un divieto, ma anche un consiglio a commettere il reato senza sfociare in altri delitti più offensivi. Certamente, quindi, la colpa non può essere vista come colpa specifica, bensì al massimo come colpa generica. In tal senso, infatti, si dovrebbe poter richiedere ad ogni consociato, pur versante in re illicita, di non causare reati più gravi di quello preventivato, adottando la diligenza che gli si può in concreto richiedere. Anche in questo caso è prospettabile l’esistenza del medesimo paradosso prima enunciato, ma allo stesso tempo non si può non ammettere che un ordinamento ragionevole possa al contempo vietare comportamenti di lieve intensità e vietare comportamenti maggiormente offensivi verso beni omogenei, senza che questo si traduca in un incentivo a commettere i reati meno gravi.
3. DOLO MISTO A PREVEDIBILITA’. Questa concezione è di quegli Autori che bandiscono sia la prima teoria illustrata, sia quella del dolo misto a colpa, sulla base dell’insanabilità del paradosso giuridico enunciato pocanzi. A ben vedere essi auspicano che l’autore venga punito poiché in concreto poteva prevedere gli esiti infausti di un comportamento già di per sé vietato. Questa teoria è in qualche modo superata dalla Corte di Cassazione, la quale ritiene che la prevedibilità di un evento nefasto sia già ab initio insito nella mente del soggetto che già agisce in una base di partenza illecita. La S.C. utilizza tale tesi poiché ritiene che essa sia in grado di superare la bipartizione del momento psichico, cioè questa esasperante ricerca del doppio elemento soggettivo, e fornire una chiave di lettura unitaria al fenomeno della preterintenzione. Per meglio dire: non esistono due atti e due legami psichici, bensì un’attività complessiva sia dal punto di vista materiale che psichico.


Chi scrive ritiene invece, appoggiando un’ulteriore tesi di dottrina minoritaria, che il delitto preterintenzionale faccia parte ( QUARTA TESI) dello schema dell’ aberratio delicti eiusdem generis (ovvero di aberratio delicti in cui l’evento finale offende un bene omogeneo rispetto a quello che si voleva offendere). Nell’aberratio delicti (art. 83 cod. pen.), il soggetto agente, per errore di esecuzione o altra causa, cagiona un reato diverso da quello voluto e ne risponde a titolo di colpa. Dottrina e giurisprudenza maggioritaria non ritengono che per integrare il primo comma del menzionato articolo serva che sia stato raggiunto lo stadio di tentativo del delitto voluto, e ciò è fondamentale per capire. Se fosse richiesto il raggiungimento del livello di tentativo, risulterebbe netta alla mente del lettore o dell’interprete la necessità di bipartire il fenomeno dell’aberratio in due momenti: quello del tentato delitto principale e quello del concretizzato evento finale. Non richiedendosi il tentativo avente ad oggetto il reato voluto, è più agevole comprendere come il legislatore consideri il fenomeno dell’aberratio un’unità concettuale e materiale. Anche la Giurisprudenza intende considerare il delitto preterintenzionale dal punto di vista unitario, ma lo fa esprimendo una tesi che potrebbe sollevare dubbi di culpa in re ipsa, che altro non è che responsabilità oggettiva occulta.
Abbracciando la tesi dell’aberratio delicti eiusdem generis, in sintesi, si superano due problemi. Il primo è relativo alla concezione bifasica del delitto preterintenzionale. Di talché, la condotta sarà materialmente unica, e inizierà dall’atto col quale si voleva ledere o percuotere e finirà con l’evento più grave, senza rintracciare momenti interruttivi; e anche l’elemento soggettivo sarà unico, constando di sola colpa nell’esecuzione (o altra causa). La volontà di compiere il reato base deve essere quindi presa in considerazione con finalità aggravante quoad poenam, poiché da essa si nota come il soggetto, non solo partisse da una base di illiceità, ma abbia anche violato la regola di diligenza richiedibile anche al più spietato dei criminali, relativa al dovere di contenere le azioni offensive, normalmente nel senso di non compierle affatto, e in taluni casi evitando di sfociare in eventi più gravi di quelli perseguiti.
Il secondo è relativo alla questione se gli atti diretti a ledere o percuotere debbano integrare il livello di tentativo. Dal punto di vista formale, il legislatore fa riferimento alla sola direzione degli atti e non all’idoneità, e questo tra l’altro milita a favore della quarta tesi proposta, ma dottrina suggerisce come, per garantire il rispetto del principio di offensività si debba richiedere almeno lo stadio di delitto (di percosse o di lesioni) tentato. E’ evidente che questa tesi parte dalla concezione bifasica del delitto preterintenzionale, poiché solo valutando l’esistenza di due fasi delittuose si può richiedere che ciascuna di esse sia offensiva. In realtà, considerando valida la teoria dell’aberratio delicti eiusdem generis, il delitto preterintenzionale si muta in delitto colposo sui generis, e rende rilevante l’offesa finale, cioè l’evento più grave procurato per colpa nell’esecuzione o per altra causa.

2. PROFILI PROBLEMATICI.

DELITTO PRETERINTENZIONALE OMISSIVO
Ci si chiede se l’omicidio preterintenzionale possa essere integrato in via omissiva. La risposta è abbastanza intuitiva, nel senso che non può essere univoca. La soluzione dipende dal reato base di partenza. Se si tratta di lesioni, esse possono essere causate in via omissiva, e quindi l’evento morte può essere causato allo stesso modo. Le percosse invece ricadono in quei reati obbligatoriamente commissivi, e quindi non potendo essere di per sé omissivo, non può essere legato ad un evento più grave raggiunto nella medesima forma. 

TENTATIVO DI DELITTO PRETERINTENZIONALE
Bisogna stare attenti a non cadere in errore, e “mettersi d’accordo” sul significato della locuzione impiegata nel titolo. Per “tentativo di delitto preterintenzionale” non si intende la fattispecie concreta del delitto preterintenzionale nel quale si sia perfezionato il livello di tentativo relativamente ai delitti di percosse o lesioni, bensì si intende la possibilità per un soggetto agente di tentare di raggiungere l’evento più grave dando comunque origine ad un delitto preterintenzionale. Questa nozione, di cui si indaga l’esistenza, deve essere assolutamente scartata, poiché al livello di tentativo potranno al massimo prospettarsi i suddetti delitti-base, restando l’evento più grave estraneo rispetto alla volontà e quindi al finalismo che è alla base del tentativo stesso. L’evento, per dirla con gli Autori che prospettano la teoria del dolo misto a colpa o dell’aberratio delicti eiusdem generis, è da addebitare per colpa, e ammettendo il delitto preterintenzionale al livello di tentativo, si starebbe ammettendo il tentato delitto colposo.

DELITTO PRETERINTENZIONALE E ABERRATIO
Nulla da dire riguardo alla differenza tra delitto preterintenzionale e aberratio ictus, poiché mentre nel primo caso il soggetto agente “non sbaglia” soggetto passivo, nel secondo caso si verifica proprio l’aberrazione in tal senso, cioè viene colpita una persona che esulava dal piano criminoso. C’è da aggiungere qualcosa in merito alla differenza tra delitto preterintenzionale e aberratio delicti. In entrambi i casi si raggiunge un evento diverso da quello voluto, e bisogna ritenere che anche nel delitto preterintenzionale esso dipenda da errore esecutivo o altra causa. La differenza sta nel fatto che nell’aberratio delicti si può causare un reato completamente diverso da quello preventivato. Esempio: si voleva ledere una persona col lancio di una pietra, si danneggia una vetrina per mira errata. Nel delitto preterintenzionale invece, il reato più grave protegge un bene giuridico affine a quello che l’agente avrebbe voluto ledere (esempio: l’agente voleva percuotere, quindi offendere l’integrità fisica, e finisce per uccidere, offendendo il bene vita, il quale è comprensivo dell’integrità fisica). Il bene giuridico può dirsi affine quando appartiene allo stesso genus di quello oggetto di volontà offensiva. Proprio la comunanza di alcuni caratteri ha fatto sì che potesse essere sviluppata la tesi della preterintenzione come aberratio dello stesso genere.

OMICIDIO PRETERINTENZIONALE ABERRANTE
Tizio compie atti diretti a ledere Caio, e colpisce a morte Sempronio. Quid iuris?
La dottrina si divide. Alcuni Autori ritengono che si debba considerare applicabile l’aberratio ictus in combinato disposto con l’art. 584, nel senso di punire Tizio per delitto preterintenzionale compiuto nei confronti di Sempronio. Altri Autori ritengono che carattere imprescindibile della preterintenzione sia la convergenza tra soggetto preso di mira e soggetto effettivamente leso, cosa che non si riscontra nell’aberratio ictus, che anzi si fonda proprio sull’aberrazione in tema di soggetto passivo. Tale dottrina ritiene quindi che serva applicare a Tizio la pena per omicidio colposo, da solo o in concorso formale con l’eventuale tentativo perfezionato nei confronti della vittima predestinata. In sintesi, mentre la prima dottrina crea la figura di delitto preterintenzionale aberrante, la seconda schiera utilizza il normale concorso di reati tra tentato delitto principale (percossa o lesione) e omicidio colposo, sulla scorta delle predette argomentazioni.

RAPPORTI TRA OMICIDIO PRETERINTENZIONALE E MORTE O LESIONI CONSEGUENTI AD ALTRO DELITTO (art. 586 cod. pen.)
Mentre nell’omicidio preterintenzionale, la morte è l’unica conseguenza non voluta di un’attività diretta a compiere il delitto di percosse o quello di lesioni, l’articolo 586 sanziona alternativamente la lesione o la morte che siano conseguenze non volute di un delitto principale. La morte, però, non vedrà mai la sanzione ex art. 586 se il delitto-base è quello di lesioni o di percosse, poiché in tal caso la norma speciale è data dall’articolo 584 c.p.
Sarà invece applicabile l’art. 586 ai casi in cui la lesione sia evento non voluto, conseguenza di percosse, nonché al caso di “lesioni preterintenzionali”, cioè lesione più grave rispetto a quella voluta dal soggetto agente. E’ chiaro che nel caso di morte o lesioni conseguenti ad altro delitto, quest’ultimo può essere offensivo di un bene giuridico eiusdem generis rispetto all’integrità fisica, o potrà essere offensivo di un bene eterogeneo. Per quest’ultimo caso, si faccia l’esempio dell’ estorsione ai danni di chi poi si suicida, perché costretto dalle condizioni disperate in cui si trovava a causa dei reiterati comportamenti dell’estorsore. Questo caso può appartenere alla sfera di applicabilità dell’art. 586 c.p. quando il soggetto passivo del delitto di estorsione è stato posto dinanzi al bivio tra il togliersi la vita e il continuare un’esistenza sempre più disperata. Si nota come i beni giuridici offesi siano diversi: l’estorsione offende la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nonché il suo patrimonio, mentre l’evento morte colpisce evidentemente il bene vita. L’articolo 584 e l’articolo 586 hanno però in comune il criterio di imputazione dell’evento ulteriore (morte nel primo caso, lesione o morte nel secondo). Esso dovrà essere addebitato per colpa, nel senso che sarà doveroso il controllo sulla prevedibilità in concreto dell’evento finale. Il controllo in concreto si distingue da quello in astratto, in quanto in quest’ultimo sarebbe sufficiente che una persona di media avvedutezza possa comprendere che l’evento finale appartiene alla cerchia degli eventi normalmente scaturiti dal delitto iniziale secondo una massima di esperienza. La prevedibilità in concreto, invece, esige il controllo sulle circostanze fattuali realmente presenti nel caso di specie (valutare se, alla luce delle modalità del fatto, della personalità della vittima delle estorsioni, e delle condizioni finanziarie in cui essa versava, era in concreto immaginabile che la vittima si sarebbe tolta la vita).  Un altro punto in comune tra le due norme è dato dal tentativo: gli eventi finali posti a carico dell’agente per colpa possono conseguire al tentativo avente ad oggetto i reati-base, o conseguire al reato-base consumato. Ciò vuol dire che la morte nell’omicidio preterintenzionale può conseguire ad una lesione perfezionatasi, ma che nel decorso causale si è rivelata fatale, oppure può derivare da un errore esecutivo avvenuto in fase di tentativo, nel senso che il tentativo può dirsi perfezionato ma la causa deviante si verifica subito dopo tale perfezionamento. Anche nella morte o lesione conseguenza di altro delitto si può avere l’evento finale come conseguenza di un tentato delitto principale.  


RAPPORTI TRA DELITTO PRETERINTENZIONALE E REATI AGGRAVATI DALL’EVENTO
I reati aggravati dall’evento sono quei reati, già puniti in via principale con una pena, che subiscono un incremento di sanzione qualora vi sia una conseguenza diversa, voluta, non voluta, o con elemento soggettivo alternativo. Tali eventi puniti in maniera più severa sono normalmente eventi offensivi di beni giuridici omogenei o comunque affini al bene giuridico tutelato dalla fattispecie base. La differenza con il delitto preterintenzionale sta nel fatto che, mentre tale delitto è considerato reato autonomo e l’evento finale è posto a carico dell’agente per colpa accertata in concreto, si discorre sulla natura dogmatica dei reati aggravati dall’evento. Seguendo una tesi sviluppata in dottrina, risulterebbero reati autonomi. Altri ritengono che siano circostanze aggravanti. E altri ancora, seguendo una concezione atomistica, ritengono che sia necessario valutare caso per caso, apprezzando la tesi del reato autonomo solo nel caso in cui l’evento aggravante debba o possa essere coperto da volontà. Negli altri casi, si pone il problema di poter considerare questi reati come reati preterintenzionali. Chi scrive ritiene che in tal caso si possa parlare di una particolare tipologia di reato preterintenzionale, alla presenza dei seguenti presupposti:
- i beni giuridici protetti dalla norma del reato base e dalla norma che aggrava alla presenza di un evento specifico devono essere dello stesso tipo.
- l’evento finale che causa l’aggravio di pena deve essere non voluto.

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