mercoledì 13 giugno 2012

La Cassazione su tentativo e atti preparatori, tra progressi interpretativi e colpa d'autore.

Cassazione penale, sez. II, 2 aprile 2012, n. 12175

di Filippo Lombardi 

Per rimanere sempre aggiornati con le ultime novità della Cassazione penale cliccate sul tasto MI PIACE  qui al lato ----->
Massima 
“Ai fini del tentativo punibile, assumono rilevanza penale non solo gli atti esecutivi veri e propri del delitto pianificato, ma anche quegli atti che, pur essendo classificabili come atti preparatori, tuttavia, per le circostanze concrete (di luogo, di tempo, di mezzi, ecc.) fanno fondatamente ritenere che l'azione - considerata come l'insieme dei suddetti atti - abbia la rilevante probabilità di conseguire l'obiettivo programmato e che l'agente si trovi ormai ad un punto di non ritorno dall'imminente progettato delitto, e che il medesimo sarà commesso”.

Il principio sancito dalla Cassazione, che si intende analizzare nelle sue evidenti ripercussioni, poggia le sue basi sul problema principale del delitto tentato, e cioè l’univocità degli atti. Per comprendere a fondo, però, è necessario fare un passo indietro nel tempo, quando il previgente codice penale (Zanardelli) considerava tentativo punibile quello avente ad oggetto gli atti esecutivi della fattispecie criminosa. Il problema che si pose fu quindi quello di sancire il limite tra atti esecutivi, punibili, e atti preparatori, precedenti rispetto a quelli esecutivi e perciò non punibili. Furono proposte quattro teorie a riguardo. La prima è la teoria della non equivocità, la quale intende esecutivi gli atti non ambigui, e quindi gli atti che rivelano chiaramente, in maniera obbiettiva, il finalismo dell’azione. La seconda teoria, di Francesco Carrara, fa leva sul concetto di ingerenza, e si basa sulla punibilità degli atti che, distaccandosi dalla sfera personale e giuridica dell’agente, cominciano ad addentrarsi e produrre effetti nella sfera personale e giuridica della vittima.
Certamente questa teoria, pure affascinante, non è empiricamente verificabile in maniera agevole. Si passò a due teorie oggettive, quella formale e quella materiale. La prima intende esecutivi gli atti che, per il loro significato e per la loro natura, già rientrano nel tenore letterale della norma incriminatrice. La seconda (Frank) aggiunge a tali atti quelli precedenti, logicamente e coerentemente connessi a quelli esecutivi. Si comprende come tale teoria fa rientrare nel tentativo punibile anche atti preparatori che siano chiaramente considerabili come antecedenti logici di quelli successivi, esecutivi. La teoria materiale oggettiva aveva però ragione di esistere prima del codice Rocco in quanto, con l’emanazione di quest’ultimo, la norma sul tentativo è cambiata, non facendosi più riferimento agli atti esecutivi ma agli atti idonei e univoci. V’è da dire che, mentre sull’idoneità si è raggiunto un risultato definitivo riguardo al suo contenuto, e problematico sarebbe solo il confine tra tentativo inidoneo e il reato impossibile, sull’univocità la dottrina è abbastanza divisa, poiché vi sono diverse tesi che si contendono il campo. La prima è quella dell’univocità in senso soggettivo, per la quale il chiaro finalismo dell’azione (e quindi la non equivocità) può essere evinto solo dalla volontà dell’autore di commettere il delitto, provata in sede processuale. La tesi è da molti ripudiata in quanto lascerebbe spazi alla colpa d’autore, privilegiandosi l’avvenuta prova processuale sulla volontà anche quando gli atti in sé non appaiano diretti all’evento punito dalla legge penale come reato. La seconda tesi è quella dell’univocità assoluta in senso oggettivo, intesa come volontà che traspaia obbiettivamente dagli atti, che per la loro natura e modalità debbano rivelare il finalismo delittuoso, al di là di ogni indagine sul legame psichico tra soggetto e fatto. Altra dottrina ritiene che tale tesi ometta una considerazione rilevante, e cioè dimentichi di rilevare come sia difficile avere atti non equivoci, apparendo gli stessi nella maggior parte dei casi come dotati di un plurimo significato, sino ad evento avvenuto. E tale dottrina auspica l’applicazione di un’ulteriore teoria (la terza) chiamata “dell’univocità relativa in senso oggettivo”, attraverso la quale l’univocità dovrebbe essere ricostruita da ogni circostanza relativa all’intero piano criminoso. Tale teoria darebbe la possibilità proprio agli atti preparatori di rientrare nel tentativo punibile. La quarta teoria è una teoria mista che richiede, al fine dell’univocità, la somma di significato univoco obbiettivo degli atti (già richiamato dalla seconda teoria espressa) e l’elemento soggettivo ricavato aliunde. La quinta teoria è quella dell’univocità riscontrabile solo negli atti esecutivi in quanto tipici. A questa concezione si obietterebbe che mentre essa sarebbe di agevole verificazione in tema di reati a forma vincolata, necessiterebbe di una integrazione nel caso di reati a forma libera, per la difficoltà di capire quali atti siano effettivamente tipici. [ A ben vedere, chi scrive ritiene che tale difficoltà possa essere superata facendo riferimento al decorso causale instaurato, cioè potrebbero dirsi tipici gli atti che, una volta compiuti,hanno/avrebbero dato origine al decorso causale che porti automaticamente all’evento. Se il colpo di coltello, ad esempio, è stato sferrato in direzione di zona vitale ma ha mancato la vittima, il tentativo è integrato, poiché se il colpo fosse stato messo a segno avrebbe generato il decorso causale idoneo a cagionare la morte. Nulla quaestio nel caso in cui l’atto sia stato compiuto con accuratezza. Per contro, il mero brandire un coltello, pure avvicinandosi alla vittima, è atto preparatorio, e non cagiona alcun decorso causale verso l’evento, anzi è perfettamente pluridirezionale: potrebbe trattarsi di un tentativo di rapina, di minaccia, violenza privata, di tentativo di lesioni, di scherzo di cattivo gusto, ecc. Ergo, gli atti che non generano decorso causale verso l’evento nei reati a forma libera, sono pluridirezionali e quindi non univoci ]. Il corto-circuito tra dottrina e giurisprudenza si vede proprio in questo momento, laddove la teoria dominante in dottrina è quella dell’univocità in senso stretto (cioè la seconda elencata – anche detta “dell’univocità assoluta”) e quella operante in giurisprudenza sembra invece appartenere ad una concezione diversa (una sesta teoria? ) , affine a quella teoria materiale oggettiva prima descritta, che si basa sulla possibilità di considerare univoci non solo gli atti che iniziano l’esecuzione del fatto tipico ma anche quelli preparatori che, alla luce della condotta unitariamente considerata, rivelino un’astratta probabilità di conseguire l’evento illecito.  Tale concezione potrebbe essere suscettibile di critiche.
1) Vi è una incompatibilità di significato tra la preparazione e il fine obbiettivamente percepibile di commettere un delitto. La preparazione può essere definibile come procacciamento di mezzi o rimozione di ostacoli o allestimento di circostanze di luogo o di tempo utili, che un soggetto agente attua per spianare la strada al compimento dell’illecito. Ma tali attività non consentono di effettuare un sicuro giudizio in merito al fine, poiché per propria natura sono pluridirezionali. Ad esempio se il potenziale rapinatore di banca si sta portando con la propria auto in un orario sospetto nella zona in cui deve compiere la rapina, questo è certamente un atto preparatorio. Si immagini che il giorno prima una telefonata anonima aveva avvertito la polizia del fatto che taluno avrebbe rapinato la banca e un paio di poliziotti vengono inviati sul posto. Secondo la massima della Cassazione, questo atto preparatorio è avvenuto in circostanze che fanno fondatamente ritenere che il fine sia quello criminoso (c’è l’elemento tempo e la chiamata del giorno prima) e vi è un’alta probabilità che si possa consumare l’illecito, perché magari il soggetto è armato. Possiamo dire che l’agente ha tentato il delitto di rapina? Insomma, secondo chi scrive, la preparazione è incompatibile con il fondato motivo di ritenere che sarà compiuto il delitto, perché se ci si basa su una valutazione obbiettiva la preparazione può essere sempre pluridirezionale; se ci si basa su una valutazione soggettiva, si scardina il principio di materialità, poiché nessuno può essere punito: per aver pensato; per aver pensato ed espresso; per aver pensato, espresso e/o attuato ma senza arrivare all’inizio dell’esecuzione del fatto tipico.
2) Punire gli atti preparatori considerandoli delitto tentato è punire il pericolo di un pericolo. Infatti, il delitto tentato può essere considerato come un reato di pericolo atipico in quanto il legislatore ha tipizzato il tentato delitto per poter punire situazioni che pongono in pericolo un bene giuridico tutelando. Se è vero quanto detto al precedente numero 1, gli atti preparatori sarebbero punibili perché generano il pericolo del pericolo, o come dir si voglia un tentativo di tentativo, con tutte le conseguenze in termini di mancato rispetto del principio di offensività, a causa di una eccessiva anticipazione della tutela penale.
3) Accettare tale tesi della Cassazione causerebbe un ulteriore punctum pruriens per quanto concerne i delitti di attentato. Essi infatti, poiché fanno normalmente riferimento ad “atti diretti a… “ , avevano ingenerato il dubbio che, non richiedendo l’univocità né l’idoneità ma solo il finalismo, potessero prestarsi agevolmente a ricomprendere nella sfera di punibilità anche gli atti preparatori. La Giurisprudenza di legittimità ha poi sostenuto che nel vagliare la verificazione di un delitto di attentato bisogna utilizzare gli stessi canoni del tentativo, ergo deve trattarsi di atti idonei e diretti in maniera non equivoca a cagionare un evento, e devono essere atti che contengono un principio di esecuzione. Tale concezione è stata abbracciata dai giudici proprio per evitare l’inserimento degli atti preparatori nei delitti di attentato. Risulterebbe alquanto strano quindi “far rientrare dalla porta ciò che si è gettato dalla finestra”.
4) Si agevolerebbe la concezione della colpa d’autore, cioè la punizione penale inflitta per il modo d’essere o per il solo pensiero seppure espresso. E’ il caso, certamente ripugnante e già biasimevole (ma in campo morale!) del pedofilo che si accorda con la madre della infraquattordicenne affinché gli presenti sua figlia per approfittare di lei. La madre accetta, i due prendono accordi, lui si presenta a casa di lei. La madre fa scendere la ragazzina, e la fa accomodare sul divano accanto al signore, e li lascia soli. Vi sarebbero tutti i presupposti indicati dalla massima della Cassazione, per punire l’uomo. Possiamo dire che si tratti di tentato stupro della minorenne (609-bis aggravato dal 609-ter n.1 cod. pen.), o vi sarebbe bisogno che il soggetto (ancora non) agente almeno tocchi la ragazza o cerchi di costringerla ad avere rapporti sessuali? (Tra l’altro l’esempio poc’anzi reso è emblematico della pluridirezionalità degli atti preparatori, poiché mancherebbe ogni traccia relativa al consenso della vittima, e quindi sarebbe sconosciuta la norma a cui l’art. 56 si sarebbe andata a congiungere: atti sessuali con minorenne o violenza sessuale con minorenne?) 
5) Vi sarebbe un problema di sovrapposizione tra univocità e idoneità. Nella massima si fa riferimento all’astratta probabilità che si verificherà il reato, quindi ci ritroveremmo a dover svolgere due giudizi prognostici borderline, uno relativo all’idoneità, che dovrebbe presentare l’alta probabilità di conseguimento dell’evento, e uno relativo all’univocità, che dovrebbe presentare l’astratta probabilità che l’evento si sarebbe verificato. Ma poiché tale ultima astratta probabilità non può afferire all’efficienza causale degli atti (perché altrimenti il giudizio sarebbe un inutile doppione di quello avente ad oggetto l’idoneità), esso dovrà essere tradotto come “astratta probabilità circa la presenza della volontà criminosa”. Non pare che tale tipo di probabilità si combini perfettamente col concetto di atti diretti in maniera non equivoca, richiesto dall’art. 56 cod. pen.
6) La Cassazione richiede ulteriormente che il soggetto si trovi ad un punto di non ritorno dal compimento del delitto progettato. Anche tale carattere è assolutamente aleatorio. Solo il compimento di atti esecutivi tipici può verificare l’instaurazione del nesso causale idoneo a portare automaticamente all’evento senza più possibilità di ritorno (se non attraverso il ricorso all’intervento altrui – in caso di recesso attivo), quindi pare difficoltoso immaginare che il compimento di atti preparatori porti di per sé al raggiungimento di un no way back

Nessun commento:

Posta un commento