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MASSIMA
Integra il
delitto di cui all'art. 605 cod. pen. e non quello di cui all'art. 630 cod.
pen. la condotta di chi prende in ostaggio una persona, cui toglie la libertà
per mantenere il profitto già conseguito con la commissione di altro reato.
(Fattispecie relativa a sequestro di persona commesso a seguito di una rapina
in banca, per agevolare la fuga).
SENTENZA
RITENUTO IN
FATTO
1. Con ordinanza
in data 04.01.2013 il Tribunale di Messina, costituito ex art. 309 c.p.p.,
adito dall'indagato T. G., confermava il provvedimento 15.12.2012 con il quale
il Gip della stessa sede aveva applicato nei confronti del predetto la misura
cautelare della custodia in carcere per concorso in rapina aggravata, tentato
omicidio ed altro (come meglio specificato in atti), qualificando peraltro il
reato ascritto al capo 3) della provvisoria incolpazione, addebitato ex
art. 630 c.p., quale sequestro di persona ex art. 605 c.p..
In particolare
riteneva detto Tribunale come fossero pacifici i fatti, del resto ammessi dal
predetto indagato, arrestato in flagranza degli stessi, nonchè chiaramente
risultati dalle pronte indagini: il T., fatta irruzione armata in una banca
insieme ad un complice, sottratta una pistola ad una guardia giurata, prelevati
novemila Euro, aveva preso in ostaggio dapprima una donna e poi un ragazzo;
quindi, inseguito nella fuga da agenti di Polizia, aveva sparato al loro
indirizzo un colpo di pistola ad altezza d'uomo; infine veniva catturato.
Sussistevano,
pertanto, gravi indizi di colpevolezza rilevanti ex art. 273 c.p.p.,
dovendosi peraltro qualificare - osservava ancora il Tribunale - come sequestro
di persona ex art. 605 c.p., il fatto contestato come reato di cui all'art.
630 c.p., sul rilievo che la relativa condotta era stata posta in essere al
fine di assicurarsi la fuga e l'impunità.
Sussistevano poi
esigenze cautelari che imponevano, ai sensi dell'art. 274 c.p.p., la misura
carceraria - riteneva sempre il Tribunale - per il pericolo di reiterazione di
consimili delitti in considerazione delle modalità esecutive di fatti tanto
gravi, denotanti spiccata professionalità, e della negativa personalità
dell'indagato desumibile dai plurimi precedenti penali anche specifici.
2. Avverso tale
ordinanza proponevano ricorso per cassazione sia il Procuratore della
Repubblica presso l'anzidetto Tribunale che la difesa dell'indagato T..
2.1 Il
Procuratore della Repubblica di Messina denunciava violazione di legge e vizio
di motivazione, peraltro con solo riferimento al reato di cui al capo 3),
sostenendo: il Tribunale erroneamente aveva proceduto a riqualificare la
specifica condotta ai sensi dell'art. 605 c.p., posto che, in fatto, era
risultato evidente che il T. aveva mantenuto il sequestro del ragazzo al fine
di consentire che il complice potesse fuggire con il bottino, riuscendo in tale
intento; la condotta stessa era così sussumibile nel paradigma dell'art. 630
c.p., posto che il sequestro di persona era stato consumato allo scopo di
conseguire un ingiusto profitto come prezzo della liberazione.
2.2 Il T.
parimenti deduceva violazione di legge e vizio di motivazione, argomentando in
sintesi nei seguenti termini: a) il provvedimento era motivato solo per
relationem; b) nel merito, con solo riferimento al reato di tentato omicidio:
l'esplosione di un solo colpo, sia pure ad altezza d'uomo, non rendeva evidente
una volontà certa di uccidere gli agenti che lo inseguivano; mancava dunque la
prova del dolo intenzionale.
CONSIDERATO IN
DIRITTO
1. Entrambi i
ricorsi non sono fondati.
2. E' infondato
il ricorso del P.M. v. sopra, sub ritenuto, al p. 2.1 che, quale unico motivo,
censura la riqualificazione ex art. 605 c.p., del fatto di cui al capo 3)
della provvisoria incolpazione, originariamente ascritto quale sequestro di
persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.). Siffatto motivo di ricorso è di
certo errato in diritto, posto che esso assume una non corretta lettura della
norma di cui all'art. 630 c.p.. Per il sequestro di persona a scopo di
estorsione, invero, l'esplicito dettato normativo prevede che l'autore intenda
perseguire e richieda un ingiusto profitto "come prezzo della
liberazione". Ciò significa che è necessario, per tale reato, che venga
corrisposta un'utilità in un momento successivo alla privazione della libertà
dell'ostaggio, libertà il cui ripristino è condizionato da tale pagamento. Ciò
esclude che possa essere qualificata ex art. 630 c.p., la condotta di chi
prende un ostaggio, cui toglie la libertà, e dunque attua un sequestro di
persona, per mantenere un profitto già ottenuto, il che realizza la fattispecie
di cui all'art. 605 c.p., con l'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 2, e
cioè attua la condotta criminosa per mantenere il profitto di altro reato (nel
caso, la rapina aggravata) già perpetrata. In definitiva il ricorso del P.M.
territoriale equivoca tra il significato giuridico di prezzo (che è l'unico
previsto dall'art. 630 c.p.) e quello di profitto. "Prezzo" è solo -
e non può non essere, per il suo intrinseco significato - ciò che si deve
pagare per ottenere ciò che altrimenti non si potrebbe avere. Prezzo, nella
terminologia codicistica, è qualcosa che si paga materialmente, una dazione
concreta, e non può essere assunto, in modo confuso ed aspecifico, come
qualsivoglia profitto, il cui significato è, tecnicamente, diverso. Il termine
prezzo non può essere usato, dunque, per esprimere il concetto di mantenere un
profitto di fatto già conseguito. In definitiva, ancora, il bottino della
rapina già commessa, profitto della stessa, già materialmente appreso dai
rapinatori, non può essere qualificato prezzo della successiva condotta di
sequestro di persona perchè non si realizza un pagamento successivo alla
privazione della libertà. Chi ha subito la prima spoliazione (in esito alla
rapina) non paga un ulteriore prezzo per ottenere la libertà dell'ostaggio, e
tanto non è avvenuto nel caso in esame.
Il ricorso della
pubblica accusa è, dunque, infondato.
3. Parimenti
infondato risulta il ricorso dell'indagato T..
E' infondato il
primo motivo dell'impugnazione (v. sopra, sub ritenuto, al p. 2.2.a), posto che
sia pacifica giurisprudenza di questa Corte di legittimità che le motivazioni
dell'ordinanza genetica e quella del Tribunale del riesame tra loro si
integrano (v., tra le tante, Cass. Pen. Sez. 2, n. 30696 in data 20.04.2012,
Rv. 253326, Okunmweida; ecc), ed atteso che la motivazione per relationem è
ammessa anche in materia cautelare (v., ex pluribus, Cass. Pen. Sez. 3, n. 16034
in data 10.02.2011, Rv. 250299, M.; Cass. Pen. Sez. 4, n. 4181 in data
14.11.2007, Rv. 238674, Benincasa; ecc.) alla condizione - qui non elusa - che
il giudice dia conto di avere comunque svolto un esame specifico delle
risultanze e delle deduzioni proposte ex adverso. Nel caso in esame, peraltro,
il ricorrente si limita a denuncia generica, nè significa da quale concreta
manchevolezza l'atto sarebbe affetto, nè ù infine - per quali profili la difesa
sarebbe stata pregiudicata, così comunque incorrendo nel vizio
dell'aspecificità.
Anche il secondo
motivo di ricorso (v. sopra, sub ritenuto, al p. 2.2.b) è privo di pregio. Va
premesso che il T. propone impugnazione solo limitatamente al reato di tentato
omicidio e, nell'ambito di questo, con unico riferimento all'elemento
psicologico. Orbene, è del tutto evidente come la sua proposizione sia errata,
perchè assume che tale fattispecie possa essere sostenuta solo dal dolo
intenzionale (che, egli sostiene, non sarebbe rinvenibile nella fattispecie),
quando invece è assolutamente pacifico che il tentato omicidio ben può trovare
fondamento nel dolo alternativo, come da consolidata giurisprudenza di questa
Corte di legittimità. Ed invero anche di recente è stato affermato da Cass.
Pen. Sez. 1, n. 27620 in data 24.05.2007, Rv. 237022 Mastrovito, che:
"In tema di
delitti omicidiari, deve qualificarsi come dolo diretto, e non meramente
eventuale, quella particolare manifestazione di volontà dolosa definita dolo
alternativo, che sussiste quando il soggetto attivo prevede e vuole, con scelta
sostanzialmente equipollente, l'uno o l'altro degli eventi (nella specie, morte
o grave ferimento della vittima) causalmente ricollegabili alla sua condotta
cosciente e volontaria, con la conseguenza che esso ha natura di dolo diretto ed
è compatibile con il tentativo";
(fattispecie in
cui la S.C. ha ritenuto sussistente un dolo diretto di omicidio, quanto meno
nella forma alternativa, in relazione al concorso in un tentativo di omicidio
posto in essere esplodendo numerosi colpi di arma da fuoco contro un
carabiniere postosi all'inseguimento degli autori di una tentata rapina
aggravata in danno di un istituto di credito). Nello stesso senso, peraltro, è
la costante giurisprudenza di questa Corte (v., ex pluribus, Cas. Pen. Sez. 1,
n. 11521 in data 25.02.2009, Rv. 243487, D'Alessandro; Cass. Pen. Sez. 5, n.
6168 in data 17.01.2005, Rv. 231174, Meloro; ecc.).
Orbene, ciò
posto, non c'è dubbio che sia corretta la decisione impugnata, integrata con la
motivazione dell'ordinanza genetica, che ha ritenuto essere la condotta
dell'indagato - sparare un colpo d'arma da fuoco contro gli inseguitori -
qualificabile tentato omicidio nella ricorrenza sia, oggettivamente, di atto
idoneo diretto in modo non equivoco al risultato maggiore, sia, soggettivamente,
di dolo quam minus alternativo (come sopra specificato).
Anche
l'impugnazione cautelare dell'indagato, pertanto, non può trovare accoglimento.
4. In definitiva
entrambi i ricorsi sono infondati. Al completo rigetto della sua impugnazione
consegue, per il ricorrente privato T., la condanna ex lege, in forza del
disposto dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
Deve seguire
altresì, a cura della Cancelleria, la comunicazione prevista dall'art. 94 disp.
att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Rigetta i
ricorsi e condanna il ricorrente T. al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente
provvedimento al Direttore dell'Istituto penitenziario ai sensi dell'art. 94
disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in
Roma, il 17 maggio 2013.
Depositato in
Cancelleria il 3 giugno 2013
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