lunedì 17 marzo 2014

La Cassazione sul rapporto tra rapina e sequestro di persona.

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Cassazione Penale, Sez. I, 17 maggio 2013, n. 23937

MASSIMA

Integra il delitto di cui all'art. 605 cod. pen. e non quello di cui all'art. 630 cod. pen. la condotta di chi prende in ostaggio una persona, cui toglie la libertà per mantenere il profitto già conseguito con la commissione di altro reato. (Fattispecie relativa a sequestro di persona commesso a seguito di una rapina in banca, per agevolare la fuga).

SENTENZA
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 04.01.2013 il Tribunale di Messina, costituito ex art. 309 c.p.p., adito dall'indagato T. G., confermava il provvedimento 15.12.2012 con il quale il Gip della stessa sede aveva applicato nei confronti del predetto la misura cautelare della custodia in carcere per concorso in rapina aggravata, tentato omicidio ed altro (come meglio specificato in atti), qualificando peraltro il reato ascritto al capo 3) della provvisoria incolpazione, addebitato ex art. 630 c.p., quale sequestro di persona ex art. 605 c.p..
In particolare riteneva detto Tribunale come fossero pacifici i fatti, del resto ammessi dal predetto indagato, arrestato in flagranza degli stessi, nonchè chiaramente risultati dalle pronte indagini: il T., fatta irruzione armata in una banca insieme ad un complice, sottratta una pistola ad una guardia giurata, prelevati novemila Euro, aveva preso in ostaggio dapprima una donna e poi un ragazzo; quindi, inseguito nella fuga da agenti di Polizia, aveva sparato al loro indirizzo un colpo di pistola ad altezza d'uomo; infine veniva catturato.
Sussistevano, pertanto, gravi indizi di colpevolezza rilevanti ex art. 273 c.p.p., dovendosi peraltro qualificare - osservava ancora il Tribunale - come sequestro di persona ex art. 605 c.p., il fatto contestato come reato di cui all'art. 630 c.p., sul rilievo che la relativa condotta era stata posta in essere al fine di assicurarsi la fuga e l'impunità.
Sussistevano poi esigenze cautelari che imponevano, ai sensi dell'art. 274 c.p.p., la misura carceraria - riteneva sempre il Tribunale - per il pericolo di reiterazione di consimili delitti in considerazione delle modalità esecutive di fatti tanto gravi, denotanti spiccata professionalità, e della negativa personalità dell'indagato desumibile dai plurimi precedenti penali anche specifici.
2. Avverso tale ordinanza proponevano ricorso per cassazione sia il Procuratore della Repubblica presso l'anzidetto Tribunale che la difesa dell'indagato T..

2.1 Il Procuratore della Repubblica di Messina denunciava violazione di legge e vizio di motivazione, peraltro con solo riferimento al reato di cui al capo 3), sostenendo: il Tribunale erroneamente aveva proceduto a riqualificare la specifica condotta ai sensi dell'art. 605 c.p., posto che, in fatto, era risultato evidente che il T. aveva mantenuto il sequestro del ragazzo al fine di consentire che il complice potesse fuggire con il bottino, riuscendo in tale intento; la condotta stessa era così sussumibile nel paradigma dell'art. 630 c.p., posto che il sequestro di persona era stato consumato allo scopo di conseguire un ingiusto profitto come prezzo della liberazione.
2.2 Il T. parimenti deduceva violazione di legge e vizio di motivazione, argomentando in sintesi nei seguenti termini: a) il provvedimento era motivato solo per relationem; b) nel merito, con solo riferimento al reato di tentato omicidio: l'esplosione di un solo colpo, sia pure ad altezza d'uomo, non rendeva evidente una volontà certa di uccidere gli agenti che lo inseguivano; mancava dunque la prova del dolo intenzionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i ricorsi non sono fondati.
2. E' infondato il ricorso del P.M. v. sopra, sub ritenuto, al p. 2.1 che, quale unico motivo, censura la riqualificazione ex art. 605 c.p., del fatto di cui al capo 3) della provvisoria incolpazione, originariamente ascritto quale sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.). Siffatto motivo di ricorso è di certo errato in diritto, posto che esso assume una non corretta lettura della norma di cui all'art. 630 c.p.. Per il sequestro di persona a scopo di estorsione, invero, l'esplicito dettato normativo prevede che l'autore intenda perseguire e richieda un ingiusto profitto "come prezzo della liberazione". Ciò significa che è necessario, per tale reato, che venga corrisposta un'utilità in un momento successivo alla privazione della libertà dell'ostaggio, libertà il cui ripristino è condizionato da tale pagamento. Ciò esclude che possa essere qualificata ex art. 630 c.p., la condotta di chi prende un ostaggio, cui toglie la libertà, e dunque attua un sequestro di persona, per mantenere un profitto già ottenuto, il che realizza la fattispecie di cui all'art. 605 c.p., con l'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 2, e cioè attua la condotta criminosa per mantenere il profitto di altro reato (nel caso, la rapina aggravata) già perpetrata. In definitiva il ricorso del P.M. territoriale equivoca tra il significato giuridico di prezzo (che è l'unico previsto dall'art. 630 c.p.) e quello di profitto. "Prezzo" è solo - e non può non essere, per il suo intrinseco significato - ciò che si deve pagare per ottenere ciò che altrimenti non si potrebbe avere. Prezzo, nella terminologia codicistica, è qualcosa che si paga materialmente, una dazione concreta, e non può essere assunto, in modo confuso ed aspecifico, come qualsivoglia profitto, il cui significato è, tecnicamente, diverso. Il termine prezzo non può essere usato, dunque, per esprimere il concetto di mantenere un profitto di fatto già conseguito. In definitiva, ancora, il bottino della rapina già commessa, profitto della stessa, già materialmente appreso dai rapinatori, non può essere qualificato prezzo della successiva condotta di sequestro di persona perchè non si realizza un pagamento successivo alla privazione della libertà. Chi ha subito la prima spoliazione (in esito alla rapina) non paga un ulteriore prezzo per ottenere la libertà dell'ostaggio, e tanto non è avvenuto nel caso in esame.
Il ricorso della pubblica accusa è, dunque, infondato.
3. Parimenti infondato risulta il ricorso dell'indagato T..
E' infondato il primo motivo dell'impugnazione (v. sopra, sub ritenuto, al p. 2.2.a), posto che sia pacifica giurisprudenza di questa Corte di legittimità che le motivazioni dell'ordinanza genetica e quella del Tribunale del riesame tra loro si integrano (v., tra le tante, Cass. Pen. Sez. 2, n. 30696 in data 20.04.2012, Rv. 253326, Okunmweida; ecc), ed atteso che la motivazione per relationem è ammessa anche in materia cautelare (v., ex pluribus, Cass. Pen. Sez. 3, n. 16034 in data 10.02.2011, Rv. 250299, M.; Cass. Pen. Sez. 4, n. 4181 in data 14.11.2007, Rv. 238674, Benincasa; ecc.) alla condizione - qui non elusa - che il giudice dia conto di avere comunque svolto un esame specifico delle risultanze e delle deduzioni proposte ex adverso. Nel caso in esame, peraltro, il ricorrente si limita a denuncia generica, nè significa da quale concreta manchevolezza l'atto sarebbe affetto, nè ù infine - per quali profili la difesa sarebbe stata pregiudicata, così comunque incorrendo nel vizio dell'aspecificità.
Anche il secondo motivo di ricorso (v. sopra, sub ritenuto, al p. 2.2.b) è privo di pregio. Va premesso che il T. propone impugnazione solo limitatamente al reato di tentato omicidio e, nell'ambito di questo, con unico riferimento all'elemento psicologico. Orbene, è del tutto evidente come la sua proposizione sia errata, perchè assume che tale fattispecie possa essere sostenuta solo dal dolo intenzionale (che, egli sostiene, non sarebbe rinvenibile nella fattispecie), quando invece è assolutamente pacifico che il tentato omicidio ben può trovare fondamento nel dolo alternativo, come da consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità. Ed invero anche di recente è stato affermato da Cass. Pen. Sez. 1, n. 27620 in data 24.05.2007, Rv. 237022 Mastrovito, che:
"In tema di delitti omicidiari, deve qualificarsi come dolo diretto, e non meramente eventuale, quella particolare manifestazione di volontà dolosa definita dolo alternativo, che sussiste quando il soggetto attivo prevede e vuole, con scelta sostanzialmente equipollente, l'uno o l'altro degli eventi (nella specie, morte o grave ferimento della vittima) causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria, con la conseguenza che esso ha natura di dolo diretto ed è compatibile con il tentativo";
(fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto sussistente un dolo diretto di omicidio, quanto meno nella forma alternativa, in relazione al concorso in un tentativo di omicidio posto in essere esplodendo numerosi colpi di arma da fuoco contro un carabiniere postosi all'inseguimento degli autori di una tentata rapina aggravata in danno di un istituto di credito). Nello stesso senso, peraltro, è la costante giurisprudenza di questa Corte (v., ex pluribus, Cas. Pen. Sez. 1, n. 11521 in data 25.02.2009, Rv. 243487, D'Alessandro; Cass. Pen. Sez. 5, n. 6168 in data 17.01.2005, Rv. 231174, Meloro; ecc.).
Orbene, ciò posto, non c'è dubbio che sia corretta la decisione impugnata, integrata con la motivazione dell'ordinanza genetica, che ha ritenuto essere la condotta dell'indagato - sparare un colpo d'arma da fuoco contro gli inseguitori - qualificabile tentato omicidio nella ricorrenza sia, oggettivamente, di atto idoneo diretto in modo non equivoco al risultato maggiore, sia, soggettivamente, di dolo quam minus alternativo (come sopra specificato).
Anche l'impugnazione cautelare dell'indagato, pertanto, non può trovare accoglimento.
4. In definitiva entrambi i ricorsi sono infondati. Al completo rigetto della sua impugnazione consegue, per il ricorrente privato T., la condanna ex lege, in forza del disposto dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
Deve seguire altresì, a cura della Cancelleria, la comunicazione prevista dall'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente T. al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al Direttore dell'Istituto penitenziario ai sensi dell'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 17 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2013


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