mercoledì 26 marzo 2014

Il reato di truffa.

del Dott. Fabio Bisceglie.

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Definizione
La truffa viene classificata da dottrina e giurisprudenza come reato plurioffensivo, in quanto si pone non solo a tutela del patrimonio, ma anche a tutela della libertà del consenso dell’autonomia della libertà, le quali sono minacciate dalle condotte poste in essere dal soggetto attivo.
Il delitto in esame è regolamentato dall’art. 640 c.p. Al primo comma, il legislatore stabilisce che: “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032”.
Dall’articolo in questione si evince che il delitto di truffa non richiede necessariamente che la persona danneggiata dal reato sia la stessa che è stata indotta in errore dal soggetto attivo(dunque può non esservi identità tra il soggetto passivo del reato e la vittima dell’inganno). Detta definizione, è pacificamente sostenuta dalla giurisprudenza di merito, la quale enuncia che l’integrazione del reato di truffa non implica la necessaria identità fra la persona indotta in errore e la persona offesa, e cioè titolare dell’interesse patrimoniale leso, ben potendo la condotta fraudolenta essere indirizzata ad un soggetto diverso del patrimonio. In tal caso, ai fini della configurabilità del reato di truffa, è indispensabile che tra i due sussistita un rapporto di rappresentanza legale o negoziale, in virtù del quale il rappresentante, che subisce il comportamento delittuoso dell’agente, abbia la possibilità di incidere giuridicamente sul patrimonio del rappresentato. (Cass. Sez. II, 10 aprile 2012, N. 16630).
A titolo esemplificativo si pensi alla truffa subita da un agente di commercio di una società che produce capi di abbigliamento a seguito della stipula di un contratto avente ad oggetto la vendita di un determinato quantitativo di merce.

Elementi oggettivi: a) gli artifizi e i raggiri
Da un’analisi prettamente oggettiva, gli elementi costitutivi del delitto de quo, sono essenzialmente tre:

       Comportamento del reo (definiti dal legislatore come “artifizi” o “raggiri”);
2     Induzione in errore del soggetto passivo con conseguente danno nella sua sfera patrimoniale;
3     Conseguimento ingiusto profitto da parte del soggetto attivo a discapito di quello passivo.
Affinché si possa configurare il reato di truffa, gli artifici e i raggiri necessari per integrare il delitto in questione non consistono solo in espressioni verbali fraudolente, ma anche in un messa in scena fittizia e in genere in un comportamento idoneo ad indurre in errore. Un recente orientamento giurisprudenziale ha affermato che ai fini della sussistenza del reato di truffa non assume rilievo la mancanza di diligenza, di controllo e di verifica da parte della persona offesa, in quanto tale circostanza non escluse l’idoneità del mezzo in quanto si risolve in una mera deficienza di attenzione e perché il più delle volte essa è determinata dalla fiducia che il truffatore, con artifici e raggiri, sa suscitare nella parte lesa. (Cass. Sez. II, 3 luglio 2009, N. 34059).
L’artifizio è una manipolazione o trasfigurazione della realtà esterna, provocata mediante la simulazione di circostanze inesistenti o, al contrario, la dissimulazione di circostanze esistenti.
Il raggiro è invece un avvolgimento ingegnoso di parole o argomentazioni atte a far scambiare il falso per vero.
A differenza degli artifizi, che necessitano di una proiezione nel mondo esterno creando una falsa apparenza materiale, i raggiri possono dunque esaurirsi in una semplice attività di persuasione che agisce direttamente sulla psiche altrui, a prescindere da qualsiasi mise en scène.
Ai fini della sussistenza del reato di truffa il raggiro non deve necessariamente consistere in una particolare subdola messa in scena, bastando qualsiasi simulazione o dissimulazione posta in essere per indurre in errore (Cass. Sez. V., sent. N. 3460/84).
È altrettanto vero che per la configurabilità del reato in oggetto, non è sufficiente un qualsiasi mendace comportamento o una qualsiasi alterazione della realtà da parte dell’agente nello svolgimento dell’attività prevista per il conseguimento di una indennità, essendo evidente che, a caratterizzare l’estremo dell’artificio o del raggiro, idoneo ad escludere altro minor reato e a rendere configurabile quello di truffa, sono necessari una ulteriore attività, un particolate accorgimento o una speciale astuzia, capaci di eludere le comuni e normali possibilità di controllo dell’ente assistenziale. (Cass. Sez. II, sent. N. 6041/84).

La menzogna
Assodato che gli artifici e raggiri sono elementi costitutivi del delitto di truffa, a questo punto è opportuno chiedersi se la menzogna è idonea a configurare il delitto in questione ed entro quali limiti.
In dottrina non esiste una univocità ideologia, anche se la dottrina maggioritaria sostiene che anche la semplice menzogna può costituire il raggiro idoneo a commettere il delitto di truffa. Così è intervenuta la giurisprudenza di merito a mettere un po’ di ordine sulla dibattuta questione. Il giudice di legittimità ritiene che la menzogna possa costituire raggiro idoneo ai fini della truffa, a condizione che sia accompagnata da ulteriori circostanze suscettibili di rafforzare le dichiarazioni mendaci. Infatti, ai fini della sussistenza della truffa, occorre un quid pluris rispetto alla pura e semplice dichiarazione menzognera, la quale deve essere architettata e presentata in modo tale da assumere l’aspetto della verità e trarre in inganno il soggetto passivo del reato (Cass. 3 giugno 1997).

Comportamento omissivo
Infine bisogna precisare che la giurisprudenza è orientata ad ammette la possibilità che il reato di truffa venga realizzato anche attraverso un comportamento omissivo; generalmente, a tal fine si richiede l’esistenza di un obbligo giuridico, in capo al soggetto attivo, di rivelare le circostanze taciute. In materia di truffa contrattuale, anche il silenzio, maliziosamente serbato su alcune circostanze rilevanti sotto il profilo sinallagmatico da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, integra l’elemento oggettivo del raggiro, idoneo a determinare il soggetto passivo a prestare un consenso che altrimenti avrebbe negato (Cass. 11 ottobre 2005, N. 39905).
A titolo esemplificato costituisce il reato di truffa la stipula di un contratto preliminare di compravendita quale civile abitazione di parte di un immobile edificato in una zona con destinazione alberghiera, operata dissimulando tale condizione amministrativa (Cass. Sez. III, 14 novembre 2006, n. 563).

Il profitto
Il profitto, elemento costitutivo del reato, deve ravvisarsi tanto nel caso di effettivo accrescimento di ricchezza economica a favore dell’agente, quanto nel caso di manca diminuzione del suo patrimonio per effetto del godimento di beni. Non è fondamentale, dunque, un aumento esteriore della ricchezza del soggetto attivo. Dunque, l’ingiusto profitto può comprendere in sé qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico.

Il danno
Dal profitto si distingue il danno. L’art. 640 c.p. prevede che esso deve avere un contenuto necessariamente patrimoniale ed economico, poiché consiste in una lesione concreta e non soltanto potenziale che abbia l’effetto di produrre, mediante la cooperazione artificiosa della vittima che, indotta in errore dall’inganno ordito dall’autore del reato, compie l’atto di disposizione e la conseguente perdita definitiva del bene.
Infatti, in tutte quelle situazioni in cui il soggetto passivo assume, per incidenza di artifici e raggiri, l’obbligazione della dazione di un bene economico, ma questo non pervie, con relativo danno, nella materiale disponibilità dell’agente, si verte nella figura di truffa tentata e non di quella consumata. (Cass. Sez. Unite, 16 dicembre 1999).
Occorre precisare, infine, che ai fini della configurabilità del reato di truffa, non è necessario l’identità tra il danno e il profitto, ben potendo gli stessi essere differenti sia quantitativamente che qualitativamente.

Elemento soggettivo
L’elemento soggettivo del delitto di truffa è costituito dal dolo generico, diretto o indiretto, avente ad oggetto gli elementi costitutivi del reato che abbiamo precedentemente analizzato. In altre parole è necessaria, da parte del soggetto attivo, la coscienza e volontà di indurre con artifici o raggiri taluno in errore e di determinarlo in tal modo a un atto di disposizione patrimoniale, con altrui danno e ingiusto profitto per sé o altri. Errore sull’ingiustizia del danno esclude il dolo.

Tempus Commissi Delicti
La truffa è un reato istantaneo e di danno che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica dell’autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo. A tal fine possiamo sostenere che il momento consumativo del delitto di truffa è quello dell’effettivo conseguimento dell’ingiusto profitto, con correlativo danno nella sfera patrimoniale della persona offesa e, tale momento si verifica all’atto dell’effettiva prestazione del bene economico da parte del raggirato, con susseguente passaggio dello stesso nella sfera di disponibilità dell’agente.
La truffa contrattuale: l’errore
Particolare attenzione riveste la c.d. truffa contrattuale. In tale fattispecie, il processo causale passa per una fase intermedia, ossia quella della conclusione del contratto, diversamente da quanto avviene nella c.d. truffa generale. Detto ciò, sembra necessario comprendere la qualifica giuridica di tale fase intermedia e, in particolare, se possa sussistere la figura criminosa di truffa contrattuale anche nei casi in cui la stessa induzione in errore vada ad incidere solo su alcuni elementi accessori del contratto, o se invece sia richiesta l’incidenza dell’errore sugli elementi essenziali. Secondo parte della dottrina, per la sussistenza di tale reato sarebbe pur sempre necessario l’errore che incide sugli elementi essenziali del contratto, poiché solo in tali casi la condotta antigiuridica avrebbe quel disvalore tale da giustificare la reazione dell’ordinamento penale, e più in particolare l’applicazione di una pena.
Secondo altra impostazione, invece, la truffa contrattuale potrebbe sussistere anche nel momento in cui la stessa induzione in errore incida su elementi accessori, e ciò da una parte, sul presupposto logico-interpretativo (come sembra suggerire una lettura sistematica della materia contrattuale del codice civile), che le parti possono attribuire maggiore importanza a clausole particolari che agli elementi essenziali, e dall’altra, perché l’atteggiamento ingannevole ex art. 640 c.p. sussisterebbe anche nell’ipotesi in esame. Secondo tale impostazione, la condotta sarebbe punibile indipendentemente dal fatto che gli artifizi e raggiri inducano in errore il soggetto passivo e, se che questi errori ricadano su elementi essenziali o meno del negozio giuridico posto in essere in quanto, la condotta antigiuridica sussisterebbe comunque.
La giurisprudenza (cfr. per tutte, cass. 2/02/1998, n. 985), in verità, sembra propendere per quest’ultima tesi, interpretando il concetto di errore in senso estensivo, nel senso cioè di considerare errore determinato dall’altrui “inganno” ex art. 640 c.p. sia l’errore ricadente su elementi essenziali del contratto che quello avente ad oggetto clausole accessorie. In altre parole, sarebbe irrilevante per il legislatore penale che lo stesso errore incida su taluni elementi del contratto piuttosto che su altri.
Il delitto di truffa contrattuale si perfeziona, non nel momento in cui il soggetto passivo assume un’obbligazione per effetto degli artifici o raggiri subiti, bensì in quello in cui si verifica l’effettivo conseguimento del bene economico da parte dell’agente e la definitiva perdita di esso da parte del raggirato; pertanto, quando il reato abbia come oggetto immediato il conseguimento di assegni bancari, il danno si verifica nel momento in cui i titoli vengono posti all’incasso, ovvero usati come normali mezzo di pagamento, mediante girata, a favore  di terzi i quali portatori legittimi, non sono esposti alle eccezioni che il traente potrebbe opporre al beneficiario: in entrambi i casi si verifica una lesione concreta e definitiva del patrimonio della persona offesa , inteso come complesso di diritti valutabili in denaro (Cass. Sez. II, 18 novembre 2010, n. 42958).
È configurabile il reato di truffa, nella fattispecie contrattuale, quando il “dolus in contraendo” si manifesta attraverso artifici o raggiri che, intervenendo nella formazione del negozio, inducano la controparte e prestare il proprio consenso e cioè quando sussiste un rapporto immediato di cause ad effetto tra il mezzo o l’espediente fraudolentemente usato dall’agante e il consenso ottenuto dal soggetto passivo, sì che questo risulta viziato nella sua libera determinazione.

Gli assegni postdatati
La giurisprudenza dominante ritiene che nel reato di truffa, il pagamento con assegno postdatato non è elemento da solo sufficiente a trarre in inganno, poiché la postdatazione è già di per sé indice di mancanza di copertura (Cass. 10 dicembre 1986). Infatti, affinché il semplice pagamento di merce con assegno postdatato possa  realizzare il delitto di cui al capo di imputazione e, dunque, trarre in inganno il venditore, occorre un’ulteriore comportamento idoneo a far sorgere un ragionevole affidamento sul pagamento dell’assegno (Cass. 12 gennaio 1982).
Commette il reato di truffa, di cui all'art. 640 cod. pen., colui che acquisti merce con assegni postdatati di rilevante valore, poi risultati emessi a vuoto, ove il momento conclusivo del contratto e della consegna degli assegni in cambio della merce ricevuta sia stato preceduto da lunga trattativa, costituita, da parte dello acquirente, da una serie di artifici, di raggiri e di messe in scena, idonei ad ottenere la credibilità da parte dell'altro contraente, sì da indurlo in errore sulla consistenza patrimoniale ed economica della controparte. (Cass., Sez. II Penale, 23.10.1984 n. 9032).


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