del Dott. Fabio Bisceglie.
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Definizione
La truffa viene classificata da dottrina e giurisprudenza come reato plurioffensivo, in quanto si pone non solo a tutela del
patrimonio, ma anche a tutela della libertà del consenso dell’autonomia della
libertà, le quali sono minacciate dalle condotte poste in essere dal soggetto
attivo.
Il delitto in esame è
regolamentato dall’art. 640 c.p. Al primo comma, il legislatore stabilisce che:
“Chiunque,
con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un
ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a
tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032”.
Dall’articolo in questione si
evince che il delitto di truffa non richiede necessariamente che la persona
danneggiata dal reato sia la stessa che è stata indotta in errore dal soggetto
attivo(dunque può non esservi
identità tra il soggetto passivo del reato e la vittima dell’inganno).
Detta definizione, è pacificamente sostenuta dalla giurisprudenza di merito, la
quale enuncia che l’integrazione del reato di truffa non implica la necessaria identità fra la persona indotta in errore e
la persona offesa, e cioè titolare dell’interesse patrimoniale leso, ben
potendo la condotta fraudolenta essere indirizzata ad un soggetto diverso del
patrimonio. In tal caso, ai fini della configurabilità del reato di truffa, è indispensabile che tra i due sussistita un
rapporto di rappresentanza legale o negoziale, in virtù del quale il
rappresentante, che subisce il comportamento delittuoso dell’agente, abbia la
possibilità di incidere giuridicamente sul patrimonio del rappresentato. (Cass.
Sez. II, 10 aprile 2012, N. 16630).
A titolo esemplificativo si
pensi alla truffa subita da un agente di commercio di una società che produce
capi di abbigliamento a seguito della stipula di un contratto avente ad oggetto
la vendita di un determinato quantitativo di merce.
Elementi
oggettivi: a) gli artifizi e i raggiri
Da un’analisi prettamente
oggettiva, gli elementi costitutivi del delitto de quo, sono essenzialmente tre:
Comportamento del reo
(definiti dal legislatore come “artifizi”
o “raggiri”);
2 Induzione in errore del
soggetto passivo con conseguente danno nella sua sfera patrimoniale;
3 Conseguimento ingiusto
profitto da parte del soggetto attivo a discapito di quello passivo.
Affinché si possa configurare
il reato di truffa, gli artifici e i raggiri necessari per integrare il delitto
in questione non consistono solo in
espressioni verbali fraudolente, ma anche in un messa in scena fittizia e in genere in un comportamento idoneo ad
indurre in errore. Un recente orientamento giurisprudenziale ha
affermato che ai fini della sussistenza del reato di truffa non assume rilievo
la mancanza di diligenza, di controllo e di verifica da parte della persona offesa,
in quanto tale circostanza non escluse l’idoneità del mezzo in quanto si
risolve in una mera deficienza di attenzione e perché il più delle volte essa è
determinata dalla fiducia che il truffatore, con artifici e raggiri, sa
suscitare nella parte lesa. (Cass. Sez. II, 3 luglio 2009, N. 34059).
L’artifizio è una
manipolazione o trasfigurazione della realtà esterna, provocata mediante la
simulazione di circostanze inesistenti o, al contrario, la dissimulazione di
circostanze esistenti.
Il raggiro è invece
un avvolgimento ingegnoso di parole o argomentazioni atte a far scambiare il
falso per vero.
A differenza degli artifizi,
che necessitano di una proiezione nel mondo esterno creando una falsa apparenza
materiale, i raggiri possono dunque esaurirsi in una semplice attività di
persuasione che agisce direttamente sulla psiche altrui, a prescindere da
qualsiasi mise en scène.
Ai fini della sussistenza del
reato di truffa il raggiro non deve
necessariamente consistere in una particolare subdola messa in scena, bastando
qualsiasi simulazione o dissimulazione posta in essere per indurre in errore
(Cass. Sez. V., sent. N. 3460/84).
È altrettanto vero che per la
configurabilità del reato in oggetto, non è sufficiente un qualsiasi mendace
comportamento o una qualsiasi alterazione della realtà da parte dell’agente
nello svolgimento dell’attività prevista per il conseguimento di una indennità,
essendo evidente che, a caratterizzare l’estremo dell’artificio o del raggiro,
idoneo ad escludere altro minor reato e a rendere configurabile quello di
truffa, sono necessari una ulteriore attività, un particolate accorgimento o
una speciale astuzia, capaci di eludere le comuni e normali possibilità di
controllo dell’ente assistenziale. (Cass. Sez. II, sent. N. 6041/84).
La
menzogna
Assodato che gli artifici e
raggiri sono elementi costitutivi del delitto di truffa, a questo punto è
opportuno chiedersi se la menzogna è idonea a configurare il delitto in
questione ed entro quali limiti.
In dottrina non esiste una
univocità ideologia, anche se la dottrina maggioritaria sostiene che anche la
semplice menzogna può costituire il raggiro idoneo a commettere il delitto di
truffa. Così è intervenuta la giurisprudenza di merito a mettere un po’ di
ordine sulla dibattuta questione. Il giudice di legittimità ritiene che la menzogna possa costituire raggiro
idoneo ai fini della truffa, a condizione che sia accompagnata da ulteriori
circostanze suscettibili di rafforzare le dichiarazioni mendaci. Infatti, ai
fini della sussistenza della truffa, occorre un quid pluris rispetto alla pura e semplice dichiarazione menzognera,
la quale deve essere architettata e presentata in modo tale da assumere
l’aspetto della verità e trarre in inganno il soggetto passivo del reato (Cass.
3 giugno 1997).
Comportamento
omissivo
Infine bisogna precisare che
la giurisprudenza è orientata ad ammette la possibilità che il reato di truffa
venga realizzato anche attraverso un comportamento omissivo; generalmente, a
tal fine si richiede l’esistenza di un obbligo giuridico, in capo al soggetto
attivo, di rivelare le circostanze taciute. In materia di truffa contrattuale,
anche il silenzio, maliziosamente serbato su alcune circostanze rilevanti sotto
il profilo sinallagmatico da parte di colui che abbia il dovere di farle
conoscere, integra l’elemento oggettivo del raggiro, idoneo a determinare il
soggetto passivo a prestare un consenso che altrimenti avrebbe negato (Cass. 11
ottobre 2005, N. 39905).
A titolo esemplificato
costituisce il reato di truffa la stipula di un contratto preliminare di
compravendita quale civile abitazione di parte di un immobile edificato in una
zona con destinazione alberghiera, operata dissimulando tale condizione
amministrativa (Cass. Sez. III, 14 novembre 2006, n. 563).
Il
profitto
Il profitto, elemento
costitutivo del reato, deve ravvisarsi tanto nel caso di effettivo
accrescimento di ricchezza economica a favore dell’agente, quanto nel caso di
manca diminuzione del suo patrimonio per effetto del godimento di beni. Non è
fondamentale, dunque, un aumento esteriore della ricchezza del soggetto attivo.
Dunque, l’ingiusto profitto può comprendere in sé qualsiasi utilità, incremento
o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico.
Il
danno
Dal profitto si distingue il
danno. L’art. 640 c.p. prevede che esso deve avere un contenuto necessariamente
patrimoniale ed economico, poiché consiste in una lesione concreta e non
soltanto potenziale che abbia l’effetto di produrre, mediante la cooperazione
artificiosa della vittima che, indotta in errore dall’inganno ordito
dall’autore del reato, compie l’atto di disposizione e la conseguente perdita
definitiva del bene.
Infatti, in tutte quelle
situazioni in cui il soggetto passivo assume, per incidenza di artifici e
raggiri, l’obbligazione della dazione di un bene economico, ma questo non
pervie, con relativo danno, nella materiale disponibilità dell’agente, si verte
nella figura di truffa tentata e non di quella consumata. (Cass. Sez. Unite, 16
dicembre 1999).
Occorre precisare, infine,
che ai fini della configurabilità del reato di truffa, non è necessario
l’identità tra il danno e il profitto, ben potendo gli stessi essere differenti
sia quantitativamente che qualitativamente.
Elemento
soggettivo
L’elemento soggettivo del
delitto di truffa è costituito dal dolo
generico, diretto o indiretto, avente ad oggetto gli elementi costitutivi
del reato che abbiamo precedentemente analizzato. In altre parole è necessaria,
da parte del soggetto attivo, la coscienza e volontà di indurre con artifici o
raggiri taluno in errore e di determinarlo in tal modo a un atto di
disposizione patrimoniale, con altrui danno e ingiusto profitto per sé o altri.
Errore sull’ingiustizia del danno esclude il dolo.
Tempus
Commissi Delicti
La truffa è un reato
istantaneo e di danno che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione
della condotta tipica dell’autore abbia fatto seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo. A tal fine possiamo
sostenere che il momento consumativo del delitto di truffa è quello
dell’effettivo conseguimento dell’ingiusto profitto, con correlativo danno
nella sfera patrimoniale della persona offesa e, tale momento si verifica
all’atto dell’effettiva prestazione del bene economico da parte del raggirato,
con susseguente passaggio dello stesso nella sfera di disponibilità
dell’agente.
La
truffa contrattuale: l’errore
Particolare attenzione
riveste la c.d. truffa contrattuale. In tale fattispecie, il processo causale
passa per una fase intermedia, ossia quella della conclusione del contratto,
diversamente da quanto avviene nella c.d. truffa generale. Detto ciò, sembra
necessario comprendere la qualifica giuridica di tale fase intermedia e, in
particolare, se possa sussistere la figura criminosa di truffa contrattuale
anche nei casi in cui la stessa induzione in errore vada ad incidere solo su
alcuni elementi accessori del contratto, o se invece sia richiesta l’incidenza
dell’errore sugli elementi essenziali. Secondo parte della dottrina, per la
sussistenza di tale reato sarebbe pur sempre necessario l’errore che incide
sugli elementi essenziali del
contratto, poiché solo in tali casi la condotta antigiuridica avrebbe quel
disvalore tale da giustificare la reazione dell’ordinamento penale, e più in
particolare l’applicazione di una pena.
Secondo altra impostazione,
invece, la truffa contrattuale potrebbe sussistere anche nel momento in cui la
stessa induzione in errore incida su elementi
accessori, e ciò da una parte, sul presupposto logico-interpretativo
(come sembra suggerire una lettura sistematica della materia contrattuale del
codice civile), che le parti possono attribuire maggiore importanza a clausole
particolari che agli elementi essenziali, e dall’altra, perché l’atteggiamento
ingannevole ex art. 640 c.p.
sussisterebbe anche nell’ipotesi in esame. Secondo tale impostazione, la
condotta sarebbe punibile indipendentemente dal fatto che gli artifizi e
raggiri inducano in errore il soggetto passivo e, se che questi errori ricadano
su elementi essenziali o meno del negozio giuridico posto in essere in quanto, la
condotta antigiuridica sussisterebbe comunque.
La giurisprudenza (cfr. per
tutte, cass. 2/02/1998, n. 985), in verità, sembra propendere per quest’ultima
tesi, interpretando il concetto di errore in senso estensivo, nel senso cioè di
considerare errore determinato dall’altrui “inganno” ex art. 640 c.p. sia l’errore
ricadente su elementi essenziali del contratto che quello avente ad oggetto
clausole accessorie. In altre parole, sarebbe irrilevante per il
legislatore penale che lo stesso errore incida su taluni elementi del contratto
piuttosto che su altri.
Il delitto di truffa
contrattuale si perfeziona, non nel momento in cui il soggetto passivo assume
un’obbligazione per effetto degli artifici o raggiri subiti, bensì in quello in
cui si verifica l’effettivo conseguimento del bene economico da parte dell’agente
e la definitiva perdita di esso da parte del raggirato; pertanto, quando il
reato abbia come oggetto immediato il conseguimento di assegni bancari, il
danno si verifica nel momento in cui i titoli vengono posti all’incasso, ovvero
usati come normali mezzo di pagamento, mediante girata, a favore di terzi i quali portatori legittimi, non
sono esposti alle eccezioni che il traente potrebbe opporre al beneficiario: in
entrambi i casi si verifica una lesione concreta e definitiva del patrimonio
della persona offesa , inteso come complesso di diritti valutabili in denaro
(Cass. Sez. II, 18 novembre 2010, n. 42958).
È configurabile il reato di
truffa, nella fattispecie contrattuale, quando il “dolus in contraendo” si manifesta attraverso artifici o raggiri che,
intervenendo nella formazione del negozio, inducano la controparte e prestare
il proprio consenso e cioè quando sussiste un rapporto immediato di cause ad
effetto tra il mezzo o l’espediente fraudolentemente usato dall’agante e il
consenso ottenuto dal soggetto passivo, sì che questo risulta viziato nella sua
libera determinazione.
Gli
assegni postdatati
La giurisprudenza dominante
ritiene che nel reato di truffa, il pagamento con assegno postdatato non è
elemento da solo sufficiente a trarre in inganno, poiché la postdatazione è già
di per sé indice di mancanza di copertura (Cass. 10 dicembre 1986). Infatti,
affinché il semplice pagamento di merce con assegno postdatato possa realizzare il delitto di cui al capo di
imputazione e, dunque, trarre in inganno il venditore, occorre un’ulteriore
comportamento idoneo a far sorgere un ragionevole affidamento sul pagamento
dell’assegno (Cass. 12 gennaio 1982).
Commette il reato di truffa, di cui all'art. 640 cod. pen.,
colui che acquisti merce con assegni
postdatati di rilevante valore,
poi risultati emessi a vuoto, ove il momento conclusivo del contratto e della
consegna degli assegni in cambio
della merce ricevuta sia stato preceduto da lunga trattativa, costituita, da
parte dello acquirente, da una serie di artifici, di raggiri e di messe in
scena, idonei ad ottenere la credibilità da parte dell'altro contraente, sì da
indurlo in errore sulla consistenza patrimoniale ed economica della
controparte. (Cass., Sez. II Penale, 23.10.1984 n. 9032).
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