mercoledì 12 febbraio 2014

La Cassazione sui rapporti tra peculato e abuso d'ufficio.

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Cassazione penale, Sez. VI, 21 marzo 2013, n. 16381

MASSIMA

Integra il delitto di peculato, e non quello di abuso di ufficio, la condotta del pubblico ufficiale che, comportandosi "uti dominus" rispetto alla cosa di cui abbia il possesso per ragioni di ufficio, la ceda, anche provvisoriamente, a terzi estranei all'amministrazione, perché ne facciano un uso al di fuori di ogni controllo della pubblica amministrazione. (Nella specie, la Corte ha ritenuto integrato il delitto di peculato in un'ipotesi in cui un vigile urbano aveva ceduto in più occasioni, fuori dai suoi orari di servizio, la radiotrasmittente, utilizzabile per le comunicazioni con la centrale operativa, al titolare di un'impresa di soccorso stradale, per consentirgli di conoscere gli incidenti che avvenivano nel territorio, di recarsi tempestivamente sui luoghi e di lucrare sul recupero dei mezzi coinvolti).

SENTENZA

CONSIDERATO IN FATTO
1. Con sentenza del 24.2.2012 la Corte di Appello di Torino - a seguito di gravame interposto dagli imputati - in parziale riforma della sentenza in data 10.12.2012 emessa dal G.U.P. del Tribunale di Torino, riqualificate le condotte di peculato come violazione dell'art. 323 c.p., esclusa la recidiva contestata a M.M. e MA.Lu. e concesse le circostanze attenuanti generiche a C.A., CR.Fr.Ch. e S. F., rideterminava la pena nei confronti di P. A., PR.Da., A.P., MA.Lu. e M.M., concedendo a C., CR., S. e MA. il beneficio della sospensione condizionale della pena; revocava la pena accessoria ex art. 317 bis c.p. inflitta a PR. e P., confermando nel resto la sentenza.

2. E' stato contestato a PR.Da. e P.A., agenti in servizio presso la Polizia Municipale di Torino, il delitto di peculato, e per il primo una correlata corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, in relazione alla cessione dell'apparecchio radio Tetra - assegnato agli agenti della polizia municipale per le comunicazioni riservate intercorrenti con la centrale operativa - ad alcuni titolari di imprese di soccorso stradale - il PR. anche dietro corrispettivo in denaro - nonchè il connesso delitto di cognizione fraudolenta di comunicazioni e conversazioni riservate avvenuta mediante tali apparecchi, aggravato dalla violazione dei doveri inerenti le funzioni dei pubblici ufficiali.
3. Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Torino deducendo inosservanza dell'art. 314 c.p. ed erronea applicazione dell'art. 323 c.p. in relazione alla intervenuta derubricazione della originaria accusa di peculato. Osserva il ricorrente pubblico, richiamandosi alle argomentazioni della prima sentenza, che la condotta ascritta agli imputati era quella di peculato il quale si consuma anche quando l'appropriazione - che si realizza con ogni forma di esercizio atipico del potere di disposizione con cui il pubblico ufficiale ponga in essere un'interversione del titolo del possesso del bene di cui ha la disponibilità in ragione del suo ufficio o servizio - non arrechi danno patrimoniale alla P.A., essendo comunque lesiva dell'interesse tutelato identificato nella legalità, imparzialità e buon andamento della P.A..
Osserva, ancora, che nella specie la condotta di cessione per la caratteristica intrinseca derivante dal fatto che il bene viene materialmente ceduto a terzi per consentire l'utilizzo di questi comporta una estromissione con caratteri di definitività giacchè il p.u. perde materialmente e giuridicamente la disponibilità del bene che esce dalla propria sfera di controllo.
4. Propongono ricorso gli imputati, personalmente e a mezzo dei difensori.
5. A.P. personalmente deduce erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione in relazione a:
5.1. qualificazione del fatto sub art. 323 c.p. in quanto per il ricorrente non vi è mai stato vantaggio patrimoniale, risultando la condanna esito di una deduzione neanche logica ed in assenza di riscontri;
5.2. omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche in prevalenza sulle contestate aggravanti, avendo omesso la Corte di considerare adeguatamente l'incensuratezza, il buon comportamento processuale, le ammissioni e l'obiettiva collaborazione prestata.
5.3. mancata determinazione della pena sui minimi edittali non risultando la pena adeguata al caso concreto.
6. Nell'interesse di PR.Da. si deduce:
6.1.erronea applicazione degli artt. 323 e 319 c.p. in quanto nessuno dei correi agiva nello svolgimento delle funzioni o del servizio - in quanto la titolare dell'apparecchio era fuori dal servizio ed i correi non agivano nella veste di agenti della polizia municipale - , nè tantomeno in violazione di norme di legge o regolamento - in assenza di qualsiasi normativa di tale rango che disciplinasse l'uso degli apparecchi radio. Inoltre, il denaro ricavato dalla consegna dell'apparecchio non aveva avuto come prestazione corrispettiva la commissione di un atto d'ufficio o contrario ai doveri d'ufficio, ma un atto del tutto estraneo all'ufficio.
6.2. inosservanza dell'art. 15 c.p. e art. 522 c.p.p. e mancanza di motivazione. Non si sarebbe ravvisato il concorso apparente di norme tra gli artt. 323 e 319 c.p. pervenendosi ad una ingiustificata duplicazione della pretesa punitiva; non vi sarebbe corrispondenza tra l'imputazione e la sentenza non essendo stato contestato il concorso formale ex art. 81 c.p., comma 1 in relazione al capo C).
Manca qualsiasi motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto di corruzione in assenza di qualsiasi prova su lesioni degli interessi della P.A..
6.3. Illogicità della motivazione in relazione all'omessa concessione delle attenuanti di cui agli artt. 114 e 323 bis c.p. in considerazione del mero ruolo di sostituibile intermediario svolto dall'imputato e dall'assenza di un danno patrimoniale alla P.A. ed alla scarsa intensità del dolo.
6.4. Erronea applicazione degli artt. 617 e 623 c.p. in relazione alla ritenuta procedibilità di ufficio del reato sub H) in ragione del ruolo meramente concorsuale attribuito al PR. ed al G. e della irrilevanza dell'ascolto da parte del privato.
7. Nell'interesse di P.A. si deduce:
7.1. erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione per il ritenuto abuso di ufficio (capo f) in relazione alla insussistenza nella specie della violazione di legge o regolamento, del vantaggio patrimoniale per sè o per altri in conseguenza dell'abuso, risultando - tra l'altro - l'imputato assolto dal delitto di corruzione, dell'esercizio delle funzioni risultando la radio consegnata al di fuori dell'orario di servizio.
7.2. erronea applicazione della legge penale e difetto di motivazione in ordine al capo h) risultando dagli accertamenti il disinteresse dell'imputato dell'effettivo utilizzo dell'apparecchio ceduto, peraltro assolutamente non provato, cosicchè insussistente doveva ritenersi la aggravante contestata e la correlata procedibilità di ufficio.
7.3. erronea applicazione della legge penale in ordine alla mancata concessione delle attenuanti di cui all'art. 62 c.p., n. 6 e art. 323 bis c.p.. Non poteva essere preclusa la prima attenuante perchè l'imputato non aveva ritenuto di non procedere al risarcimento del danno in costanza dell'accusa di corruzione dalla quale era stato poi assolto. Inoltre, la reiterazione della condotta non poteva ostare alla concessione della attenuante, dovendosi considerare il fatto nel suo complesso e verificatosi nell'arco di soli tre mesi e senza danno per l'ente pubblico.
8. Nell'interesse di M.M. e C.A. con identici motivi si deduce:
8.1. erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione per il ritenuto abuso di ufficio (capo f) in relazione sia al concorso in capo al ricorrente sia alla insussistenza nella specie della violazione di legge o regolamento, del vantaggio patrimoniale per sè o per altri in conseguenza dell'abuso, risultando - tra l'altro - l'imputato assolto dal delitto di corruzione, dell'esercizio delle funzioni risultando la radio consegnata al di fuori dell'orario di servizio.
8.2. Erronea applicazione della legge penale e difetto di motivazione in ordine al capo h) risultando dagli accertamenti il disinteresse dell'imputato dell'effettivo utilizzo dell'apparecchio ceduto, peraltro assolutamente non provato, cosicchè insussistente doveva ritenersi la aggravante contestata e la correlata procedibilità di ufficio.
8.3. erronea applicazione della legge penale in ordine alla mancata concessione della attenuante di cui all'art. 323 bis c.p. in quanto la reiterazione della condotta non poteva ostare alla concessione della seconda aggravante, dovendosi considerare il fatto nel suo complesso e verificatosi nell'arco di soli tre mesi e senza danno per l'ente pubblico.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso del Procuratore generale è fondato.
1.1. La Corte territoriale ha riqualificato le originarie condotte di peculato ascritte agli imputati, ed in ordine alle quali era intervenuta condanna in primo grado, nell'ambito della fattispecie di cui all'art. 323 c.p. ritenendo assente nella specie una condotta appropriativa che - secondo il Collegio - deve comportare una definitiva estromissione del bene dal patrimonio della P.A. mentre nei casi in esame il bene appartenente alla p.a. era "prestato" a terzi e prontamente restituito dopo ogni utilizzo. Difetterà anche il profilo psicologico del delitto ipotizzato, posto che nessuna interversione del possesso si era verificata in capo ai pp.uu., ben consci dell'appartenenza dell'apparecchio al loro ufficio. Secondo la Corte territoriale ricorre nella specie un indebito uso del bene che integra la figura delittuosa dell'abuso di ufficio non essendosi verificata la perdita del bene e la conseguente lesione patrimoniale in danno dell'avente diritto. L'accertata utilizzazione di beni della p.a. per finalità estranee a quelle alle quali erano stati adibiti - prosegue la sentenza - integra il requisito della doppia ingiustizia, rappresentando nella sua oggettività offesa all'interesse protetto.
1.2. Osserva il Collegio che l'elemento oggettivo del reato di peculato consiste nell'appropriazione, la quale si realizza con una condotta del tutto incompatibile con il titolo per cui si possiede, da cui deriva una estromissione totale del bene dal patrimonio dell'avente diritto con il conseguente incameramento dello stesso da parte dell'agente. L'elemento soggettivo consiste, invece, nel mutamento dell'atteggiamento psichico dell'agente nel senso che alla rappresentazione di essere possessore della cosa per conto di altri succede quella di possedere per conto proprio (Sez. 6, Sentenza n. 381 del 12/12/2000 Rv. 219086, Genchi e altri).
1.3. Nella specie, è incontestata la ricostruzione dei fatti secondo la quale gli imputati pubblici ufficiali consegnavano ripetutamente a privati ed al di fuori dei turni di servizio gli apparecchi radio in loro esclusiva dotazione per le riservate comunicazioni di servizio al fine di consentire agli stessi privati - titolari di ditte di soccorso stradale - di ascoltare le comunicazioni stesse che segnalavano sinistri stradali onde portarsi tempestivamente sul posto e - in applicazione della accettata prassi che attribuiva il recupero dei mezzi coinvolti alla ditta che per prima si portava sul posto - lucrare su detto recupero. Risulta parimenti incontestata - con riferimento alla sola posizione del PR. - la corresponsione di un prezzo settimanale per la cessione di tali apparecchi, in tal modo oggetto di un illecito "noleggio".
1.4. Ritiene il Collegio che la Corte territoriale abbia erroneamente negato nella specie l'appropriazione costitutiva del delitto originariamente contestato, come pure il correlato elemento psicologico.
1.5. Si versa nella ipotesi in cui oggetto della condotta materiale sono cose di specie nell'ambito della quale la appropriazione si è manifestata con la condotta uti dominus del pubblico ufficiale che, detentore nomine alieno dell'apparecchio, ha effettuato la traditio dell'apparecchio medesimo a terzi estranei, destinandolo ad una finalità illecita ed al di fuori di ogni controllo della P.A..
La pattuizione circa la restituzione dell'apparecchio e la verificazione di questa da parte del cessionario al termine del periodo di consegna non possono essere considerate nè per negare la estromissione del bene dalla P.A., nè per affermare l'uso momentaneo di esso in quanto la prima è di natura illecita e, pertanto, improduttiva di effetti giuridici vincolanti, e , tra questi, di quello alla restituzione.
1.6. Nell'ambito di questa ricostruzione il danno è in re ipsa, dato che la traditio ha spogliato definitivamente la P.A. e che, quindi, la restituzione è un post factum alla già avvenuta consumazione del reato.
2. Il profilo esaminato assorbe ogni altro aspetto sollevato dai ricorsi degli imputati in ordine ai capi C) ed F) imponendo l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino per nuovo giudizio.
3. Quanto alle doglianze difensive mosse da tutti gli imputati ricorrenti in relazione al capo H) della rubrica, esse sono infondate.
3.1. Del tutto corretta è la motivazione sul punto della sentenza gravata in quanto non v'è dubbio che l'ascolto fraudolento sanzionato è quello delle comunicazioni e conversazioni riservate, facenti capo alla centrale operativa della Polizia municipale e che avvenivano tramite il sistema TETRA, che i pubblici ufficiali hanno concorsualmente consentito ai privati per questo cedendo loro gli apparecchi, violando i loro doveri funzionali correlati alla riservatezza delle comunicazioni che intervenivano sulla rete.
3.2, Inammissibile per genericità è la deduzione sul medesimo capo svolta nell'interesse di P. e M. allorquando deduce senz'altro l'assenza di prova in ordine alla effettiva captazione delle comunicazioni di servizio, in presenza di una consegna dell'apparecchio unicamente e specificamente volta alla predetta captazione.
4. In relazione al ricorso nell'interesse di A.P., restano assorbiti i motivi circa l'omessa ritenuta prevalenza delle attenuanti generiche e la quantificazione della pena.
5. In relazione al ricorso nell'interesse di PR.Da., restano assorbiti i motivi relativi al concorso apparente tra le fattispecie ex art. 323 e art. 319 c.p., alla omessa giustificazione del delitto corruttivo ed alla omessa concessione delle attenuanti di cui all'art. 114 c.p. e art. 323 bis c.p..
6. In relazione al ricorso nell'interesse di P.A. restano assorbiti i motivi in ordine alla omessa concessione della attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6 e art. 323 bis c.p..
7. In relazione ai ricorsi nell'interesse di M.M. e C.A. restano assorbiti i rispettivi motivi in ordine all'omesso riconoscimento dell'attenuante ex art. 323 bis c.p..
P.Q.M.

In accoglimento del ricorso del Procuratore generale, qualificati i fatti di cui ai capi C) ed F) come reato ex art. 314 c.p., comma 1, annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino. Rigetta gli altri ricorsi e condanna i relativi ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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