mercoledì 14 dicembre 2011

Soluzione prima traccia parere penale esame avvocato 2011/2012

di Filippo Lombardi

La fattispecie indicata nella traccia deve innanzitutto essere analizzata dal punto di vista oggettivo, scindendo due momenti rilevanti, che rendono visibili due potenziali ipotesi di reato:
A) Il Sempronio utilizza una connessione internet dell’ufficio di appartenenza per mandare una e-mail per fini privati dal proprio ufficio.
B) Il Sempronio, peraltro attraverso il raggiro relativo al conferimento di un numero di procedimento non valido al fine di supportare il falso intento di perseguire reati, manda una e-mail istituzionale per ottenere un vantaggio economico per la propria consorte, titolare della scuola guida.

Considerando l’ipotesi sub A, ci si deve porre il problema dell’applicazione del reato di Peculato ex art. 314 c.p.. Se il maresciallo si trova sul luogo di lavoro e utilizza in maniera non conforme ai propri doveri la connessione internet, si può configurare il reato in questione poiché il soggetto ha per ragione del suo ufficio la disponibilità di cosa mobile (connessione internet – che è energia e quindi cosa mobile). A ben vedere l’ipotesi di cui alla lettera A potrebbe essere più complessa di quanto appare, poiché il concetto di appropriazione contenuto nell’art. 314 c.p. rileverebbe in questo caso più come distrazione, la quale è intesa come condotta diretta a utilizzare per uno specifico fine una cosa destinata ad un fine difforme. Attività, quella della distrazione, che è considerata in maniera contraddittoria dalla giurisprudenza. Alcuni riterrebbero infatti che la distrazione sia generalmente contenuta nel concetto di appropriazione ( e quindi darebbe vita al peculato), mentre altri ritengono che il principio sia valido solo in caso di distrazione al fine di profitto proprio (e.g. sent. Tribunale Vallo della Lucania 23 marzo 1995), e che in caso di distrazione al fine di profitto di terzi sia invocabile l’art. 323 c.p. sull’abuso d’ufficio. Pare evidente constatare che nel caso concreto il rapporto di coniugio causerebbe un profitto indirettamente allo stesso Sempronio, e direttamente alla moglie titolare della scuola guida con la conseguente possibilità di riportare il concetto di distrazione sotto l’alveo del peculato, poiché ci sarebbe comunque un fine di profitto proprio. Sul punto comunque le opinioni sono discordanti e parte della giurisprudenza esclude a priori la distrazione dal peculato e la inserisce nel suddetto art. 323 c.p..  Il problema è per alcuni risolto quando la distrazione si accompagna alla momentaneità dell’uso, poiché in questo caso ben potrebbe essere applicato il secondo comma dell’art. 314 (c.d. peculato d’uso).
Dal tenore letterale della fattispecie così riportata nella traccia, sorge dubbio sul compimento dell’attività sul luogo di lavoro. Nulla vieta di ritenere che il soggetto si sia potuto sì connettere con l’account e-mail dotato di dominio della p.a. di appartenenza, ma dalla propria abitazione o da altro luogo privato. Normalmente, infatti, gli account email istituzionali richiedono semplicemente un log-in attraverso un portale predefinito, che fa capo all’amministrazione di appartenenza, e non l’accesso obbligato da computer della p.a. (salvo utilizzo di rete interna ‘intranet’).  Se questa obiezione fosse vera, dovremmo scartare senza ombra di dubbio la persistenza della fattispecie di peculato, poiché mancherebbe l’oggetto materiale del reato, e concentrarci solo sulla ipotesi sub B.
Ma pur volendo considerare che il soggetto abbia compiuto il fatto sul luogo di lavoro, e dovendo perciò fare i conti con l’art. 314, dovremmo ritenere suscettibile di applicazione, come già chiarito, il comma secondo dell’articolo, che fa riferimento all’uso momentaneo della cosa. Certamente, infatti, il maresciallo ha fatto momentaneamente uso della cosa poiché la stessa è stata usata solo per la richiesta di invio degli elenchi e successivamente è stata ( come è lecito ritenere) utilizzata nuovamente per scopi facenti capo all’amministrazione e non più al maresciallo inteso come privato cittadino.

Passando all’analisi dell’ipotesi sub B, si deve chiarire che essa comporterebbe prima facie la considerazione dell’articolo 323 c.p., sull’abuso d’ufficio, in quanto ne sussistono gli elementi: il pubblico ufficiale, attraverso l’uso di un account e-mail utilizzabile solo nell’espletamento di compiti istituzionali ( e quindi nello svolgimento delle proprie funzioni) non si astiene dinanzi ad un interesse di un prossimo congiunto e tenta di procurare al proprio coniuge un vantaggio economico, vantaggio che, ove si fosse verificato, avrebbe al contempo causato un contestuale danno economico in capo alle altre autoscuole.
Viene quindi in considerazione l’articolo 323 c.p. non certo come reato consumato, bensì al mero livello di tentativo, poiché l’intervento del superiore e il comportamento del Sempronio, concretizzatosi nella confessione, hanno certamente bloccato l’evolversi della situazione ed evitato il verificarsi dell’evento consistente nel vantaggio per sé (o altri) o nel danno per altri. Il tentativo, d’altronde, è secondo lo scrivente pienamente realizzato, poiché in assenza di qualunque scopo istituzionale l’attività del Sempronio era diretta in maniera idonea e non equivoca al fine personale. L’idoneità è palese, poiché ottenendo i nominativi dei maggiorenni sarebbe stato possibile la comunicazione degli stessi alla propria moglie al fine di inviare pubblicità. La non equivocità è presente poiché si può secondo l’id quod plerumque accidit ritenere che a null’altro sarebbe stata indirizzata l’attività del de cuius se non all’agevolazione dell’autoscuola del proprio coniuge.

Dalle considerazioni appena espresse sorge però come questione rilevante il rapporto tra il peculato e l’abuso d’ufficio. Nella fattispecie de qua, i reati sembrano entrambi sussistere, poiché il vantaggio non è conseguito dal maresciallo attraverso l’appropriazione in sé ( se così fosse non ci sarebbero dubbi sulla sola applicabilità dell’ipotesi di peculato), bensì sarebbe stato conseguito attraverso un’operazione di pubblicità resa possibile dal comportamento (in buona fede) collaborativo del Comune.
A ben vedere però, la giurisprudenza ha assunto negli ultimi anni un comportamento molto garantista nei confronti dei dipendenti pubblici che usano la connessione internet della pubblica amministrazione, nei casi in cui il danno sia di lieve entità. La Cassazione infatti ha considerato l’uso della connessione flat dell’ufficio un uso che produce un danno impercettibile alla p.a. , che fa venir meno la stessa rilevanza punitiva del reato di peculato (si veda sentenza Corte Cass. 41709 del 25 novembre 2010).
L’atteggiamento della giurisprudenza risolve un grave dubbio riguardo all’applicazione di un eventuale concorso di reati ( che molto probabilmente si sarebbe evoluto verso un concorso apparente di norme o quanto meno di una continuazione ben potendo immaginare i due reati come l’uno necessariamente compiuto ai fini di compiere l’altro, dando vita eventualmente ad un assorbimento del meno grave nel più grave, proteggendo le due norme lo stesso bene giuridico, e qualificandosi l’abuso d’ufficio come una sorta di post-factum non punibile). Ma stante l’orientamento giurisprudenziale della S.C., di conseguenza risulterà applicabile solo l’articolo 323 c.p. in combinato disposto con l’art. 56 c.p. (tentato abuso d’ufficio).

Nel computo della pena sarà possibile considerare l’attenuante della particolare tenuità del fatto, ex art. 323 bis, avendo il comportamento del Sempronio solo scalfito il bene giuridico protetto dalla norma sull’abuso d’ufficio. E durante l’applicazione dell’art. 133 c.p. il giudice considererà certamente la collaborazione del maresciallo, il quale manifesta un ravvedimento, utile anche al fine dell’applicazione di eventuali pene sostitutive o della sospensione condizionale della pena.

14 commenti:

  1. Salve, a mio avviso andrebbe citata anche la recentissima sentenza della Corte di Cassazione penale, la quale ribadisce il principio di diritto che fonda la differenza tra peculato ed abuso d'ufficio nella risoluzione di un caso analogo alla traccia del compito odierno. Si tratta della sent. 20094 del 4 maggio 2011 (Cass. penale sez. VI). In essa si legge che "la violazione dei doveri d'ufficio riconducibile al peculato costituisce esclusivamente la modalità della condotta, cioè dell'appropriazione; mentre nel delitto di abuso d'ufficio, delitto a carattere sussidiario, la condotta si identifica con l'ABUSO FUNZIONALE, cioè con l'esercizio delle potestà e con l'uso dei mezzi inerenti ad una funzione pubblica per finalità differenti da quelle per le quali l'esercizio del potere è concesso, e finalizzate, mediante attività di rilevanza giuridica o comportamenti materiali, a procurare un vantaggio patrimoniale per sé o per altri". (Nel caso concreto il p.u. aveva utilizzato un fax).

    L'altro elemento in cui la traccia differisce dal caso concreto esaminato della sent. sopra citata, riguarda la precisazione dell'utilizzo da parte del maresciallo Sempronio, della propria casella di posta, con la specificazione "non certificata". Questo fattore è importante per escludere che si tratti del reato di falsità in scrittura privata ex art. 485 cp. Questo perché secondo il Codice dell'Amministrazione Digitale (D.Lgs. 82/2005), solo la posta virtuale recante firma elettronica qualificata o firma digitale, assume la valenza probatoria tipica di scrittura privata sottoscritta con firma autografa.
    La condotta dell'agente non integra perciò un'ipotesi di falso ideologico, escludendosi qualsiasi ipotesi di concorso. Di più, anche se le attestazioni non veritiere di Sempronio avessero integrato anche il reato di falso ideologico, andrebbe comunque precisato che le due fattispecie offendono beni giuridici distinti. Il primo mira a garantire la genuinità degli atti pubblici e la fede pubblica riposta nella loro circolazione, mentre il secondo tutela l'imparzialità ed il buon andamento della P.A. Come si può evincere proprio dalla traccia in questione, il falso, nelle attestazioni non veritiere, ben avrebbe potuto sussistere come nesso teleologico (in quanto il falso può essere consumato per commettere abuso di ufficio ex art. 323 cp), tuttavia la condotta dell'abuso d'ufficio certamente non si esaurisce né coincide con quella del falso (cfr. sent. Cass. penale sez. V 3349/2000).

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  2. Considerando che più che un'infrazione dell'art. 485 cp, in questo caso Sempronio avrebbe rischiato di essere imputabile anche ex art. 478, ossia falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in copie autentiche di atti pubblici o privati e in attestati del contenuto di atti.

    co2 Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a otto anni.

    La traccia è comunque molto interessante.

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  3. Ringrazio tantissimo LT per le precisazioni e il riferimento alla sentenza della cassazione!

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  4. A mio modestissimo parere, alla soluzione della recente sentenza del 4 maggio 2011, n. 20094 (Cass. pen.) s ipoteva pervenire attraverso il prcetto normativo istituito dalla legge speciale del 16 luglio 1997, n. 234, che ha novellato la formulkazione della'art. 323 c.p. ove all'art. 1 della suddetta legge viene statuito che sussiste il reato solamente se, per effetto dellindebita condotta posta in essere dall'agente mediante un comportamento tipico, il p.u.o l'incaricato di un pubblico servizio abbiano effettivamente procurato a sè o ad altri un danno ingiusto, i quali devono essere specificamente voluti dallo stesso agente e debbono essere posti in essere in rapporto di diretta, ancorchè non esclusiva, derivazione dalla violazione di norme ovvero dalla violazione el divieto di astensione. In mancanza il reato non potrà dirsi consumato, potendo risultare, tuttavia, configurabile il tentativo punibile, ricorrendone tutti i presupposti e le condizioni di cui all'art. 56 c.p.
    In questo modo si poteva introdurre l'istituto giuridico del tentativo, p.e p. dall'art. 56, disquisendo sulla definizione di atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il delitto e, pertanto, concludendo per la configurabilità della fattispecie giuridica del delitto tentato di abuo di ufficio dal momento che anche l'idoneità e la non equivocità dell'atto di Sempronio è facilmente riscontrabile dall sua confessione resa nella memoria scritta, indirizzata al P.M., dalla quale altresì di evince chiramente l'intento doloso concernente il vantaggio economico che pretendeva, con la propria condotta illlecita, di realizzare in proprio favore e pertanto in favore della propria consorte a discapito del buon andamento della p.s. e concorrente alla deminutio patrimoni di tutti quei privati che si vedono lesi i propri diritti peraltro costituzionalmente garantiti.
    Dal tenore della traccia si intuiva anche che l'evento non si era realizzato per l'intervento esterno del superiore del mafesciallo (il comandante) e quindi per una volontà esterna del soggetto agente (sempronio).

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  5. si troviamo a sempronio un imputazione anche perchè respira. il parere deve essere semplice chiaro e scorrevole; molto calzante il modello sub b. Per me il parere andava affrontato così: bervi cenni in tema di reato tentato, abuso d'ufficio e differenze col peculato. la questione giuridica consiste nello stabilire se sempronio debba rispondere del reato di abuso d'ufficio nella forma del tentativo per aver utilizzato indebitamente la propria casella di posta elettronica, sebbene non certificata, tenuto conto, altresì, della confessione resa.

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  6. "A mio modestissimo parere, alla soluzione della recente sentenza del 4 maggio 2011, n. 20094 (Cass. pen.) s ipoteva pervenire attraverso il prcetto normativo istituito dalla legge speciale del 16 luglio 1997, n. 234, che ha novellato la formulazione della'art. 323 c.p. ove all'art. 1 (..)"

    Sono d'accordo con Anonimo su questo punto: effettivamente questo intervento legislativo ha introdotto una trasformazione della figura criminosa molto importante, rendendola da reato a consumazione anticipata e a dolo specifico, in reato di evento e a dolo generico (intenzionale).

    Ciò comporta quindi che non è da penalizzare qualsiasi azione amministrativa che abbia avuto come risultato un ingiusto vantaggio patrimoniale, ma piuttosto è perseguibile penalmente ogni condotta contraddistinta da un FAVORITISMO nei confronti del beneficiario (in questo caso Sempronio sfrutta la sua posizione qualificata e privilegiata per favorire la moglie Caia).

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  7. Ricondurre in maniera così inequivocabile il comportamento di Sempronio all'abuso di ufficio, pare francamente superficiale.
    Nell'abuso d'ufficio, infatti, è necessario che il soggetto agente operi nell'esercizio delle sue funzioni o del suo servizio.
    Le funzioni saranno quindi quelle istituzionali (incarichi), il servizio può essere invece inteso come "l'ambito del servizio lavorativo".
    Non perché è maresciallo dei Carabinieri è possibile affermare che Sempronio si trovi sempre nella condizione di servizio.
    Orbene, la traccia in esame così recita: "...avvalendosi della propria casella di posta elettronica non certificata, con dominio riferito al proprio ufficio e accesso riservato, mediante password...".
    Sempronio avrebbe astrattamente potuto inviare la e-mail, senza valore certificativo, ma a lui riconducibile, da qualsiasi terminale collegato ad internet (anche all'estero), e magari in un giorno di ferie.
    Dagli elementi contestati a Sempronio, quindi, non può certo discendere la certezza inequivocabile che la sua condotta configuri la fattispecie tassativamente prevista dalla norma per ascrivere al soggetto il reato di cui all'art. 323 c.p.
    In tal senso sembrerebbe ipotizzabile la truffa aggravata naturalmente nella sua forma tentata.

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  8. L'ipotesi della truffa aggravata è avvincente ma errata. Per vari motivi:

    1. Pur non dicendo la traccia se il maresciallo si trovasse a casa o al lavoro , durante l'uso della casella di posta elettronica, sembra più normale pensare che si trovasse in ufficio, poiché sarebbe impossibile per il proprio superiore venire a conoscenza dell'accaduto se il soggetto si fosse trovato a casa. Quindi è più plausibile ritenere che fosse nell'esercizio delle proprie funzioni.

    2. Seppure si fosse trovato a casa mentre mandava l'email, ritengo che il comportamento di un maresciallo che in ambito privato utilizzi la propria qualifica pubblica per ottenere vantaggi personali, leda anche il buon andamento e la imparzialità della p.a., poiché può ingenerare il pericolo per cui ogni dipendente pubblico (o pubblico ufficiale) potrà utilizzare occultamente la propria qualifica per fini propri, ledendo il buon nome dell'ufficio. Di conseguenza non può essere punito attraverso una fattispecie come la truffa che invece protegge solo il patrimonio latu sensu. Si tratterebbe di una fattispecie tendenzialmente giusta letteralmente, ma che preserva meno beni giuridici rispetto a quelli effettivamente lesi.

    3. Se è vero ciò di cui al punto n. 2, si nota come lo stesso comportamento artificioso risulta assorbito nella norma di cui all'art. 323 c.p., in virtù del principio per cui, essendoci un reato commesso al fine di commetterne un altro, va punito il reato che si rivolge contro il bene giuridico di rango maggiore (in questo caso art. 97 cost, e non il Patrimonio peraltro non specificamente individuato bensì di soggetti passivi ignoti/indefiniti)

    4. La Corte di Cassazione ha emanato quest'anno una sentenza la cui massima è :
    Integra il delitto di tentato abuso d'ufficio, e non quello di peculato, la condotta di un ispettore della Polizia di Stato che, utilizzando il "fax" in dotazione dell'ufficio, richieda all'A.C.I. notizie ed informazioni sulle autovetture di lusso immatricolate in una data provincia, al fine di procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale al coniuge, procacciatore d'affari presso un'agenzia di assicurazioni, che avrebbe potuto ottenerle solo previo pagamento (evento non verificatosi per l'intervento dei superiori che avevano intercettato il "fax".

    Ne consegue che la situazione descritta nella traccia è sovrapponibile alla situazione sulla quale ha statuito la S.C., se si sostituisce la connessione internet al fax, e che quindi si tratti di ABUSO D'UFFICIO.

    A supporto di ciò, si noti come viene argomentata la prima traccia dagli esperti di ALTALEX, i quali giungono seppur in maniera più approfondita, alla stessa conclusione dell'applicazione del 323 e 323 bis.

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  9. Le argomentazioni suddette non definiscono alcun elemento utile a configurare la condotta di Sempronio come avvenuta nell'ambito del suo servizio.
    Rispetto al punto 1:
    La traccia nulla dice circa le modalità con il cui Sempronio viene scoperto dal suo superiore.
    Verosimilmente il comandante avrà "casualmente" potuto leggerle la mail nella cartella "posta inviata" dal computer del maresciallo in un momento successivo all’invio.
    Non certo perché Sempronio l'abbia scritta in sua presenza.
    Ogni altra ricostruzione della vicenda appare forzata e costruita strumentalmente ad un certo risultato.
    Per quanto al punto 2:
    L'ipotetica lesione dell'imparzialità e del buon andamento della P.A. per come sopradescritta rappresenta l’evento (conseguenza) dell'azione di Sempronio, non può certo rappresentare uno degli elementi della condotta necessari ad integrare il reato di abuso di ufficio.
    Rispetto al punto 3:
    Nessun reato inesistente, nel nostro caso perché privo di uno dei suoi elementi essenziali, può assorbirne un altro.
    Sulla sentenza della Suprema Corte di cui al punto 4:
    La citata sentenza tratta di un caso nel quale un agente di polizia utilizza il fax dell’ufficio ove presta servizio.
    Nel caso descritto, quindi, sia il valore di certificazione (e quindi di atto pubblico) del fax, sia il fatto che sia stato spedito da una centrale di polizia durante il servizio, permettono senz’altro di configurare la condotta di cui all’art. 323 c.p.

    Ciò detto, si sottolinea come non sia possibile dare per “non corretta” una delle possibili interpretazioni di un caso, volutamente costruito per non avere una soluzione univoca.

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  10. La ringrazio per la Sua delucidazione, ma rimango del parere che ho precedentemente espresso. Come Lei ha ben detto alla fine di questo ultimo Suo commento, il caso è probabilmente configurato in modo da non apparire univoco. Ma a ben vedere il dubbio è solo sulla configurabilità del peculato (che secondo la Cassazione non esiste per l'esiguità del danno al patrimonio della p.a. di appartenenza). Sull'abuso d'ufficio non vi sono assolutamente dubbi, poiché la fattispecie sussiste sia nel caso in cui il soggetto si trovi sul luogo di lavoro, sia se si trovi nella propria abitazione. L'indirizzo email altro non è che un "prolungamento" , una "estensione" dell'identità della persona, e nel momento in cui è una email istituzionale, connota la funzione pubblica del soggetto a cui si riferisce. Se mia madre che è professoressa manda una email istituzionale da casa fuori dall'orario di lavoro, l'email connota comunque uno svolgimento di funzione certamente non privata, poiché fa USO (abUSO) della sua identità professionalmente rilevante. Ecco perchè ritengo che il maresciallo abbia agito nelle sue funzioni in entrambi i casi.
    Rispetto alla Sua considerazione sul mio precedente punto 3, devo ammettere che mi sono spiegato male. Intendo dire che io parto dalla considerazione dell'esistenza della funzione pubblica e del fine di vantaggio per il coniuge, e quindi ammetto l'esistenza dell'abuso d'ufficio. Quindi, partendo da questo presupposto, sono portato a considerare la condotta truffaldina solo come componente della forma libera di cui gode la struttura del 323 (quindi per me il comportamento truffaldino è in senso atecnico "assorbito" dal 323), e non come reato autonomo, che Lei invece evidenzia.
    Ad ogni modo, rispettabilissima la Sua opinione. Saluti, Filippo.

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  11. Salve.
    Sono anch'io dell'idea che si potesse configurare meglio (rispetto al peculato o all'abuso d'ufficio) il reato di truffa con alcune precisazioni.
    Premesso che la cassazione e' una "buona copertura" per motivare le proprie argomentazioni ma, ogni caso, per quanto simile, può variare e, spesso, le sentenze della cassazione sono in contrasto fra loro e vengono superate da altre piu' recenti.
    Quindi:
    1) configurare il reato di abuso solo per aver inviato una e-mail dall'ufficio e' assai banale.
    Sarebbe come voler accusare qualcuno per furto di un acino d'uva. La e-mail richiede qualche secondo (per chi e' pratico) sia come scrittura che come invio.
    Non ha prezzo economico, essendo i computer sempre accesi e internet in, praticamente tutti gli uffici pubblici.
    2) il fine di Sempronio e' quello di voler raggirare la pa per un falso ordine di un autorità (la procura o, comunque, la pg) con l'artificio di un procedimento penale.
    3) la pa, infatti, in prospettiva avrebbe adempiuto (accade normalmente così (sono pieni i fascicoli penali di certificati anagrafici richiesti dalla pg al comune).
    4) il vero danno sarebbe stato causato alla pa (comune) che avrebbe dovuto compiere un lavoro ingiusto finalizzato al profitto della coniuge di Sempronio (pubblicità mirata e gratuita
    5) quanto al falso e' appena io caso di dire che non regge come giustamente motivato dalla soluzione
    6) pertanto la e-mail e' strumentale al raggiro che Sempronio voleva porre in essere (sarebbe stato un po' banale a mio avviso concentrarsi sull'utilizzo improprio di un computer per pochi istanti, peraltro non e' la prima volta che l'estensore ministeriale fa di questi tranelli.
    7) il fatto che Sempronio sia carabiniere e venga mandata una e-mail dall'ufficio non dove ingannare (a mio avviso) perché non stava svolgendo alcun compito istituzionale (il comandate ha appurato che quel procedimento era solo un pretesto, diverso sarebbe stato se, inerentemente a quel procedimento avesse dovuto ottenere altri dati dal comune e, al tempo stesso, si fosse avantaggiato).
    8) la truffa prevede due aggravanti nn1-2 che, guarda caso, si incastravano benissimo sl caso di specie.
    9) da ultimo per il fatto che probabilmente il comandate aveva fermato tempestivamente il raggiro , come ben osservato da prospettare una tentata truffa ai sensi del combinato 56+640, seppur aggravata.
    10) ottimo anche prospettare una soluzione con i benefici previsti per legge (condizionale).

    Questo e', con certezza, solo una delle ipotesi di soluzione, perché la traccia poteva essere risolta in più modi. L'importante e', in definitiva, dare contezza delle proprie tesi.
    Inoltre complimenti a chi l'ha scelta, ha dato prova di coraggio proprio per la complessità delle stessa che permette più soluzioni.

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  12. Salve, cerco di risponderLe in base ai punti da Lei evidenziati.

    1) Lei confonde l'abuso d'ufficio col peculato. L'argomentazione fornita da Lei al numero 1 sarebbe valida se Lei parlasse di peculato. Ma seppure Lei intendesse dire "peculato" al posto di "abuso d'ufficio", il numero 1 non apporterebbe nulla di nuovo al contenuto della soluzione data alla traccia, in quanto ho evidenziato nella trattazione come il peculato NON ESISTA, proprio in base alle argomentazioni che Lei fornisce parlando erroneamente di abuso d'ufficio.

    2) Il fine di Sempronio non è assolutamente quello di raggirare la P.A., bensì quello di ABUSARE della sua qualifica al fine di profitto. E nemmeno il comune Delta può essere configurato come soggetto passivo della truffa. Al massimo può essere configurato come soggetto passivo della truffa (che per me continua a non esistere) il MERCATO DI TUTTE LE RESTANTI AUTOSCUOLE.

    3) Non ho compreso COSA avrebbe adempiuto la p.a.

    4) La p.a. non avrebbe dovuto compiere alcun lavoro. Il fine del maresciallo era quello di agire di nascosto dalla p.a., quindi a maggior ragione il maresciallo non voleva onerare la p.a. di alcunché.

    5) D'accordo con Lei.

    6) la e-mail è solo il modo con cui il maresciallo vuole raggiungere il vantaggio per la moglie. Appartiene alla forma libera del 323. Il periodo tra parentesi nel Suo numero 6 confonde nuovamente l'abuso d'ufficio col peculato.

    7) Un soggetto che utilizza un prolungamento dell'identità personale (qual è l'indirizzo email), professionalmente rilevante (perchè ha il dominio della p.a.), sta sostanzialmente svolgendo un compito istituzionale. Cioè non agisce per fini privati ma automaticamente pubblici.

    8) Non considerando l'ipotesi della truffa, mi viene da scartare ovviamente l'applicazione delle aggravanti a cui Lei fa riferimento.

    9) Non considerando l'ipotesi di truffa, escludo ovviamente il combinato col del 640 col 56.

    10) D'accordo con Lei.


    Le porgo cordiali saluti e La ringrazio per il Suo intervento, che comunque suggerisce un'impostazione curiosa di cui prendere atto.

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  13. volevo chiedere sostenere il concorso formale trai due reati di falso ideologico e abuso di ufficio è sbagliato? Affermando che sia applicabile il tentativo di abuso di ufficio in relazione alla circostanza del nesso teleologico è sbagliato? la sentenza del 2000 in sostanza sostiene che vi sia tentativo di abuso di ufficio.

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