martedì 28 dicembre 2010

Sulla responsabilità penale del proprietario (committente) che affida lavori edili in economia a lavoratore autonomo.

Cassazione penale, sez. IV, 1 dicembre 2010, n. 42465.

La questione giuridica affrontata nelle sentenza in esame è quella di stabilire se il proprietario di un appartamento che affida lavori di ristrutturazione ad un lavoratore autonomo si trovi, o meno, nella stessa posizione di garanzia che l’ordinamento riconosce al datore di lavoro nei confronti di un lavoratore subordinato. Da una soluzione nell’uno o nell’altro senso dipende per il proprietario, in caso di morte del lavoratore, la sua responsabilità per omicidio colposo, ai sensi dell’art. 589 c.p..
Il caso è quello di Tizio a cui viene contestato di aver cagionato per colpa la morte di Caio perché, in qualità di committente di lavori edili da svolgersi nella sua abitazione, consentiva a Caio, da lui incaricato, di svolgere i detti lavori in assenza di qualsiasi cautela atta a scongiurare i rischi di caduta dall’alto (le indagini avevano individuato lo svolgimento di attività lavorativa ad altezza superiore ai metri due), sicché il Caio, in occasione del lavoro assunto, precipitando da una impalcatura non munita di parapetti con le cautele di cui all’art. 27 DPR 27/4/1955 n. 547 e non essendo provveduto di cintura di sicurezza, veniva a morte.
Tizio veniva ritenuto responsabile in primo e secondo grado del delitto di cui all’art. 589 c.p., avendo svolto i lavori in economia senza avere preventivamente verificato la idoneità del lavoratore non iscritto in alcun albo artigiano o ad alcuna lista della Camera di commercio, senza nominare un direttore dei lavori e dunque assumendosi interamente il maggior rischio di una così fatta organizzazione.
La Cassazione, che conferma integralmente la sentenza impugnata, chiarisce la indivisibilità di tutele apprestate al lavoratore subordinato e al lavoratore autonomo, con conseguente equiparazione della posizione di garanzia del datore di lavoro e del proprietrio-commitente.
La Corte rileva che la unitaria tutela dei diritto alla salute indivisibilmente operata agli artt. 32 Cost., 2087 c.c., 1 co. 1° L. 23/12/1978 n. 833 impone la utilizzazione dei parametri di sicurezza stabiliti espressamente per i lavoratori subordinati nell’impresa, per ogni altro tipo di lavoro.
Tale indivisibilità delle tutele è evidente nella loro progressiva estensione a forme di lavoro equiparate e a situazioni di istruzione (art. 3 co. 2 DPR 547/1955) e nella progressiva amplificazione del campo di applicazione delle norme antinfortunistiche anche oltre la organizzazione di impresa (artt. 1 e 2 D.Lvo 19/9/94 n. 626) fino all’esercizio dell’artigianato (artt. 1 e 4 del DPR 30/6/1965 n. 1124 come inciso da Corte Cost. 26/7/1988 n. 880) agli associati in partecipazione (art. 4 sopra menzionato come inciso da Corte Cost. 15/7/1992 n. 332).
In una lettura diacronica della legislazione alluvionale in tema di tutela della salute (e dunque di perimetrazione delle posizioni di garanzia identificabili nel sistema delle leggi) la Suprema Corte (Cass. Pen. Sez. IV ud. 10/11/2009 Gazzotti e altri imp.) ha già affermato che le misure apprestate dal D.Lvo 19/9/1994 n. 626 a tutela della salute per la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro, in tutti i settori di attività privati e pubblici, costituiscono il sistema di protezione più ampio che la strumentazione giuridica attraverso i suoi metodi definitori possa realizzare.
Invero il D.Lvo 626/1994 appresta protezione per il diritto alla salute e per la sicurezza dei lavoratori dipendenti di un imprenditore che svolgono attività di lavoro nell’ambito della sua organizzazione di impresa, per i lavoratori impiegati da imprese appaltatrici che lavorino all’interno di una azienda o di una unità produttiva, per i lavoratori autonomi affidatari di lavori all’interno di una azienda o di una sua unità produttiva ex art. 7 D.Lvo 626/1994. La legge penale modula dunque la figura del datore di lavoro e la assunzione di obbligazioni di garanzia coerenti alle tutele di legge, su una pluralità di modelli di lavoro in settori pubblici e privati, di lavoro subordinato direttamente utilizzato e di lavoro subordinato contrattato con terzi, di lavoro subordinato e di lavoro autonomo certamente eccedente la sola figura del lavoro subordinato come è fatto chiaro dalla lettera dell’art. 7 del D.Lvo 626/1994 e come, a livello di assetto di sistema, consegue alla moltiplicazione delle forme di lavoro introdotta con la legislazione dei primi anni 2000 (a partire dai Decreti Legislativi del settembre 2003).
 La formula utilizzata dal D.Lvo. 626/1994 supera la ristrettezza della definizione della rubrica dell’art. 3 del DPR 27/4/1955 n. 547 che, peraltro, nella combinazione (art. 3 co. 1 e co. 2 dello stesso DPR) tra definizione di lavoratore subordinato e lavoratore equiparato al lavoratore subordinato agli effetti della applicazione della normativa antinfortunistica, già dal 1955 evidenzia la erroneità della tesi di diritto secondo la quale l’ordinamento positivo italiano appresta la tutela della salute per i soli lavoratori subordinati.
In ogni caso la costante giurisprudenza della Cassazione ha tenuto ben fermo che per chiunque gestisce imprese, opifici, cantieri, oltre alla obbligazione di garanzia relativa ai lavoratori dipendenti dell’imprenditore o comunque presenti nei luoghi di lavoro per causa di lavoro, si aggiunge una ulteriore obbligazione di garanzia verso chiunque acceda a quegli impianti, obbligazione correlata agli obblighi specifici di sicurezza che cautelano le attività organizzate ma anche agli obblighi generali di non esporre alcuno a rischi generici o ambientali (Cass. 14/7/2006 n. 30587 citata dallo stesso ricorrente) derivati dalla attività del soggetto gravato per legge per contratto o per assunzione di fatto, dalla obbligazione di garanzia
In virtù dunque delle considerazioni svolte in tema di individuazione della posizione di garanzia del proprietario (committente) che affida lavori edili in economia a lavoratore autonomo di non verificata professionalità e in assenza di qualsiasi apprestamento di presidi anticaduta a fronte di lavorazioni in quota superiore ai metri due, i giudici di legittimità definiscono come errata la tesi in diritto secondo la quale in caso di prestazione autonoma (d’opera) il lavoratore autonomo sia comunque l’unico responsabile della sua sicurezza.
 Contro la tesi deve aggiungersi che l’evidenza del rischio a cui il lavoratore fu concretamente esposto (assenza di qualsiasi presidio di sicurezza per lavori in quota superiore a metri 2) delinea al meglio le omissioni addebitate e puntualmente accertate a carico del proprietario committente.

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