lunedì 11 aprile 2016

SOLUZIONE PARERE SULLA RESPONSABILITA’ PER OMISSIONE E NESSO DI CAUSALITA’.

SOLUZIONE PARERE SULLA RESPONSABILITA’ PER OMISSIONE E NESSO DI CAUSALITA’.
Cassazione penale, sez. IV, 19/03/2015 (dep. 27/5/2015), n. 22378

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. A seguito di richiesta di patteggiamento il Tribunale di Trento ha assolto V.V. dal reato di cui all'art. 590 in danno del lavoratore Vr.Ne. ai sensi dell'art. 129 c.p.p., perchè il fatto non sussiste. A seguito di contestuale giudizio abbreviato, lo stesso Tribunale ha assolto da tale accusa con la medesima formula gli altri imputati A.C., Am.Ma., N.H., D.D..
La sentenza èstata parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Trento che ha dichiarato inammissibile per tardivitàl'appello del Procuratore generale nei confronti del V.; ed ha affermato la responsabilitàdegli odierni ricorrenti.
Ricorrono per cassazione il Procuratore generale e gli imputati in epigrafe.
2. Il Procuratore generale censura la ritenuta inammissibilitàdell'appello nei confronti di V. per tardività. Erroneamente si èritenuto che la sentenza emessa ai sensi dell'art. 129 c.p.p., nei confronti di costui sia stata adottata nell'ambito di udienza in camera di consiglio nell'ambito del rito pattizio, in realtànella sede dibattimentale gli imputati hanno avanzato richieste distinte quanto al rito. Il V., in particolare, pur richiedendo l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p., ha altresìavanzato richiesta di assoluzione ai sensi del richiamato art. 129.
Tale istanza èstata accolta, ma solo all'esito del dibattimento concernente altri imputati; ed utilizzando le acquisizioni probatorie conseguite in tale sede. Il giudizio èstato concluso con pronunzia liberatoria che ha riguardato tutti gli imputati. Dunque non puòritenersi che si fosse, quanto l'imputato in questione, nell'ambito di udienza camerale; con la conseguenza che il termine per impugnare non era di 15 giorni, come erroneamente ritenuto dalla Corte d'appello.
3. Gli imputati deducono diversi motivi 3.1. Si lamenta che il giudice d'appello ha isolato solo alcuni brani della pronunzia dei Tribunale e non ha esaminato la sentenza in modo integrale. Da essa emerge che la caduta fu pacificamente dovuta alla riparazione del ponteggio in modo assolutamente maldestro, utilizzando del filo di ferro; e tale da determinare il cedimento della struttura alla sua prima utilizzazione. L'evento èstato dunque determinato da tale riparazione di cui, tuttavia, non èstato possibile individuare l'autore. Secondo il Tribunale tale grave condotta ha determinato interruzione dei nesso causale; e ciòèaccaduto in epoca di poco anteriore al momento dell'incidente accaduto (OMISSIS) alle ore 9,30. Tale interruzione non consente di attribuire rilievo causale alle singole posizioni di garanzia. La abnormitàdella condotta in questione èstata rimarcata dal giudice richiamando l'elaborato peritale che parla di una demenziale opera di fissaggio delle tavole metalliche a mezzo di filo di ferro compiuta da persona priva di capacitàraziocinante.
Tale condotta èstata collocata a ridosso dell'infortunio ed èstata ritenuta poco impegnativa, tanto da poter essere compiuta in un breve lasso di tempo; sicchè l'azione di controllo dei preposti poteva essere facilmente elusa.
3.2. Si deduce inoltre che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto che non vi sia prova che la perizia non sia stata redatta pure nei confronti degli imputati ricorrenti che in quell'epoca non erano indagati. Invece dagli atti emerge che solo all'esito di tale perizia il pubblico ministero ha richiesto che i ricorrenti venissero iscritti nel registro degli indagati.
3.3 Altrettanto erroneamente, si assume ancora, si èritenuto che gli imputati chiedendo che si procedesse col rito abbreviato abbiano consentito l'utilizzazione della perizia in questione. Tale assunto non èfondato. Gli imputati hanno tempestivamente eccepita l'inutilizzabilitànei loro confronti dell'atto in questione nell'udienza del 5 dicembre 2011. Dopo tale eccezione preliminare hanno sostanzialmente chiesto di essere ammessi ad un giudizio abbreviato condizionato, per cosìdire alla non utilizzabilitàdella perizia. In ogni caso si tratta di inutilizzabilitàpatologica e perciònon sanabile con la richiesta di rito abbreviato.
L'utilizzazione di tale perizia da luogo ad una prova costituzionalmente illegittima perchè recante violazione del principio del contraddittorio di cui all'art. 111 costo.
4. I ricorsi degli imputati sono fondati. E' invece privo di pregio quello dell'accusa pubblica.
4.1 Le censure in ordine alla perizia ed alla sua utilizzazione sono prive di pregio. La Corte di merito considera al riguardo che le prospettazioni in tema di inutilizzabilitàdella perizia sono infondate. La circostanza che i ricorrenti non fossero indagati all'epoca dell'indagine tecnica non èprovata. E comunque la scelta del rito abbreviato fa cadere qualunque censura, non essendosi in presenza di inutilizzabilitàpatologica.
Tale valutazione èda condividere. L'atto èstato acquisito al giudizio abbreviato e dunque èentrato nel novero delle prove utilizzabili. Esso, d'altra parte, non èaffetto da alcuna patologia. Se ne èsemplicemente estesa l'utilizzabilitànei confronti di altri imputati, conformemente a quanto previsto dal rito in questione. Del resto che la deduzione sia priva di pregio emerge dal fatto che la difesa, da un lato prospetta l'indicata censura e dall'altro utilizza l'atto per desumerne l'interruzione del nesso causale.
4.2 La deduzione afferente all'interruzione del nesso causale, ritenuta dal primo giudice, èfondata.
Dalla sentenza del Tribunale emerge che erano in corso lavori edili di ristrutturazione di un edificio affidati alla V. srl di cui il V.V. era datore di lavoro e legale rappresentante. I lavori di intonacatura erano stati subappaltati alla Amac Bau srl, di cui era datore di lavoro il ricorrente A.C. e dirigente responsabile di cantiere il ricorrente Am.Ma.. Tale ultima societàaveva commissionato il ponteggio alla N. spa di cui N.H. era amministratore delegato. Coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione dei lavori era D.D..
E' pure emerso che il lavoratore, dipendente della Amac Bau srl, era caduto dal ponteggio mentre si trovava all'altezza di oltre quattro metri riportando gravi lesioni personali.
La caduta fu determinata da una sorta di riparazione provvisoria effettuata su un tratto orizzontale dell'impalcatura, consistita nel fissaggio del piano di calpestio con un fragile fil di ferro;
intervento errato e pericoloso. Non èstata raggiunta la prova in ordine all'autore di tale intervento. Esso, peraltro, èstato compiuto sicuramente poco prima dell'evento lesivo, risalente al (OMISSIS), poichè il precedente (OMISSIS), venerdì, era stata scattata una foto che mostrava il ponteggio nella condizione originaria.
Tale contingenza ha determinato l'interruzione del nesso causale.
Inoltre, atteso che l'evento si èdeterminato in contiguitàtemporale con la modifica, non rilevano nè le posizioni di garanzia nè la violazione dell'obbligo di controllo da parte dei D..
La Corte d'appello, invece, ha ritenuto fondato l'appello avanzato nei confronti degli odierni ricorrenti. Si èconsiderato che il subappaltatore èpacificamente tenuto all'osservanza della norme sulla sicurezza del lavoro. Sugli imputati gravava quindi l'obbligo della sicurezza del luogo di lavoro.
E' emerso che la modifica dei ponteggio era consistita nella due campate e di due piani di appoggio e nella legatura delle estremitàdegli impalcati con fil di ferro non era necessaria in relazione ai lavori edili programmati ed era "demenziale" secondo l'opinione del perito. Tale modifica era da attribuire verosimilmente agli operai della V. srl.
Il subappaltatore avrebbe dovuto inibire l'accesso al ponteggio modificato. Di qui l'affermazione di responsabilità. D'altra parte, il comportamento della vittima non era abnorme ed imprudente posto che era in atto un'ordinaria attivitàlavorativa.
4.3 La valutazione espressa dai Tribunale si fonda su una puntuale e penetrante valutazione delle prove ed èconforme all'ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte.
Dell'art. 41 cpv. c.p., e della cosiddetta interruzione del nesso causale si sono recentemente occupate le Sezioni unite di questa Corte (Sez. Un 24 aprile 2014, Espenhahn, Rv. 261103) che, evocando la precedente giurisprudenza, hanno proposto condivisi principi. E' stata infatti posta l'enunciazione che il garante èil gestore di un rischio; e che il termine "garante" viene ampiamente utilizzato nella prassi anche in situazioni nelle quali si èin presenza di causalitàcommissiva e non omissiva; ed ha assunto un significato piùampio di quello originario, di cui occorre acquisire consapevolezza, traendo argomento proprio dalla norma richiamata.
Si èconsiderato che la necessitàdi limitare l'eccessiva ed indiscriminata ampiezza del'imputazione oggettiva generata dal condizionalismoèalla base di classiche elaborazioni teoriche: la causalitàadeguata, la causa efficiente, la causalitàumana, la teoria del rischio. Tale istanza si rinviene altresìnel controverso art. 41 cpv. c.p.. L'esigenza cui tali teorie tentano di corrispondere èquella di limitare, separare le sfere di responsabilità, in modo che il diritto penale possa realizzare la sua vocazione ad esprimere un ben ponderato giudizio sulla paternitàdell'evento illecito.
Il contesto della sicurezza del lavoro fa emergere con particolare chiarezza la centralitàdell'idea di rischio; tutto il sistema èconformato per governare l'immane rischio, gli indicibili pericoli, connessi al fatto che l'uomo si fa ingranaggio fragile di un apparato gravido di pericoli. li rischio ècategorialmente unico ma, naturalmente, si declina concretamente in diverse guise in relazione alla differenti situazioni lavorative. Dunque, esistono diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilitàche quei rischio sono chiamate a governare. Soprattutto nei contesti lavorativi piùcomplessi, si èfrequentemente in presenza di differenziate figure di soggetti investiti di ruoli gestionali autonomi a diversi livelli degli apparati; ed anche con riguardo alle diverse manifestazioni del rischio.
Le Sezioni unite sottolineano che questa esigenza di delimitazione si èfatta strada nella giurisprudenza, attraverso lo strumento normativo costituito dall'art. 41 cpv. c.p.. Infatti, la diversitàdei rischi interrompe, per meglio dire separa le sfere di responsabilità. Tale tesi èstata argomentata traendo argomento proprio dalla prassi, richiamando alcuni casi topici, prevalentemente incentrati proprio sul diritto penale del lavoro ((Sez. 4, n. 44206, del 25/09/2001, Intrevado, Rv. 221149; Sez. 4, n. 11311 del 07/05/1985, Bernardi, Rv. 171215; Sez, 4, n. 3510 del 10/11/1999, Addesso, Rv. 183633; Sez. 4, n. 10733 del 25/09/1995, Dal Pont, Rv.203223; Sez, 4, n. 2172 del 13/11/1984, Accettura, Rv. 172160; Sez. 4, n. 12381 del 18/03/1986, Amadori, Rv. 174222; Sez. 4, n. 1484 del 08/11/1989, Dell'Oro, Rv. 183199; Sez. 4, n, 9563 del 11/02/1991, Lapi, Rv, 188202; Sez. 4, n. 8676 dei 14/06/1996, Ieritano, Rv, 206012).
In sintesi, le Sezioni unite hanno posto l'enunciazione che un comportamento è"interruttivo" (per restare al lessico tradizionale) non perchè"eccezionale" ma perchè eccentrico rispetto ai rischio lavorativo che il garante èchiamato a governare. Tale eccentricitàrenderàmagari in qualche caso (ma non necessariamente) statisticamente eccezionale il comportamento ma ciòèuna conseguenza accidentale e non costituisce la reale ragione dell'esclusione dell'imputazione oggettiva dell'evento. A ciòva aggiunta solo una chiosa pertinente al caso in esame: l'effetto interruttivo non ènecessariamente dovuto al comportamento incongruo del lavoratore, ma a qualunque circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante èchiamato a governare.
Alla luce di tali principi èagevole cogliere l'esattezza della soluzione del caso proposta dal Tribunale. E' infatti emerso che il rischio di caduta dei lavoratori era stato governato in modo sostanzialmente appropriato. L'impalcatura presentava alcune imperfezioni che, però, non hanno avuto alcun ruolo negli accadimenti. E' pure emerso che la struttura era intatta poco prima dell'avvio dell'attivitàlavorativa dalla quale èscaturito l'infortunio. Ancora, ad iniziativa di persone diverse dai ricorrenti, quella impalcatura èstata oggetto di una manomissione completamente estranea a qualunque standard di ragionevolezza, totalmente sconsiderata; posto che i piani di camminamento erano sorretti da esile fil di ferro che non era assolutamente in grado di reggere il peso di una persona. In tale manomissione scriteriata èagevole cogliere un rischio nuovo, o forse meglio altamente esorbitante rispetto all'ordinario rischio di caduta, caratterizzato da repentinitàe non prevedibilità. Di tale diverso rischio, drammaticamente concretizzatosi, gli imputati non possono essere chiamati a rispondere alla stregua degli indicati principi.
E d'altra parte erra la Corte d'appello quando esclude l'interruzione del nesso causale sulla base della considerazione che il comportamento del lavoratore non era abnorme. Si èinfatti visto che la detta interruzione si rapporta alla diversitào incommensurabilitàdel rischio nuovo, che dipenda o meno dal comportamento del lavoratore.
La sentenza va dunque annullata senza rinvio nei confronti degli imputati per non aver commesso il fatto.
5. L'appello del P.G. nei confronti del V. èstato ritenuto tardivo. Il deposito della sentenza èstato comunicato il 7 giugno 2012 e l'impugnazione èstata proposta solo il successivo 3 luglio e quindi senza l'osservanza del termine di 15 giorni previsto dall'art. 585, comma 1, lett. A: infatti la sentenza seguita alla richiesta di patteggiamento èemessa in udienza in camera di consiglio, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità. Tale valutazione è immune da censure. Non è oggetto di contestazione che la sentenza ex art. 444 c.p.p., è adottata in udienza in camera di consiglio ed è quindi ricorribile nei termine di 15 giorni: il principio, invero, è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte. La doglianza si basa sulla considerazione che nei caso in esame la pronunzia in esame è stata adottata per così dire in parallelo con quella resa nei confronti di altri imputati a seguito di giudizio abbreviato. Ma tale contingenza, a ben vedere, non ha rilievo. I due giudizi hanno proceduto con contestualità(probabilmente per esigenze di semplificazione e speditezza) ma non hanno mai perso la loro identità: la sentenza ex art. 129 c.p.p., costituisce espressione di un potere riconosciuto al giudice anche nel rito pattizio. Dunque, non si scorge alcuna ragione che possa indurre a derogare alle regole in ordine al termine per impugnare. Il ricorso dell'accusa pubblica va dunque rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di A. C. e Am.Ma. per non avere i medesimi commesso il fatto.
Rigetta il ricorso del Procuratore generale nei confronti di V. V..
Cosìdeciso in Roma, il 19 marzo 2015.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2015









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