giovedì 9 gennaio 2014

La Cassazione penale su peculato e frode informatica (slot machine).

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Cassazione penale, Sez. II, 30 aprile 2013, n. 18909

IL CASO (Traccia possibile parere)

Tizio, gestore di un locale-sala da gioco, insieme a Caio e Sempronio, titolari di concessioni dell’Agenzie delle Dogane e dei Monopoli (A.A.M.S.), aveva alterato il sistema informatico degli apparecchi da gioco presenti nel suddetto locale.
A seguito della suddetta alterazione, quelli che apparivano essere apparecchi per giochi di abilità (assoggettati ad imposte versate forfettariamente), in realtà, erano delle vere e proprie slot machine, ossia apparecchi che, in quanto caratterizzati da completa aleatorietà, sarebbero stati soggetti ad un'imposta pari al 13,5% delle somme giocate.
Più nello specifico, nel locale di Tizio erano presenti oltre alle macchine definite dall'art. 110, comma 6, T.U.L.P.S. regolarmente collegate alla rete AAMS, macchine della tipologia comma 7, regolarmente autorizzate, quindi note all'Azienda dei Monopoli, ma alterate nel loro funzionamento in modo da renderle del tutto simili nel funzionamento al comma 6, senza tuttavia le limitazioni all'entità delle giocate previste dalla normativa vigente e senza provvedere al collegamento alla rete telematica del concessionario AAMS.
Un controllo da parte della Guardia di Finanza faceva emergere la suddetta situazione illecita e ciò costava a Tizio, Caio e Sempronio l’imputazione per i reati previsti e puniti dagli artt. 513 bis c.p., art. 81 c.p., comma 1, e cpv., artt. 110, 117 e 314 c.p..
Tizio, a seguito del rinvio a giudizio per i suddetti reati, si rivolge al vostro studio legale chiedendo parere motivato circa la propria posizione giuridica


MASSIMA

L'elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di frode informatica aggravata ai danni dello Stato va individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o d'altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione: in particolare, è configurabile il peculato quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio si appropri delle predette "res" avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragioni dell'ufficio o servizio; è configurabile la frode informatica quando il soggetto attivo si procuri il possesso delle predette "res" fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per procurarsi un ingiusto profitto con altrui danno. (In applicazione del principio, la S.C. ha ravvisato gli estremi della frode informatica pluriaggravata - ai danni dello Stato, nonché ex art. 61 comma 1 n. 9 c.p. - nella condotta del gestore di una sala giochi che, in concorso con altri soggetti, aventi qualifica di incaricati di pubblico servizio, si era appropriato della quota spettante a titolo di prelievo erariale all'Erario sul costo di ogni partita effettuata dagli utenti sulle "slot machines").

SENTENZA

FATTO
1. Con ordinanza del 01/10/2012, il g.i.p del tribunale di Caltanissetta applicava a T.L. la misura della custodia cautelare in carcere in quanto indagato per il delitti di frode informatica aggravata art. 640 ter c.p., ex u.c., di peculato ex art. 314 c.p., e di illecita concorrenza con minaccia o violenza ex art. 513 bis c.p., nell'ambito di un più ampio procedimento nel quale si procedeva, nei confronti di altri coimputati, anche per il reato di cui all'art. 416 bis c.p..

2. A seguito di istanza di riesame proposta dall'indagato, l'adito tribunale di Caltanissetta, con ordinanza del 25/10/2012, annullava l'ordinanza di custodia cautelare limitatamente al capo 19^) dell'imputazione (art. 314 c.p.) e sostituiva, relativamente ai restanti capi d'imputazione (artt. 640 ter e 513 bis c.p.), la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari.
Il Tribunale, riteneva che non fosse ammissibile il concorso formale fra il reato di peculato e quello di frode informatica, sulla base della seguente testuale motivazione: "il concorso fra le due fattispecie penali, tale orientamento non appare ad oggi condivisibile. La pressochè costante e pacifica giurisprudenza di legittimità esclude categoricamente la possibilità del concorso tra il delitto di peculato e quello di truffa, benchè siano differenti gli interessi giuridici lesi. La distinzione tra le due fattispecie (e, quindi, la esclusione di un concorso formale di reati) viene ricollegata dai giudici di legittimità alle modalità del possesso del denaro o d'altra cosa mobile altrui, ricorrendo il peculato quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragioni del suo ufficio, incidendo la condotta fraudolenta non sul possesso del bene ma sul tentativo di mascherare, ex post, la commissione del delitto; ravvisandosi invece la truffa laddove il soggetto, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene (cfr.
Cass., Sez. 6, Sentenza n. 35852 del 06/05/2008, Rv, 2, Sez. 1, Sentenza n. 26705 del 13/05/2009, Rv. 244710; Sez. 6, Sentenza n, 4668 del 14/01/201 245856; Sez. 6. Sentenza n. 5447 del 04/11/2009, Rv. 246070; da ultimo, Cass., sez. 6^ penale, 15/06/2012, n.23777).
Benchè non vi siano pronunce relative al rapporto tra peculato e frode informatica appare chiaro che il principio sopra esposto è mutuabile al caso in esame, atteso che la frode informatica a una speciale ipotesi di truffa regolamentata autonomamente dal codice.
Nel caso in oggetto, quindi, dovrà ritenersi integrato il solo reato di frode informatica, atteso che il meccanismo di alterazione del sistema informatico interno agli apparecchi da gioco consente al titolare della macchina di incamerare denaro che non può oh origine considerarsi pubblico, perchè relativo ad apparecchi che, secondo la normativa di legge, non comportano l'obbligo di versare il PREU bensì di pagare allo Stato una quota fissa e predeterminata; è solo grazie alla modifica posta in essere che si viene sottrarre al fisco una quota di denaro che, in astratto, laddove gli apparecchi rispettassero formalmente i requisiti previsti dal diverso art. 110, comma 7, (rectius comma 6), tulps, dovrebbe essere versata all'Erario. La condotta fraudolenta è quindi funzionale a garantirsi il possesso di denaro che viene del tutto sottratto al controllo statale e che non può considerarsi di natura pubblica sin dall'inizio solo perchè, nel caso in cui la macchina avesse rispettato i requisiti di legge, avrebbe dovuto in parte essere versato allo Stato. Del resto il danno allo Stato rileva come detto, nel caso di specie, proprio sotto il diverso profilo dell'aggravante prevista dall'ultimo comma dell'art. 640 ter c.p., atteso che la condotta fraudolenta trae in inganno da un lato i giocatori, falsandosi la percentuale di vincite che dovrebbe essere garantita su ogni ciclo di giocate e, dall'altro, l'AAMS, facendo apparire come macchine che non erogano vincite in denaro e che non richiedono il collegamento telematico con la rete dei Monopoli apparecchi che, in realtà, per la tipologia di giochi che riproducono, dovrebbero essere sottoposte a tali tipi di controlli ed al versamento del PREU".
3. Avverso la suddetta ordinanza, il P.M. ha proposto ricorso per cassazione limitatamente alla decisione relativa all'insussistenza del reato di peculato adducendo i seguenti motivi: "(...) Analizzando la concreta fattispecie posta in essere dagli indagati, abbiamo infatti la seguente situazione: i soggetti agenti sono in concorso tra loro sub concessionari della Atlantis World e titolari di autonome licenze di P.S. e AAMS quali noleggiatori di apparecchiature per il gioco lecito; essi sono quindi, secondo le direttive direttoriali AAMS e le circolari terzi raccoglitori; tale qualità attribuisce loro - secondo le SS.UU. sopra riportate - la qualità di agenti contabili e di incaricati di pubblico servizio proprio perchè la loro attività è direttamente funzionale alla riscossione del P.R.E.U. sull'importo delle giocate; i soggetti agenti, tra cui il T., in concorso tra loro, oltre le macchine definite dall'art. 110, comma 6, T.U.L.P.S. regolarmente collegate alla rete AAMS, collocano nelle loro attività commerciali (bar, sale giochi, circoli ecc.) macchine della tipologia comma 7, regolarmente autorizzate, quindi note all'Azienda dei Monopoli, ma alterate nel loro funzionamento in modo da renderle del tutto simili nel funzionamento al comma 6, senza tuttavia le limitazioni all'entità delle giocate previste dalla normativa vigente e senza provvedere al collegamento alla rete telematica del concessionario AAMS; l'intero introito delle giocate viene così suddiviso, dedotte le vincite per i giocatori, che vengono erogate in misura inferiore al dovuto, tra il noleggiatore della macchina e l'esercente del locale; tutte le macchine prevedono meccanismi di attivazione e resetting, idonei ad escludere la possibilità di controlli ordinari e/o di analisi degli incassi; tale comportamento dei soggetti agenti viola gli obblighi contrattualmente assunti, dal concessionario, dal noleggiatore terzo raccoglitore e dall'esercente con la AAMS, oltre a frodare il giocatore che viene esposto al rischio concreto di giocate per importo illimitato su macchine che non assicurano una possibilità di vincita pari al 75% delle giocate.
I quesiti da porsi, sono dunque i seguenti:
- nel caso un soggetto assuma contrattualmente l'obbligo di bene e fedelmente porre in essere una attività in concessione o subconcessione dalla P.A., altrimenti vietata, che lo ponga in diretta relazione con la possibilità di incamerare denaro pubblico, non dall'erario, ma dal privato che volontariamente e in modo del tutto avulso dall'attivazione di artifici e raggiri da parte del soggetto agente, inserisca delle monete o dei soldi nel sistema di gioco - l'artifizio e raggiro posto in essere nel posizionare macchine irregolari negli esercizi pubblici accanto a quelle regolari, fa venire meno l'obbligo contrattualmente assunto, o in virtù della posizione giuridica di garanzia complessivamente e volontariamente assunta nei confronti del concedente tale obbligo permane con ogni giuridica conseguenza? Il comportamento in violazione di tali obblighi assume i caratteri propri del peculato sulle somme riscosse dal giocatore e che, nella misura prevista del 13,5% su ogni giocata, dovrebbero essere versate a titolo di PREU o, come implicitamente sostiene il collegio con l'ordinanza impugnata sfuggono alla tassazione come profitto illecito del reato di frode informatica in danno del giocatore e della stessa AAMS? - l'esistenza della circostanza aggravante di cui al comma tre dell'art. 640 ter c.p., elide l'eventuale reato di peculato, come sostenuto dal Tribunale? Ad avviso di questo Ufficio: la risposta al 1^ quesito deve essere nel senso che gli obblighi contrattualmente assunti non vengono meno e che le conseguenze della violazione non possono andare a vantaggio dell'autore della violazione stessa; la risposta al secondo quesito è che l'appropriazione del denaro acquisito come P.R.E.U. su ogni singola giocata irregolare costituisce peculato; la risposta al terzo quesito deve essere negativa, non potendo la previsione di una circostanza aggravante relativa alla natura pubblica della persona offesa, entrare in relazione elidente con la qualità soggettiva dell'autore posta nell'autonomo reato di peculato quale presupposto soggettivo per la configurabilità stessa della fattispecie.
Il ragionamento seguito dal Tribunale del Riesame porta, infatti, a conseguenze del tutto illogiche.
Si ricordi che la S.C. di Cassazione ha pacificamente ammesso la configurabilità del peculato nel caso in cui i meccanismi fraudolenti posti in essere incidano sul collegamento alla rete AAMS provocando il cosiddetto abbattimento delle giocate comunicate al server della rete. Il peculato viene quindi configurato con riferimento alle macchine comunque collegate alla rete, in cui il meccanismo è proprio quello di occultare alla rete una parte delle giocate. Condotta certamente assai più lieve, già in punto di fatto, dal volontario occultamento di una macchina che, per le sue caratteristiche tecniche, dovrebbe essere collegata alla rete, ma non lo è. In tal caso infatti ad essere occultato è l'intero ammontare delle giocate e non soltanto una parte. Si può dunque ipotizzare che, dopo la volontaria assunzione da parte del titolare delle licenze e delle concessioni pubbliche degli obblighi specifici di contabilizzare le giocate, di versare il PREU e di tenere le macchine collegate e la rete efficiente ed in caso di manifesta violazione di tali obblighi, si dia luogo ad una sanzione inferiore a quella invece pacificamente prevista per il semplice abbattimento dei dati inerenti le giocate effettuate. Ad avviso del Pubblico Ministero ovviamente no, a pena di considerare lecita una interpretazione del tutto illogica del sistema di repressione penale delle violazione agli obblighi contabili contrattualmente assunti (....).
Il ragionamento seguito dal Tribunale, quindi, con l'automatica estensione di una giurisprudenza affermata in ordine al concorso tra la truffa aggravata ed il peculato alla frode informatica in questione non convince: da un lato, infatti, per la diversa natura del reato di frode informatica che comporta, in questo caso, proprio come affermato dal Tribunale, che l'artifizio e raggiro non incida sull'ottenimento del denaro, che deriva al contrario dalla spontanea scelta del giocatore di giocare a quella macchina, ma semmai sulla ritenzione indebita uti domini del totale del denaro ormai nella disponibilità dell'esercente e del noleggiatore; dall'altro per la illogica conseguenza derivante dal seguire l'argomentazione del collegio che, così argomentando, sana un comportamento di natura ed entità sicuramente più grave, sanzionandolo nella misura inferiore e non attribuendo alcun significato giuridico, nella ricostruzione della fattispecie, alla veste volontariamente assunta dal soggetto agente, di incaricato di pubblico servizio quale terzo raccoglitore.
Del resto non può neanche affermarsi che il denaro non sia pubblico all'origine. Ciò che si contesta infatti non è che gli autori del reato noleggiatore ed esercente si siano appropriati di denaro pubblico, ma di aver trattenuto la quota destinata al P.R.E.U. da essi comunque dovuta in forza degli obblighi assunti. Va rilevato infatti che il profitto del reato contestato non deriva, come sembra aver equivocato il collegio, da una attività illecita in sè e per sè e pertanto non soggetta a tassazione, ma da una attività, prevista, autorizzata, ma gestita in modo illecito. Così come non viene meno in caso di frode fiscale l'obbligo di versamento dell'imposta dovuta, così non viene meno di versamento del PREU, che sorge con l'inserimento della moneta da parte del privato giocatore, nel sistema di gioco.
Il peculato consegue all'omesso versamento nei termini previsti al concessionario della rete, alla quale la macchina avrebbe dovuto essere collegata, della somma incassata a titolo di P.R.E.U. sulle singole giocate. In quel momento interviene, infatti, l'interversione del possesso da parte del noleggiatore e dell'esercente che avendo occultato all'AAMS l'intera macchina, si appropriano dell'intero ricavato. Nè alla configurazione del peculato nei confronti del T. è di ostacolo il fatto che egli non sia un terzo raccoglitore applicandosi al medesimo le normali regole in tema di concorso nel reato proprio ex art. 117 c.p.. Al riguardo va osservato che Per aversi concorso di persone nel reato e necessario che i partecipi siano consapevoli della situazione di fatto in cui operano, vogliano conseguire e contribuiscano ciascuno per la propria parte alla realizzazione del medesimo evento antigiuridico, sia determinando altri a commettere il reato sia cooperando materialmente nell'esecuzione della tipica condotta criminoso, sia istigando moralmente gli altri a specificatamente delinquere. Nessun dubbio emerge al riguardo dalle indagini circa la sussistenza di entrambi tali requisiti per l'indagato T.L.".
DIRITTO
1. In via preliminare, va ritenuto l'interesse del P.M. ad impugnare l'ordinanza sia pure limitatamente alla ritenuta insussistenza di uno dei reati contestati.
Sul punto, occorre rammentare che, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, l'indagato ha interesse a ricorrere avverso un provvedimento restrittivo della libertà personale anche nel caso in cui il gravame sia limitato ad una sola delle imputazioni, poichè il venir meno del titolo della custodia anche se con riferimento esclusivo ad una delle accuse, pur senza incidere sull'assoggettamento del medesimo alla misura cautelare a causa del mantenimento del provvedimento restrittivo in relazione ad altro reato, rende meno gravosa la posizione difensiva e consente il riacquisto della libertà, nel caso in cui il titolo legittimante l'applicazione della misura venga meno, per un qualsiasi motivo, in ordine all'altro reato: SSUU 7/1993 Rv. 193746; Cass. 4038/1995 Rv.202205; Cass. 1067/2000 Rv. 216083.
Ritiene questa Corte che lo stesso principio di diritto, mutatis mutandis, possa essere applicato anche alla inversa situazione in cui sia il P.M. ad impugnare dovendosi ravvisare l'interesse ad agire nella circostanza che, a carico dell'indagato, ove dovesse venire riconosciuta la fondatezza dell'ipotesi accusatoria per un ulteriore reato, vi sarebbe un ulteriore titolo per il mantenimento della misura cautelare.
2. Passando, ora, all'esame del ricorso, il medesimo deve ritenersi infondato per le ragioni di seguito indicate.
La questione di diritto sottoposta all'esame di questa Corte di legittimità può essere così enunciata: "se il reato di frode informatica commesso da un incaricato di pubblico servizio ed ulteriormente aggravato, ex art. 640/2 n. 1 cod. pen. per essere stato il fatto commesso a danno dello Stato o di altro ente pubblico, possa o no concorrere con il reato di peculato".
Il suddetto problema dev'essere affrontato e risolto secondo la seguente sequenza logico giuridica:
1) se i due reati siano o no compatibili e, quindi, se sia o no ammissibile il concorso formale;
2) in caso di risposta negativa, quale dei due reati, nel caso di specie, sia configurabile.
3. Il fatto è stato ricostruito dal Tribunale nei seguenti termini:
"Preliminarmente, al fine di meglio inquadrare la condotta in contestazione, occorre osservare come il Tulps preveda, all'art. 110, due distinte categorie di apparecchi da gioco: la prima, di cui al comma 6, relativa ad apparecchi da gioco che producono vincite, per i quali è prevista l'emissione, da parte dell'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, di nulla osta alla distribuzione e alla messa in esercizio, nonchè un collegamento telematico che consenta all'Amministrazione di rilevare il volume di gioco e determinarne la tassazione; la seconda, prevista dal comma 7, riguarda invece apparecchi senza premi, incentrati sull'abilità del giocatore e assoggettati ad imposte versate forfettariamente. Le macchine sequestrate erano essenzialmente di tre tipologie: slot machine, distributori di chewing gum e chioschi net shop. All'interno di ognuno di tali apparecchi sono state rinvenute schede che consentivano due distinte tipologie di giochi: gioco di abilità, con cui la macchina si avviava automaticamente (corrispondente ai giochi ricompresi nella categoria di cui al comma 7 tulps per la quale gli apparecchi erano regolarmente autorizzati) e slot machine irregolare, che si avviava solo dopo la pressione di una combinazione di tasti che variava da apparecchio ad apparecchio (e che rientrerebbe nella diversa categoria di cui al comma 6 tulps). In ordine alle slot il consulente del p.m. accertava che tutte le macchine non corrispondevano ai requisiti di cui al art. 110, comma 7, T.U.L.P.S. bensì rientravano nella diversa tipologia di cui al comma 6.
Tuttavia, pur corrispondendo alle caratteristiche di cui al comma 6 del citato articolo, trattandosi di apparecchi manomessi ovviamente le macchine non rispettavano neppure i criteri di regolarità prescritti dal diverso comma 6, mancando del tutto il collegamento ai Monopoli di Stato (obbligatorio per tali tipi di macchine, proprio al fine di garantire il controllo da parte dell'AAMS sul numero di giocate e sulla percentuale di vincite destinate allo Stato) e non rispettando nella gran parte la percentuale di vincite da erogare agli utenti, pari per legge al 75% su un ciclo di 140.000 partite.
... Da quanto analizzato è emerso quindi che la maggior parte delle macchine, anzichè riprodurre giochi di abilità con costo per partita non superiore a 50 centesimi di Euro, raffiguravano slot machine con rulli virtuali, giochi caratterizzati da completa alcatorietà e, quindi, non correlati all'abilità del giocatore, nonchè con erogazione delle vincite in maniera esterna alla macchina, atteso che i punti vinti venivano convertiti in denaro ed annotati nei quaderni pure oggetto dei sequestri o in foglietti di carta trovati all'interno degli apparecchi. Inoltre, il numero di partite per ciascun giocatore risultava illimitato con possibilità di vincite di molto superiori a quelle consentite per legge.
Pertanto, è indubbio che gli apparecchi di proprietà dell' A. M. e dallo stesso affidati in gestione ai diversi esercizi nisseni fossero stati modificati così da non rispettare i requisiti di cui all'art. 110, comma 7 del T.U.L.P.S., bensì riproducendo una categoria di giochi che rientrerebbero nella categoria di cui al comma 6, del medesimo articolo, in questo caso, però, venendo meno il necessario collegamento delle macchine con la rete dell'AAMS, funzionale a garantire il controllo da parte dello Stato del flusso e del numero effettivo di giocate e di vincite totalizzate, al fine di verificare che il titolare della concessione versi allo Stato la percentuale dovuta a titolo di imposta (PREU), pari al 13,5 % delle somma giocate. Tale collegamento in rete consente, pertanto, di monitorare l'attività di gioco che lo Stato affida a terzi in concessione, e di riscontrare le tasse effettivamente versate all'Erario".
Il capo d'incolpazione che è stato elevato dal P.M. a carico del T. e che il Tribunale ha ritenuto insussistente giuridicamente è il seguente: "19^) del delitto di cui all'art. 81 c.p., comma 1, e cpv., artt. 110, 117 e 314 c.p., per essersi appropriato in concorso con A.M., A.S., A.L. e con An.Ma., i quali agivano nella loro attività come agenti contabili di fatto e quindi come incaricati di pubblico servizio, in quanto sub-concessionari della Atlantis World e titolari di concessioni in proprio dell'A.A.M.S., quale gestore della sala giochi (OMISSIS) sita in via (OMISSIS) dove era installata la slot - machine avente identificativo (OMISSIS), slot con rulli virtuali dal nome Crazy Circus (apparecchio non contemplato tra quelli di cui all'art. 110, comma 7, lett. C), T.U.L.P.S., bensì tra quelli previsti dal comma 6 del medesimo articolo, che pertanto avrebbe dovuto essere collegato, telematicamente all'AAMS), della quota pari al 13,5 % del costo di ciascuna partita dovuta all'Erario a titolo di prelievo erariale. In Caltanissetta fino al 15.3.2011".
Nel caso di specie, quindi, il T. - sebbene semplice gestore della sala da giochi dove erano state collocate le macchine da gioco - è stato incolpato, oltre che dell'art. 513 bis c.p., dei seguenti delitti:
a) frode informatica;
b) del delitto di peculato per avere concorso, ex artt. 110 e 117 c.p., con gli incaricati di pubblico servizio, ad appropriarsi della quota pari al 13,5% del costo di ciascuna partita dovuta all'Erario a titolo di prelievo erariale.
Il problema che pone, quindi, il presente procedimento, consiste, come si è già anticipato, nel verificare se i due suddetti reati possano o no concorrere.
4. La soluzione della questione in esame, consiglia, in via preliminare, la focalizzazione su alcuni notori principi di diritto già richiamati dal tribunale nell'ordinanza impugnata e che vanno ribaditi.
4.1. La fattispecie in esame, integra, sicuramente gli estremi della frode informatica come, peraltro, ha già ritenuto il tribunale.
Sul punto, è sufficiente il rinvio alla motivazione della sentenza di questa Corte di legittimità n. 27135/2010 Rv. 248306 che ha enunciato il seguente principio di diritto che, qui, va ribadito:
"Integra il reato di frode informatica, previsto dall'art. 640 ter c.p., l'introduzione, in apparecchi elettronici per il gioco di intrattenimento senza vincite, di una seconda scheda, attivabile a distanza, che li abilita all'esercizio del gioco d'azzardo (cosiddette slot machine), trattandosi della attivazione di un diverso programma con alterazione del funzionamento di un sistema informatico".
Il reato di frode informatica (art. 640 ter c.p.) si differenzia dal reato di truffa perchè l'attività fraudolenta dell'agente investe non la persona (soggetto passivo), di cui difetta l'induzione in errore, bensì il sistema informatico di pertinenza della medesima, attraverso la manipolazione di detto sistema: ex plurimis Cass. 44720/2009 Rv. 245696; Cass. 3065/1999 riv 214942; Cass. 9891/2011 Rv. 249675.
Il reato di frode informatica, quindi, ha la medesima struttura e ed i medesimi elementi costitutivi della truffa (fra cui l'ingiusto profitto) della quale, pertanto, si può ben dire, costituisce un'ipotesi speciale derivante dalla peculiarità di cui si è detto (soggetto passivo).
4.2. In giurisprudenza, poi, si è posto il problema degli elementi differenziatori fra l'ipotesi di truffa commessa da un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio (art. 61 c.p., n. 9) e l'ipotesi di peculato.
Anche a tale proposito, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità è ferma nel ritenere che i criteri da utilizzare per differenziare i suddetti reati sono due:
1. le modalità con le quali l'agente si è impossessato del bene;
2. la preesistenza o meno del possesso della res in capo al soggetto attivo.
Si è, infatti, costantemente affermato che sussiste peculato quando l'agente fa proprio il danaro della pubblica amministrazione, del quale abbia il possesso per ragione del suo ufficio o servizio, mentre vi è truffa qualora il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, non avendo tale possesso, si sia procurato fraudolentemente, con artifici e raggiri, la disponibilità del bene oggetto della sua illecita condotta. Più in particolare, ricorre il peculato e non la truffa quando l'artificio od il raggiro o la falsa documentazione siano stati posti in essere non per entrare in possesso del pubblico danaro, ma per occultare la commissione dell'illecito: ex plurimis Cass. 35852/2008 Rv. 241186; Cass. 32863/2011 Rv. 250901.
In altri termini, nel peculato il possesso è un antecedente della condotta e gli artifici, i raggiri o la falsa documentazione non incidono sulla struttura del reato, ma servono per occultarlo.
Viceversa, nella truffa, la condotta fraudolenta è predisposta al fine di consentire al soggetto agente di entrare in possesso della provvista, in vista della successiva condotta appropriativa.
Conclusivamente, si può, quindi, affermare che:
1. nella truffa: a) gli artifici ed i raggiri costituiscono uno degli elementi costituitivi del reato e, quindi, sono antecedenti all'appropriazione fraudolenta del bene altrui; b) l'appropriazione ù che determina il momento consumativo del reato - costituisce un posterius ossia l'effetto dell'attività fraudolenta.
2. nel peculato, invece, i termini sono invertiti perchè: a) il soggetto agente (pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio) ha già, per effetto della sua funzione, il possesso del bene del quale si appropria e che segna il momento consumativo del reato; b) l'eventuale condotta fraudolenta costituisce un posterius, privo di rilevanza giuridica, che serve per occultare il reato già consumato.
4.3. I criteri differenziali fra truffa aggravata e peculato, mutatis mutandis, possono sicuramente essere applicati anche per distinguere la frode informatica ed il peculato sia perchè la frode informatica, per quanto si è detto (p.4.1.), è un'ipotesi speciale di truffa della quale conserva tutti gli elementi costitutivi fra cui proprio la condotta fraudolenta (artifizi e raggiri) finalizzata ad ottenere un ingiusto profitto con altrui danno, sia perchè, l'unica differenza (soggetto passivo) fra le ipotesi di reato di cui agli artt. 640 e 640 ter c.p., non influisce sui criteri che servono a distinguere il peculato dalla truffa aggravata.
Non vi è, quindi, alcuna ragione logico giuridica per la quale i consolidati principi di diritto enucleati da questa Corte di legittimità per differenziare la truffa aggravata dal peculato, non si debbano applicare anche per distinguere la frode informatica dal peculato.
Alla stregua di quanto appena detto, si può, pertanto, affermare il seguente principio di diritto: "L'elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di frode informatica, aggravata ai danni dello Stato ex art. 649 ter/2 cod. pen. nonchè ai sensi dell'art. 61 c.p., n. 9, è simile a quello fra il delitto di peculato ed il delitto di truffa aggravata ex art. 61 c.p., n. 9.
Conseguentemente, l'elemento distintivo va individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o d'altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo il reato di peculato quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece il reato di frode informatica quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per procurarsi un ingiusto profitto con altrui danno".
5. Premessi i suddetti principi di diritto, non resta ora che verificare, alla stregua della pacifica ricostruzione in fatto effettuata dal tribunale, se, nel caso di specie, sia configurabile il delitto di frode informatica, quello di peculato ovvero entrambi come sostiene il ricorrente P.M..
Come risulta dalla ricostruzione in fatto (supra p.3), il T. - semplice gestore del locale dove erano stati collocati gli apparecchi da gioco in questione - in concorso, ex art. 110 e 117 c.p., con coloro che agivano come incaricati di un pubblico servizio, aveva alterato il sistema informatico dei suddetti apparecchi.
A seguito della suddetta alterazione, quelli che apparivano essere apparecchi per giochi di abilità (assoggettati ad imposte versate forfettariamente), in realtà, erano delle vere e proprie slot machine, ossia apparecchi che, in quanto caratterizzati da completa alcatorietà, sarebbero stati soggetti ad un'imposta pari al 13,5% delle somme giocate: successe, quindi, che, come effetto dell'alterazione, coloro che agivano come incaricati di pubblico servizio, in quanto sub-concessionari della Atlantis World e titolari di concessioni in proprio dell'A.A.M.S. (ossia i coindagati A. M., A.S., A.L. e con An.Ma.: cfr capo d'incolpazione), si appropriarono delle somme dovute allo Stato (AAMS). Di conseguenza:
a) il T., in concorso con coloro che agivano come incaricati di pubblico servizio, prima che gli apparecchi fossero collocati nella sala giochi da lui gestita, ne alterò il sistema informatico;
b) a seguito della suddetta condotta fraudolenta, il Monopolio di Stato, al quale avrebbe dovuto essere versata la percentuale del 13,5% delle somme giocate, fu tratto in inganno sicchè non fu messo nelle condizioni di riscuotere il tributo dovuto;
c) la percentuale del 13,5% fu incassata e trattenuta illecitamente da coloro che avevano alterato il sistema informatico.
Questa essendo la sequenza cronologica dei fatti e la modalità con la quale gli indagati si appropriarono delle somme dovute allo Stato, è del tutto evidente che l'unico reato ipotizzabile è quello della frode informatica aggravata ex art. 61 c.p., n. 9, posto che:
a) gli artifici ed i raggiri furono posti in essere dai concessionari (ossia dagli incaricati del pubblico servizio e, quindi, anche dal T. ex art. 117 c.p.) antecedentemente all'appropriazione fraudolenta del denaro spettante allo Stato (percentuale del 13,5%) e lo furono proprio al fine di realizzare la suddetta appropriazione;
b) l'appropriazione - che determinò il momento consumativo del reato - costituì un posterius ossia l'effetto dell'attività fraudolenta.
Sarebbe stato, invece, configurabile il delitto di peculato, ove lo Stato fosse stato messo in grado di controllare le giocate, di quantificare il tributo dovuto sulla base della percentuale del 13,5%, ma della suddetta somma si fosse appropriato l'indagato il quale, per occultare l'appropriazione, avesse posto in essere artifizi o raggiri: ma così, fattualmente, non è stato, sicchè, correttamente il tribunale ha ritenuto la configurabilità del solo reato di frode informatica aggravata per essere stata commessa ai danni dello Stato.
6. Gli argomenti che il P.M. ricorrente ha dedotto a sostegno del proprio ricorso, possono essere così riassunti:
6.1. il Tribunale non avrebbe considerato che il reato oggetto di incolpazione "non può in concreto essere commesso da chiunque, ma soltanto da coloro che, in quanto dotati di apposite licenze di P.S. e dell'A.A.M.S. siano autorizzati a posizionare in esercizi pubblici macchine elettroniche per il gioco, ciascuna delle quali, indipendentemente dal gioco esercitabile sulla stessa, dev'essere conosciuta dall'Azienda dei Monopoli di Stato, ha un numero identificativo, ed è soggetta in misura diversa al pagamento del tributo": pag. 3 ricorso;
6.2. la tesi del ricorrente troverebbe un riscontro nella sentenza n. 35373/2008 di questa Corte di legittimità;
6.3. il tribunale non avrebbe risposto ai quesiti che pone la fattispecie in esame ("nel caso un soggetto assuma contrattualmente l'obbligo di bene e fedelmente porre in essere una attività in concessione o sub-concessione dalla P.A., altrimenti vietata, che lo ponga in diretta relazione con la possibilità di incamerare denaro pubblico, non dall'erario, ma dal privato che volontariamente e in modo del tutto avulso dall'attivazione di artifici e raggiri da parte del soggetto agente, inserisca delle monete o dei soldi nel sistema di gioco - l'artifizio e raggiro posto in essere nel posizionare macchine irregolari negli esercizi pubblici accanto a quelle regolari, fa venire meno l'obbligo contrattualmente assunto, o in virtù della posizione giuridica di garanzia complessivamente e volontariamente assunta nei confronti del concedente tale obbligo permane con ogni giuridica conseguenza? il comportamento in violazione di tali obblighi assume i caratteri propri del peculato sulle somme riscosse dal giocatore e che, nella misura prevista del 13,5% su ogni giocata, dovrebbero essere versate a titolo di PREU o, come implicitamente sostiene il collegio con l'ordinanza impugnata sfuggono alla tassazione come profitto illecito del reato di frode informatica in danno del giocatore e della stessa AAMS? l'esistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 640 ter c.p., comma 3, elide l'eventuale reato di peculato, come sostenuto dal Tribunale?").
In particolare non avrebbe considerato che gli autori del reato avevano trattenuto la quota destinata al pagamento del tributo (PREU) comunque dovuto in forza degli obblighi assunti.
6.4. Il ragionamento seguito dal tribunale porterebbe a conseguenze illogiche perchè, mentre sarebbe punito con il peculato l'attività diretta ad occultare alla rete una parte delle giocate con il meccanismo del c.d. abbattimento delle giocate comunicate al server di rete, al contrario sarebbe punito con il più lieve reato di truffa la condotta con la quale si occulta allo Stato una macchina che dovrebbe essere collegata alla rete ma non lo è.
7. Tutti i suddetti argomenti vanno disattesi per le ragioni di seguito indicate.
Ad 6.1: nessuno contesta che il reato in questione "non può in concreto essere commesso da chiunque, ma soltanto da coloro che, in quanto dotati di apposite licenze di P.S. e dell'A.A.M.S. siano autorizzati a posizionare in esercizi pubblici macchine elettroniche per il gioco", nè che non ne possa rispondere il T., sebbene semplice gestore della sala giochi, ex art. 117 c.p..
Tuttavia, il ricorrente trascura di considerare che anche il reato di truffa può essere commesso da un pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio come si desume testualmente dall'art. 61 c.p., n. 9. Con il che si torna al problema iniziale e cioè quello di stabilire quali siano le modalità di differenziazione della truffa aggravata ex art. 61 c.p., n. 9, dal peculato.
Ad 6.2: la sentenza di questa Corte invocata dal ricorrente a sostegno del proprio ricorso, non solo non è in termini, ma afferma, esattamente il contrario.
In quella fattispecie, infatti, si discuteva di un "sistema fraudolento posto in essere dall'indagato e dai suoi complici (mancata contabilizzazione delle giocate) finalizzato a mascherare l'appropriazione del denaro che doveva, invece, essere versato all'Amministrazione dei Monopoli, sicchè correttamente si sono ravvisati gli estremi del peculato".
In altri termini, era successo che l'indagato, in possesso delle somme ricavate dalle slot machine si era appropriato dell'importo del tributo che avrebbe dovuto versare all'Erario, attuando, dopo l'appropriazione, un meccanismo fraudolento (mancata contabilizzazione delle giocate) finalizzato ad occultare l'avvenuta appropriazione.
Nella suddetta fattispecie, quindi, la Corte ha ritenuto la configurabilità del peculato e non della truffa proprio sulla base di quella pacifica giurisprudenza di cui si è detto in quanto l'artificio era stato posto in essere non prima ma dopo l'appropriazione.
Pertanto, il ricorrente, quando, insistendo nella propria tesi, imputa alla decisione del tribunale una pretesa illogicità (argomento sub 4), erra perchè non si avvede che la fattispecie invocata a proprio favore, in realtà, finisce per deporre a favore della tesi opposta, proprio perchè si tratta di un'ipotesi in cui l'agente, occultando una parte delle giocate con il meccanismo del c.d. abbattimento, pone in essere un comportamento fraudolento ex post ossia diretto ad occultare l'appropriazione del denaro di cui aveva già la disponibilità in ragione della funzione svolta. Nel che consiste, per quanto ampiamente illustrato, proprio la differenza fra la truffa aggravata ed il peculato.
Ad 6.3.: tutti gli interrogativi che il ricorrente ha posto e che, a suo dire, il tribunale avrebbe trascurato di porsi, sono fuorvianti per la semplice ragione che sono irrilevanti per risolvere la questione penalistica (e cioè se, nel comportamento tenuto dall'indagato, sia ravvisabile il delitto di truffa aggravata o quello di peculato), attendo al diverso profilo civilistico e cioè se l'indagato debba o no, in adempimento degli obblighi assunti, corrisponder ugualmente il tributo dovuto ed evaso.

7. In conclusione, la decisione impugnata, avendo tratto dal fatto le corrette conclusioni giuridiche, non si presta alle doglianze dedotte dal ricorrente il cui ricorso, pertanto, va rigettato.

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