domenica 17 febbraio 2013

La pluriforme "famiglia" nel delitto di maltrattamenti (Commento a Cassazione penale 17 gennaio 2013 n. 2328)



CASSAZIONE PENALE – Sez. III – 17 gennaio 2013 n. 2328 – Pres. Franco – Est. Amoroso – (Conferma Corte d’Appello di Milano, 4 maggio 2012)

Delitti contro la famiglia – Maltrattamenti – Separazione coniugi – Elemento oggettivo – Rapporto familiare – Sussistenza.
La sussistenza del reato di cui all’art. 572 c.p. non viene meno quando le condotte delittuose riconducibili allo stesso articolo  avvengano in regime di separazione; pertanto i maltrattamenti in famiglia sono rinvenibili anche in evenienze nelle quali sia cessata la convivenza, poiché il regime di separazione lascia intatti i doveri di rispetto reciproco, assistenza morale e materiale e solidarietà, tutti scaturenti dal rapporto matrimoniale. (Nello specifico, il giudice di legittimità ha rigettato l’eccezione della difesa, la quale riconduceva all’art. 612-bis c.p. e non all’art. 572 c.p. determinate condotte moleste e vessatorie, prospettando la cessazione del rapporto “familiare” per intervenuta separazione personale).

LA PLURIFORME “FAMIGLIA” NEL DELITTO DI MALTRATTAMENTI
(Francesco Sollazzo)

La sentenza in esame si colloca lungo quel filone giurisprudenziale ormai consolidatosi in seno alla Suprema Corte, volto ad estendere l’ambito oggettivo di applicabilità del reato di cui all’art. 572 c.p., operando una sorta di continuo restyling del concetto di “famiglia”, adeguandolo certosinamente alle esigenze del divenire temporale.
La configurazione delle condotte vilipendiose del contesto familiare, e segnatamente nei rapporti personali tra partners, sin dagli anni 80’ annovera ambiti non severamente caratterizzati da un legame di coniugio, sia esso civile ovvero religioso. In questo senso, ai fini di cui all’art. 572 c.p., è racchiudibile tout court ogni contesto di persone tra le quali intercorra un legame di relazioni continuative e di consuetudine di vita affini a quello di una normale famiglia legittima” (Cass. Pen., sez. VI, 18 mag. 1990, n. 7073, Nesti; id. Cass. Pen, sez. III, 13 nov. 1985, n. 1691, Spanu; Cass. Pen., sez. VI, 7 dic. 1979, n. 4084, Segre).

All’ampio genus del concetto di famiglia così delineato, tale da ricomprendere molteplici varianti di rapporti relazionali, accomunati dal denominatore comune della discendenza di obblighi reciproci e solidali, soprattutto se in presenza di figli, sono riscontrabili in primo luogo nell’ambito delle convivenze more uxorio, le quali, a prescindere da una predefinita durata, siano state istituite “in una prospettiva di stabilità” (Cass. Pen., sez. III, 5 dic. 2005, n. 44262) derivante da “strette relazioni e consuetudini di vita” (Cass. Pen., sez. VI, 29 gen. 2008, n. 20647). A questo filone sono accomunabili tutte le relazioni interpersonali appartenenti alla cd. “famiglie di fatto”, nonché ai legami sentimentali tra fidanzati (Cass. Pen., sez. V, 30 giu. 2010, n. 24688), fino a considerare sodali del gruppo familiare anche soggetti estranei a rapporti amorosi, ma legati da vincoli parentali, sempre che dagli stessi derivino gli obblighi assistenziali e di solidarietà (Cass. Pen., sez. IV, 3 lug. 1990, n. 1067).
La concezione marcatamente latu sensu di famiglia si rappresenta ancor di più nella sentenza in commento, allorquando, avallando l’orientamento consolidatosi, i maltrattamenti sono altresì annoverabili al reato ex art. 572 c.p. “quando la convivenza sia cessata e quindi anche dopo la separazione dei coniugi,[il cui regime giuridico] lascia integro il dovere di rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale, di solidarietà nascenti dal rapporto coniugale”. Preso atto di come gli ermellini conservino la concezione familiare anche in presenza di regime di separazione personale, legale o di fatto, resta da chiedersi quando cessi allora tale relazione affettiva, in altre parole: quando non si può più parlare di famiglia nell’accezione di cui all’art. 572 c.p.?
La risposta a tale quesito può ben scorgersi in una recente sentenza di legittimità (Cass. Pen., sez. VI, 24 nov. 2011, n. 24575), ove i giudici romani hanno in qualche maniera trattato il punto tra le righe, nell’ambito della delineazione dei giusti confini tra due fattispecie particolarmente contigue: i maltrattamenti in famiglia ed il reato di stalking ex art. 612-bis c.p. A differenza di quest’ultima fattispecie delittuosa, attuabile da “chiunque” giacché “non presuppone l’esistenza di interrelazioni soggettive specifiche”, il reato di maltrattamenti in famiglia è un reato proprio, per cui “specularmente può esser commesso soltanto in pregiudizio di un soggetto che faccia parte di tali aggregazioni familiari o assimilate”. Il provvedimento decisorio in tal senso sembra categorico nello statuire che, laddove vi è famiglia non può prospettarsi la fattispecie di stalking, e viceversa, riservandosi tuttavia la possibilità eventuale di “un concorso apparente di norme [in specie tra il co.2 dell’art. 612-bis c.p. e l’art. 572 c.p.] che renda applicabili (concorrenti) entrambi i reati di maltrattamenti ed atti persecutori”. In particolare, il discrimen di là dal quale non si può più parlare di maltrattamenti in famiglia, coincide con la stessa cessazione del vincolo “familiare” nell’ambito del quale si pongono in essere le condotte delittuose, vale a dire nei casi di “divorzio o di “relazione affettiva” definitivamente cessata ”.
In definitiva la concezione di famiglia nell’ambito delle pronunce giurisprudenziali di legittimità trapassa i confini del coniugio in senso stretto, abbracciando una multiforme varietà di connubi affettivi, che vanno dalla semplice relazione parentale se derivano obblighi di assistenza e solidarietà, alle relazioni sentimentali ed alle cd. “famiglie di fatto”, giungendo sino a ricomprendere i rapporti giuridici di separazione legale o di fatto. La portata concettuale della definizione si arresta però innanzi alla cessazione del vincolo coniugale in presenza di un provvedimento di divorzio, ovvero quando la relazione affettiva e continuativa cessi definitivamente.

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