Articolo del dott. Daniele Tuorto.
Rif: Cassazione Penale, Sez. III, 20 dicembre 2012 n. 49459
Con
la recente sentenza, in epigrafe richiamata, la Suprema Corte torna a statuire
in tema di violenza sessuale, allineandosi ad un orientamento sempre più
granitico: anche il mero palpeggiamento del sedere integra il reato di cui
all’art. 609 c.p.
Nei
fatti di causa, un uomo è stato ritenuto colpevole prima dal Tribunale di Como
poi dalla Corte di Appello di Milano del reato di violenza sessuale (nella
forma continuata di cui all’art. 81 cpv
poiché l’episodio si è verificato in due occasioni) per aver compiuto
atti sessuali su una sua collega, consistiti proprio nel palpeggiamento del
sedere di quest’ultima.
Ricorre
per Cassazione l’imputato sostenendo, in particolare, oltre ad altri motivi di
natura squisitamente procedurale, come la condotta posta in essere dallo stesso
non fosse idonea a concretizzare il reato ascrittogli, trattandosi al più di
comportamenti volgari, privi comunque della necessaria connotazione di “atti
sessuali”.
Non
sono di questo avviso gli ermellini. Richiamando numerosi precedenti conformi
(ex plur. si ricorda Cass. Pen., Sez. III, 18 ottobre 2005 n. 44246 e Cass.
Pen., Sez. III, 02 luglio 2004 n. 37395) la Corte di legittimità afferma come il
palpeggiamento del sedere, posto in essere con atto repentino e comunque in una
situazione in cui la vittima non ha la possibilità di sottrarsi alla condotta
posta in essere dall'aggressore, integra il reato di violenza sessuale.
Infatti,
proprio in uno degli episodi contestati, la vittima aveva le mani impegnate per
portare i piatti e non poteva in alcun modo contrastare le intenzioni
dell’aggressore.
La
decisione in commento, come anticipato, non si smarca dall’insegnamento più
volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di reati sessuali.
Invero,
è oramai pacifico ritenere che i delitti di violenza sessuale offendono la
libertà personale intesa come “libertà di autodeterminazione a compiere un atto
sessuale” (così Cass. Pen., Sez. III, 1 aprile 2004 n. 15464), e non già la
libertà morale della vittima, oppure il pudore e l’onore sessuale di questa.
Su
queste basi si può comprendere allora la rigida prospettiva reocentrica
adottata dalla giurisprudenza. Così, la condotta vietata dall’art. 609 bis c.p.
non si risolve nelle sole ipotesi di congiunzione carnale, ma comprende altresì
ogni contatto corporeo, ancorchè fugace ed estemporaneo, finalizzato (ed
idoneo) a porre in pericolo la libera autodeterminazione nella sfera sessuale
del soggetto passivo, non avendo rilievo determinante, per il perfezionamento
del reato, lo scopo dell’agente, e neppure l’eventuale soddisfacimento del
proprio piacere sessuale (così, da ultimo, Cass. Pen., Sez. III, 29 novembre
2012, n. 49088).
In
altri termini, dunque, l’elemento della “violenza” rilevante ai sensi dell’art.
609 c.p. può estrinsecarsi anche nel compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa tale da sorprendere la vittima e da superare la sua contraria volontà, così ponendola nell’impossibilità di difendersi. (Cass. Pen., Sez. III, 15 giugno 2010, n. 27273).
609 c.p. può estrinsecarsi anche nel compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa tale da sorprendere la vittima e da superare la sua contraria volontà, così ponendola nell’impossibilità di difendersi. (Cass. Pen., Sez. III, 15 giugno 2010, n. 27273).
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