CASSAZIONE PENALE –
Sez. V – 8 Gennaio 2013 n.745 – Pres. Grassi – Est. Bevere – (Annulla
senza rinvio Corte d’Appello Roma, 20 luglio 2011, n. 9228/2008).
Diffamazione – Espressione “ex picchiatore fascista” –
Riscontro dati storici – Antigiuridicità – Esclusione.
L’espressione “ex picchiatore fascista”, pur evidenziando, con la
preposizione “ex”, un dato del passato ha indubbiamente una connotazione
negativa, perché evocativa del vissuto di una persona che andava in piazza,
disponibile non solo a manifestare il proprio pensiero, a confrontare le
proprie idee e a verificare la loro capacità persuasiva verso il dissidente, ma
anche a manifestare la propria forza fisica e a verificare la sua capacità persuasiva,
nel previsto e realizzato contatto diretto, verso il dissidente medesimo; se
tale espressione però si basa su incontestabili dati storici, questi ultimi
conducono necessariamente alla rimozione dell'antigiuridicità della sintetica
definizione compiuta nei confronti del loro protagonista, sia in riferimento al
requisito della verità, sia in riferimento al requisito della continenza.
Diffamazione – Esercizio diritto di critica –
Scriminante – Condizioni – Continenza – Significato.
Continenza significa
“proporzione”, “misura”, e continenti sono
quei termini che non hanno equivalenti e non sono sproporzionati ai fini del
concetto da esprimere in un civile rapporto dialogico e dialettico; la
continenza formale non equivale a obbligo di utilizzare un linguaggio grigio e
anodino, ma consente il ricorso a parole sferzanti, nella misura in cui siano
correlate al livello della polemica, ai fatti narrati e rievocati.
Commento dell' avv. Mirella Pocino
La sentenza in commento si
inserisce nell’alveo di quel filone giurisprudenziale volto all’analisi e alla
delimitazione dei rapporti tra l’esercizio del diritto di critica ex art. 51
c.p. ed il reato di diffamazione ex art. 595 c.p.
Nel caso di specie
l’imputato era stato condannato per il reato di diffamazione ex art 595, comma
III, c.p. per avere offeso la reputazione del danneggiato definendolo “ex
picchiatore fascista”, condotta posta in essere a mezzo di una comunicazione
informatica su un sito web. Di contro, la Suprema Corte ha ritenuto di non
confermare la sentenza della Corte di Appello di Roma in quanto non ha
ravvisato la sussistenza dell’esercizio antigiuridico del diritto di
informazione, del quale il diritto di critica costituisce una specifica
dimensione, nei confronti dell’imputato il quale, benché sia ricorso
all’utilizzo di espressioni non gratificanti ma pienamente correlate e
proporzionate al tema e al livello della polemica, ha descritto un dato storico
in maniera ineccepibile.
Precisamente l’art. 595,
comma III, c.p. sanziona penalmente quelle condotte che offendono il bene
giuridico dell’altrui reputazione “Se l’offesa è recata col mezzo della stampa
o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è
della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a lire un
milione.”
Non può non osservarsi come
sia ben possibile perpetrare tale delitto nel contesto, attualmente
notevolmente diffuso, della comunicazione telematica attraverso il web.
Difatti, il diffuso ricorso allo strumento di internet consente una maggiore e
più immediata diffusione di notizie o fatti che possano ledere l’altrui dignità
e, quindi, una maggiore propagazione degli effetti lesivi dell’illecito che dal
mondo virtuale trasmigrano al mondo reale e viceversa. Inoltre la
giurisprudenza è concorde nell’affermare che detto reato può essere commesso
anche per via telematica o informatica poiché l'azione di immissione del
messaggio "in rete" è idonea a ledere il bene giuridico dell'onore. (Cass. Pen. Sez. V, 27 dicembre 2000, n. 4741),
Volgendo l’attenzione sulle
connotazioni morfologiche del reato di diffamazione ex art. 595 c.p., occorre
osservare che esso è volto a tutelare il bene giuridico della reputazione personale
altrui. Tale è quell’insieme di opinioni o attestazioni di stima riconosciute
in capo ad un individuo nell’ambito della realtà sociale in ragione di proprie
qualità morali, professionali o generalmente attinenti all’esplicitazione della
propria personalità nella dimensione sociale di appartenenza,
costituzionalmente tutelata dall’art 2 Cost. (Corte di Cassazione, 5 Dicembre 1956).
Inoltre, il reato di
diffamazione appartiene alla categoria dei reati di evento e si consuma in quel
dato luogo (anche virtuale) o in quel dato momento in cui i terzi vengano a
conoscenza dell’espressione ingiuriosa. Per quanto concerne la specifica
dimensione dell’attuazione della condotta diffamatoria attraverso il ricorso a
frasi o immagini immesse nel web, occorre tener conto del momento in cui viene
attivato il collegamento ( Corte di
Cassazione 25 Luglio 2006, n. 25875).
In ordine alla
configurazione dell’elemento psicologico nel delitto di diffamazione la
giurisprudenza ritiene necessaria la sussistenza del dolo generico, cioè della
volontà consapevole di ricorrere all’utilizzo di espressioni lesive dell’altrui
reputazione. Pertanto, il dolo può essere tanto generico che eventuale
(nell’ipotesi di accettazione del rischio dell’offesa). Di contro, non è
ritenuto necessario l’animus diffamandi, ovvero
dell’intenzione di offendere la reputazione della persona cui si attribuiscono
determinati fatti, azioni o circostanze. (Corte
di Cassazione 6 Giugno 1988, n. 6671). Il tentativo è ipotesi ritenuta
pacificamente configurabile.
Contestualizzando la
fattispecie diffamatoria nell’ambito della specifica ipotesi di reato di
diffamazione a mezzo stampa di cui all’art. 595 co. 3, c.p., occorre osservare
che questa trova un limite nella’esercizio del diritto di critica ex art. 51
c.p., comma I, il quale così recita ““L’esercizio di un diritto o
l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine
legittimo della pubblica Autorità esclude la punibilità”.
La scriminante
dell’esercizio del diritto di cui all’art. 51 c.p. è espressione del principio qui iure sui utitur naeminem laedit e
del principio di non contraddizione, in ragione dei quali il nostro ordinamento
non può sanzionare una condotta la quale, benché sia astrattamente
sussumibile in una fattispecie di reato, tuttavia si sostanzi nell’esercizio di
una facoltà riconosciuta dall’ordinamento.
Il rimando operato da tale
disposizione ad altre norme dell’ordinamento attributive di diritti o facoltà
ne connotano la struttura di norma penale in bianco; pertanto l’organo
giudicante chiamato a dirimere la controversa dovrà ricorrere al principio del
bilanciamento degli interessi coinvolti, laddove si renda necessaria la sua
applicazione al caso di specie.
Per quanto concerne
l’esercizio del diritto ex art. 51 c.p., comma I, occorre evidenziare come sia
connotato da limiti interni ed esterni. I primi (limiti interni) sono relativi
al quomodo dell’esercizio del diritto
riconosciuto in capo ad un soggetto, nella sua dimensione di posizione
giuridica soggettiva attributiva di poteri teleologicamente orientati alla
realizzazione di un proprio interesse. I secondi (limiti esterni) trovano
riscontro in altre norme di pari dignità del nostro ordinamento, le quali
riconoscono in capo ai consociati ulteriori interessi alla stregua dei quali
l’organo giudicante deve operare un giudizio di bilanciamento in relazione alla
prevalenza o meno del diritto esercitato ex art. 51 c.p., comma I.
Ai fini del commento della
sentenza della Suprema Corte in oggetto, occorre porre l’attenzione sull’esercizio
del diritto di cronaca e di critica quali scriminanti del reato di
diffamazione. Precisamente tali diritti trovano copertura costituzionale
nell’art. 21 Cost. e presentano una duplice dimensione esplicativa: l’una
dimensione è relativa alla garanzia del singolo consociato dell’esercizio del
proprio diritto di espressione del pensiero. L’altra involge la finalità
teleologica del diritto de quo che si
sostanzia nella relativa natura di strumento di partecipazione democratica alla
vita sociale della comunità di riferimento.
Più specificatamente, il
diritto di critica si differenzia da quello di cronaca in quanto attiene
all’espressione di un giudizio o di una opinione di cui non può non ammettersi
l’ontologica attinenza a una interpretazione soggettiva della realtà. Di
contro, il diritto di cronaca si sostanzia nella narrazione di fatti alla
stregua dei canoni della verità (rectius:
verosimiglianza), pertinenza e continenza. Alla luce di quanto affermato,
l’esercizio del diritto di critica può essere limitato solo in un’ottica di
tutela dell’interesse pubblico e sociale della critica stessa (Corte di Cassazione 3 Luglio 1993, n. 6493).
Per quanto concerne il tema
della diffamazione a mezzo stampa, la giurisprudenza della Suprema Corte ha
ribadito più volte il principio di diritto in virtù del quale la verità del
fatto, l’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti e la continenza
nell’esposizione degli stessi siano requisiti imprescindibili per il corretto
esercizio del diritto di critica, che pur trova apposita copertura
costituzionale ex art. 21 Cost (Corte
Cassazione, 4 Luglio 2008 , n. 35646).
Più precisamente la verità
del fatto che si pone alla base della condotta di critica consiste nel divieto
di attribuire ad un determinato soggetto un fatto o una dichiarazione o uno
specifico comportamento dallo stesso mai tenuto o espresso e che, pertanto, non
trovi rispondenza nella realtà sia attuale sia passata come nel caso de quo.
Inoltre, l’interesse
pubblico alla conoscenza dei fatti ricorre qualora essi riguardino personalità
o circostanze fattuali di pubblico dominio ma che non possono legittimare una
illegittima esposizione degli stessi al giudizio critico.
Da ultimo, non in ordine di
importanza, rileva il carattere della continenza delle espressioni verbali
utilizzate, che attiene al quomodo
dell’esercizio del diritto di critica da parte del giornalista. Difatti esso ne
costituisce un vero e proprio limite che deve essere ritenuto travalicato
laddove le espressioni utilizzate siano connotate dal carattere denigratorio e
non siano proporzionate rispetto al fine della cronaca e della critica del
fatto in oggetto. Pertanto, il diritto di cronaca del giornalista deve essere
posto in essere adottando un linguaggio adeguato che si attenga
all’accertamento della verità del fatto riportato o alla proporzionalità dei
termini adottati in relazione all’esigenza di narrare un fatto connotato da
profili di pubblico interesse (Corte di
Cassazione, 4 Luglio 2008, n. 35646).
La Corte di Cassazione,
inoltre, ha affermato che anche nelle
ipotesi di intensa polemica su temi politici e di notevole rilievo sociale (espressione
del principio ex art. 21 Cost.), essa non può e non deve degenerare in attacchi
arbitrari alla dignità della persona cui ci si riferisce (Corte di Cassazione 4 Luglio 2008, n. 35646).
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