CASSAZIONE PENALE – Sez. VI – 23 novembre 2012 n. 1750
– Pres. Serpico – Est. Fidelbo – (annulla con rinvio Trib. Salerno 13 giugno 2012)
Libertà personale – Misure cautelari personali –
Motivazione – Sussistenza esigenze cautelari – Delitti contro la P.A. –
Cessazione rapporto di lavoro del reo.
Nei reati contro la P.A. commessi da funzionari o impiegati pubblici, ai
fini dell’applicazione di misure cautelari personali, il giudice può ritenere
sussistente il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie anche quando
sia cessato o sospeso il rapporto di lavoro del reo con la P.A., dovendo, però,
in tal caso, fornire adeguata motivazione con riferimento alle circostanze di
fatto che lo inducono a ritenere che il reo potrà tenere condotte criminose
analoghe a quelle per le quali è sottoposto a procedimento penale, anche se
nella vesta di soggetto estraneo alla P.A..
Commento del dott. Lorenzo Bonomi
La sentenza in commento si
inserisce nel solco già tracciato da precedenti decisioni della Corte di
Cassazione[1]
relative alla possibilità di ritenere sussistenti le esigenze cautelari di cui
all’art. 274 lett. c) c.p.p. nel caso in cui il reo, indagato o imputato per un
delitto contro la P.A., commesso in pendenza del rapporto di lavoro con la P.A.
medesima, non sia più alle dipendenze di questa.
La motivazione assunta dalla
Corte di Cassazione sembra essere estremamente semplice e si ancora alla
dizione della lettera c) della norma procedurale in precedenza richiamata, il
cui incipit è il seguente: “quando, per specifiche modalità e circostanze
del fatto e per la personalità della persona sottoposta ad indagini o
dell’imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti
penali […]”.
Come è evidente, è forte il
richiamo agli elementi concreti, di fatto o che investono la personalità
dell’imputato, che devono sorreggere la motivazione del giudice nel momento in
cui è chiamato a decidere sulla possibilità di applicare o meno una misura
cautelare personale.
Ancor più forte sembra
essere tale richiamo, in ragione delle molteplici pronunce giurisprudenziali in
tal senso, nel caso in cui si verta in materia di reati contro la Pubblica
Amministrazione commessi da soggetto inserito nel suo organico, nello specifico
caso in cui il rapporto di lavoro sia cessato nel momento storico in cui il
giudice deve applicare o meno la misura cautelare personale richiesta dal
Pubblico Ministero.
In tal caso, infatti, è
chiaro che il reo non potrà più commettere quel tipo di reato ponendosi come
soggetto interno alla pubblica amministrazione, ma non per questo motivo,
afferma la Corte di Cassazione, il giudice non deve ritenere esistente il
pericolo che il reo commetta reati della stessa specie di quello per il quale
si procede. Va ricordato, infatti, che con la locuzione “reati della stessa specie” si intendono tutte quelle figure
criminose mediante la creazione delle quali il legislatore ha inteso proteggere
il medesimo bene giuridico. Pertanto, la circostanza che il reo non sia più
alle dipendenze della pubblica amministrazione, non gli impedirà in senso
assoluto di porre in essere reati di cui al Titolo II, Capo I del Codice
Penale, potendo egli porsi quale soggetto che concorre dall’esterno alla
commissione di tali reati, e, comunque, rimanendo sempre possibile la
commissione di reati contro la P.A. commessi da privati.
Nel lasciare aperta la porta
a decisioni che applichino misure cautelari personali a soggetti non più
inseriti nell’organico della P.A., la Corte di Cassazione impone di effettuare
una valutazione di tutti gli elementi di fatto raccolti. Il giudice dovrà
valutarli attentamente al fine di comprendere se la posizione assunta dal reo
gli consenta realmente di continuare nella perpetrazione di tali crimini quale
soggetto estraneo alla P.A., vuoi perché inserito in una organizzazione che ha
tali finalità, vuoi perché la sua personalità lo induce a ciò.
Del resto, in conclusione,
il principio di diritto in commento altro non è se non la corretta applicazione
del principio secondo cui tutte le decisioni giurisdizionali devono essere sorrette
da una adeguata motivazione che prenda in considerazione tutti gli elementi di
fatto allegati e di diritto coinvolti nella fattispecie all’esame del giudice,
principio da tenere ancor più nella massima considerazione quando si tratta di
disporre l’applicazione di misure limitative della libertà personale su base
cautelare, cioè in un momento in cui, come generalmente accade, non tutte le
prove sono state raccolte e non vi è l’apporto garantistico del
contraddittorio.
[1] Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 28 gennaio 1997, n. 285;
Cass. pen. Sez. VI, 10 marzo 2004, n. 22377; Cass. pen. Sez. VI, 16 dicembre
2009 n. 1963; Cass. pen. Sez. VI, 16 dicembre 2011, n. 9117.
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