sabato 16 marzo 2013

LA CASSAZIONE TRACCIA I CONFINI TRA TRUFFA E INSOLVENZA FRAUDOLENTA.


CASSAZIONE PENALE – Sez. II – 10 gennaio 2013 n. 3169 – Pres. Cammino – Rel. Gallo –  (Conferma App. Trieste Sezione II 20 dicembre 2011)
Truffa – Artifizi e raggiri – Rilascio di assegno su conto corrente inesistente – Inapplicabilità del reato di insolvenza fraudolenta
Integra il reato di truffa, in luogo dell’insolvenza fraudolenta, il rilascio di un assegno tratto sul conto corrente di una società fallita per il pagamento di merce, perché inesistente; viceversa, il versamento di un assegno privo di fondi integrerebbe la diversa ipotesi di insolvenza fraudolenta.


Commento del Dott. Cristian Buttazzoni

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha delineato l'ambito di applicazione tra la truffa e l'insolvenza fraudolenta. Si tratta di due reati contro il patrimonio che rientrano nella categoria dei delitti di cooperazione con la vittima, così come accade anche per la frode in assicurazione o la circonvenzione di persone incapaci; entrambi i reati tutelano il patrimonio della vittima, o più precisamente la libertà di determinazione di quest'ultima in campo patrimoniale. Il soggetto passivo, infatti, si vede indotto a porre in essere un atto dispositivo del proprio patrimonio ovvero, nel caso dell'insolvenza fraudolenta a contrarre un'obbligazione con la certezza che l'altra parte adempia alla propria controprestazione.
Il primo reato si caratterizza, come noto, per la presenza di un'attività caratterizzata da artifizi e raggiri, al fine di conseguire un profitto con conseguente danno per la vittima del reato. Nel dettaglio, il termine "artifizi" sta a indicare la costruzione di una messa in scena totalmente inventata capace di indurre il soggetto passivo a credere che essa sia vera, mentre il termine "raggiri" sta a indicare la costruzione, attraverso l'uso di parole o argomenti di una situazione falsa. La Giurisprudenza ha ampliato il concetto di artificio, ritenendo utile a tali fini anche la simulazione o dissimulazione o qualsiasi espediente subdolo posto in essere per indurre taluno in errore (Cass. 12 dicembre 1983, Barberini).

Il fine (e dunque: l’evento) del reato di truffa, che si può configurare anche nella forma tentata, è costituito dalla realizzazione di un profitto in favore dell'autore con contestuale danno per la vittima (il danno può essere patito dal deceptus o da un soggetto terzo alla vicenda, che risente in maniera negativa degli effetti dell’atto dispositivo compiuto dal primo). Il termine "profitto" sta a indicare non solo un vantaggio di carattere patrimoniale, ma anche qualsiasi ulteriore utilità, a differenza del danno, che deve essere patrimoniale, in quanto derivante da un atto dispositivo di tale natura.
Il diverso reato di insolvenza fraudolenta, invece, non si caratterizza per l'attività ingannatoria che incida sulla formazione del rapporto obbligatorio, bensì sulla sua esecuzione, atteso che oggetto della simulazione è lo stato di insolvenza di cui è colpito l'autore del reato, tale da prospettare all'autore l'ingiusto vantaggio derivante dall'inadempimento delle proprie obbligazioni; un tanto in ossequio alla tesi secondo cui l'insolvenza fraudolenta è punita a titolo di dolo specifico, che si caratterizza per il fine di profitto sopra richiamato[1].
Ne consegue che, nel reato di truffa, oggetto della falsificazione può essere altresì la presenza di procedure concorsuali; si tratta di una dissimulazione di una condizione vera, che viene artificiosamente sottaciuta alla vittima del reato, il quale ritiene di vedere garantito l'adempimento dell'obbligazione della controparte, circostanza che ha particolare rilevanza nei contratti sinallagmatici come la compravendita; questo in luogo del diverso reato di insolvenza fraudolenta in quanto la vittima del reato ritiene di contrarre con una società attiva e, pertanto, ritiene di vedersi garantito il versamento dei corrispettivi in denaro per le prestazioni già effettuate.
La decisione in commento fa infatti riferimento al caso di un assegno tratto sul conto intestato ad una società dichiarata fallita, e quindi inesistente. In questo caso l'imputata ha posto in essere una condotta riconducibile al reato di truffa perché l'assegno intestato a una società fallita è da considerarsi inesistente; al contrario, si sarebbe avuta la diversa ipotesi di reato di insolvenza fraudolenta quando il titolo di credito fosse stato tratto su un conto corrente esistente ma privo di fondi.
Si è perciò verificato un vero e proprio artificio, che ha cagionato un danno patrimoniale alla vittima del reato - la quale si è vista privare della propria merce senza la corresponsione del prezzo - e il contestuale ingiusto profitto dell'autrice del reato, che in questo caso si configura come una mancata diminuzione del proprio patrimonio.


[1] [1] De Marsico, Delitti contro il patrimonio, 1939-40, pag. 230.

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