CASSAZIONE PENALE – Sez. II – 10 gennaio 2013 n. 3169
– Pres. Cammino – Rel. Gallo – (Conferma App. Trieste Sezione II 20 dicembre 2011)
Truffa – Artifizi e raggiri – Rilascio di assegno su
conto corrente inesistente – Inapplicabilità del reato di insolvenza
fraudolenta
Integra il reato di truffa,
in luogo dell’insolvenza fraudolenta, il rilascio di un assegno tratto sul
conto corrente di una società fallita per il pagamento di merce, perché
inesistente; viceversa, il versamento di un assegno privo di fondi integrerebbe
la diversa ipotesi di insolvenza fraudolenta.
Commento del Dott. Cristian
Buttazzoni
Con la sentenza in commento,
la Suprema Corte ha delineato l'ambito di applicazione tra la truffa e
l'insolvenza fraudolenta. Si tratta di due reati contro il patrimonio che
rientrano nella categoria dei delitti di cooperazione con la vittima, così come
accade anche per la frode in assicurazione o la circonvenzione di persone
incapaci; entrambi i reati tutelano il patrimonio della vittima, o più
precisamente la libertà di determinazione di quest'ultima in campo
patrimoniale. Il soggetto passivo, infatti, si vede indotto a porre in essere
un atto dispositivo del proprio patrimonio ovvero, nel caso dell'insolvenza
fraudolenta a contrarre un'obbligazione con la certezza che l'altra parte
adempia alla propria controprestazione.
Il primo reato si
caratterizza, come noto, per la presenza di un'attività caratterizzata da
artifizi e raggiri, al fine di conseguire un profitto con conseguente danno per
la vittima del reato. Nel dettaglio, il termine "artifizi" sta a indicare la costruzione di una messa in scena
totalmente inventata capace di indurre il soggetto passivo a credere che essa
sia vera, mentre il termine "raggiri"
sta a indicare la costruzione, attraverso l'uso di parole o argomenti di una
situazione falsa. La Giurisprudenza ha ampliato il concetto di artificio,
ritenendo utile a tali fini anche la simulazione o dissimulazione o qualsiasi
espediente subdolo posto in essere per indurre taluno in errore (Cass. 12 dicembre 1983, Barberini).
Il fine (e dunque: l’evento)
del reato di truffa, che si può configurare anche nella forma tentata, è
costituito dalla realizzazione di un profitto in favore dell'autore con
contestuale danno per la vittima (il danno può essere patito dal deceptus o da un soggetto terzo alla
vicenda, che risente in maniera negativa degli effetti dell’atto dispositivo
compiuto dal primo). Il termine "profitto"
sta a indicare non solo un vantaggio di carattere patrimoniale, ma anche
qualsiasi ulteriore utilità, a differenza del danno, che deve essere
patrimoniale, in quanto derivante da un atto dispositivo di tale natura.
Il diverso reato di
insolvenza fraudolenta, invece, non si caratterizza per l'attività ingannatoria
che incida sulla formazione del rapporto obbligatorio, bensì sulla sua
esecuzione, atteso che oggetto della simulazione è lo stato di insolvenza di
cui è colpito l'autore del reato, tale da prospettare all'autore l'ingiusto
vantaggio derivante dall'inadempimento delle proprie obbligazioni; un tanto in
ossequio alla tesi secondo cui l'insolvenza fraudolenta è punita a titolo di
dolo specifico, che si caratterizza per il fine di profitto sopra richiamato[1].
Ne consegue che, nel reato
di truffa, oggetto della falsificazione può essere altresì la presenza di
procedure concorsuali; si tratta di una dissimulazione di una condizione vera,
che viene artificiosamente sottaciuta alla vittima del reato, il quale ritiene
di vedere garantito l'adempimento dell'obbligazione della controparte,
circostanza che ha particolare rilevanza nei contratti sinallagmatici come la
compravendita; questo in luogo del diverso reato di insolvenza fraudolenta in
quanto la vittima del reato ritiene di contrarre con una società attiva e,
pertanto, ritiene di vedersi garantito il versamento dei corrispettivi in
denaro per le prestazioni già effettuate.
La decisione in commento fa infatti
riferimento al caso di un assegno tratto sul conto intestato ad una società
dichiarata fallita, e quindi inesistente. In questo caso l'imputata ha posto in
essere una condotta riconducibile al reato di truffa perché l'assegno intestato
a una società fallita è da considerarsi inesistente; al contrario, si sarebbe
avuta la diversa ipotesi di reato di insolvenza fraudolenta quando il titolo di
credito fosse stato tratto su un conto corrente esistente ma privo di fondi.
Si è perciò verificato un
vero e proprio artificio, che ha cagionato un danno patrimoniale alla vittima
del reato - la quale si è vista privare della propria merce senza la
corresponsione del prezzo - e il contestuale ingiusto profitto dell'autrice del
reato, che in questo caso si configura come una mancata diminuzione del proprio
patrimonio.
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