ACCEPTED MARKET PRACTICES (AMPS)
di Cristiana Panebianco
All’interno
della fattispecie del reato di insider
trading emerge una zona franca, esente da illiceità o, per lo più, resa
tale dalla Direttiva madre in tema di manipolazione finanziaria ossia la Directive Market Abuse
n. 2003/6/CE.
Talune
operazioni ovvero ordini di compravendita che “forniscano informazioni false o
fuorvianti in relazione all’offerta, al prezzo, alla domanda di strumenti
finanziari nonché le operazioni di compravendita che consentano tramite
l’azione di una o più persone che agiscano in collaborazione tra di loro, la
fissazione di un prezzo di mercato di uno o più strumento finanziari ad un
livello anormale oppure artificiale, costituiscono la fattispecie di
manipolazione di mercato, a meno che si dia prova che le suddette condotte
siano realizzate sulla base di motivazioni legittime ed in conformità alle
prassi di mercato ammesse sul mercato regolamentato in oggetto.”
Questa la
definizione testuale dell’articolo 1 della direttiva in parola che,
chiaramente, esplicita la possibilità di realizzare una area esente da
antigiuridicità pur in presenza di oggettivi elementi illeciti per la prima
volta, tracci un solco intorno al fenomeno insider.
Il fattore
discriminante, dunque, risiederebbe nella presenza di prassi, ovvero di
comportamenti atti a ripetersi nel tempo tanto da radicarsi nella realtà
socioeconomica relativa.
In massima
sintesi, colui che compia un ordine di compravendita, sostanzialmente idoneo a
determinare una schietta manipolazione del mercato finanziario in cui
quell’ordine avviene, potrebbe perchè a ciò facultato, inequivocabilmente,
dalla stessa direttiva, dichiarare che le motivazioni sottese al compimento
dell’operazione sono legittime perchè conformi alla prassi –meglio, al suo contenuto – ammessa in quel mercato.
La prassi
ammessa ed i suoi elementi diventano, ipso iure, il testo “normativo” in base
al quale determinare o meno l’esistenza di una manipolazione finanziaria: è
instaurato, quindi, un rapporto di genus a species tra il contenuto della
prassi e il comportamento dell’uomo, fraudolento solo in potenza.
Da un lato,
infatti, è obbligatoria la presenza della prassi affinchè quel comportamento
sia lecito ma, dall’altro lato, è necessario che quel comportamento sia
azionato sulla scia di motivazioni legittime.
E’ di
intuitiva evidenza che il contenuto di una prassi sia agevole da cogliere:
vedremo nel prosieguo come la
Direttiva siasi premurata di stabilire dei factors, degli
standards in merito al contenuto ma, circa la legittimità dei motivi, non
abbiamo alcun riferimento.
Infatti,
tale legittimità non è stata esplicitata né dalla normativa comunitaria né da
fonti del diritto interno.
La
normativa comunitaria in parola offre, una breve definizione di prassi ammesse
e, apostrofandola come nuova, per la disciplina nazionale, la descrive come
quella prassi di cui è “ragionevole
attendersi l’esistenza nei mercati”
e che viene ammessa dalle autorità competenti, in conformità alle linee guida
indicate dalla Commissione europea.
Rimane
compito dell’Autorità competente autoctona (in Italia la Consob, in Spagna la CNVM – Comision Nacional del Mercado de Valores; in Francia l’HFM – Autorité des Marchés Financiers; etc. …)
tenere conto della specifica lista -non esaustiva- dei criteri indicati che, laddove rispettati, realizzerebbero l’
“ammissibilità” della prassi.
Nel dettaglio,
si tratta dei seguenti elementi:
a) “la
necessità di salvaguardare il gioco di forza all’interno del Mercato e la
regolare interazione tra domanda e offerta”;
b) “il
livello di impatto della prassi in questione sulla liquidità e sull’efficienza
del mercato”;
c) “il
grado in cui la prassi in questione tiene conto del meccanismo di negoziazione
sul mercato interessato e permette ai partecipanti di reagire prontamente e di
adeguarsi alla nuova situazione creata dalla prassi stessa”;
d) “il
rischio inerente alla prassi in questione per l’integrità dei mercati
direttamente o indirettamente connessi, regolamentata o no, su cui si è
negoziato lo stesso strumento finanziario in tutta la Comunità”.
Facile comprendere, dalla lettura di tali “factors,”come la direttiva in oggetto presenta un contenuto altamente cogente e finalizzato a realizzare, nel concreto, un controllo capillare della medesima prassi e solo se tale controllo risultasse positivo, la suddetta può dirsi ammessa.
Facile comprendere, dalla lettura di tali “factors,”come la direttiva in oggetto presenta un contenuto altamente cogente e finalizzato a realizzare, nel concreto, un controllo capillare della medesima prassi e solo se tale controllo risultasse positivo, la suddetta può dirsi ammessa.
Tuttavia,
una direttiva in tematica successiva, la n. 2004/72/CE individua, segnatamente
nell’articolo 3, le modalità attraverso cui ogni Stato membro, a mezzo della
specifica Autorità nazionale competente, deve attenersi in fase di definizione
della procedura di ammissione della prassi in oggetto.
In
sostanza, una cosa è definire normativamente la prassi ammessa e, in tal modo,
stabilendo il contenuto minimo e indefettibile, decretarne la nascita; altra
cosa è la definizione di quella procedura, rectius
l’iter procedurale, idonea ad ammettere la prassi, ad opera di ogni Stato
membro.
In linea
generale, le competenti autorità nazionale dovrebbero consultare – a seconda
del caso – organismi, quali: i rappresentanti degli emittenti, i prestatori dei
servizi finanziari, dei consumatori, nonché le altre autorità presenti sul
mercato.
Nel nostro
Paese, l’Autorità nazionale competente è la CONSOB così come evidenziato, anche nell’art. 180
lett. c), TUF.
La
CONSOB definisce la prassi ammessa, oltre che in funzione
della loro ragionevolezza (“prassi di cui
è ragionevole attendersi l’esistenza”),
anche in funzione del ruolo che la
CONSOB medesima, nella veste di autorità regolatoria è
chiamata a svolgere e, dunque, individuare la prassi ammessa in conformità
delle disposizioni DMA e, ovviamente, in conformità alle disposizioni di
attuazione di cui alla Direttiva 2004/72/CE.
Tale
attività realizza la realizzazione di fattispecie rectius prassi “ad integrazione progressiva” come evidenzia, anche,
l’articolo 180, lettera c) del Testo Unico.
Possiamo dire
che la decisione sull’ammissibilità della prassi ovvero sulle sue liceità, è
rimessa alla discrezionalità dell’autorità nazionale che decide di
riconoscerla, dipendentemente dalle caratteristiche specifiche del mercato
nazionale considerato.
Senza tale
“ratifica” la prassi è nulla, totalmente inefficace nel dispiegare i suoi
effetti.
Essa deve
essere resa pubblica, deve essere, compiutamente, descritta e inviata al CESR
che ha l’obbligo di pubblicarla sul proprio sito web, secondo il formato
prestabilito e pubblicato nel FIRST SET
OF CESR.
La
pubblicazione della decisione deve contenere la descrizione degli elementi che
hanno condotto all’ammissione di quella prassi giacchè laddove quella medesima prassi
non fosse stata ammessa negli altri Stati membri UE, verrebbe a determinarsi
una forte discrasia.
Che sia
l’Autorità competente a decidere le vicende della prassi di mercato e non il
giudice nazionale, è di facile comprensione: addentrarsi in tale materia poteva
essere compito soltanto di un organo “vicino” alla materia anche se ciò può
sembrare uno scardinamento delle competenze dettate in conseguenza
dell’interpretazione dell’articolo 11 della Carta Costituzionale.
Dobbiamo rilevare l’esistenza di numerosi casi
di tali disomogeneità, dunque di una differente “legiferazione” di ciascun
Stato membro con la conseguenza che i mercati finanziari europei risultano
esposti ad una forte vulnerabilità proprio a causa di queste marcate differenze
al loro interno.
Infatti, nonostante la dichiarata finalità di
uniformare e ravvicinare gli ordinamenti dei Paesi membri – scopo che, lo
ricordiamo, riflette l’intero impianto delle DMA 2003/6/CE, il meccanismo di
riconoscimento delle prassi appare poco oleato e mostra, incontrovertibilmente,
un livello debole di cooperazione tra i regolatori nazionali.
L’esigenza
di armonizzazione è forte ma, all’oggi, non sembra affidata a strumenti
specifici ed efficaci.
Problema
non da poco conto se consideriamo che l’articolo 182, primo comma, TUF,
conformemente all’articolo 10, DMA, stabilisce che i reati e gli illeciti
amministrativi previsti dal titolo 1-bis ovvero l’abuso di informazioni
privilegiate e la manipolazione sono punibili dalla legge italiana anche se
commessi all’estero qualora abbiano ad oggetto strumenti finanziari ammessi o,
per i quali sia stata richiesta l’ammissione, alla negoziazione in un mercato
regolamentato italiano.
Il tema
delle AMPS appare della massima
importanza perché attraverso di essa, non soltanto riusciamo ad individuare e
così, ad enucleare il contenuto definito delle cause di esenzione da
responsabilità, ma anche possiamo osservare, in virtù dei riverberi
straordinariamente importanti delle medesime, la struttura della fattispecie
illecita con maggiore accuratezza.
Ricapitolando:
se esaminiamo i requisiti dettati dalla normativa comunitaria in afferenza alle
prassi ammesse, possiamo, agevolmente, scorgerne il nucleo fondamentale così
sintetizzabile: trasparenza, garanzia dell’interazione tra domanda e offerta,
attenzione alla risposta fisiologica del mercato in questione alla prassi in
fieri, considerazione delle caratteristiche strutturali ivi compreso il
carattere regolamentato e non.
Il legislatore comunitario, dunque, non
individua tipologie di operazione ma stabilisce requisiti irrinunciabili,
quelle che appaiono idonei a garantire l’efficienza e l’integrità del mercato
finanziario.
Quindi, se
in linea generale, è da considerarsi ammessa quella prassi di cui è ragionevole
attendersi l’esistenza, è, d’intuitiva evidenza che, quella ragionevolezza sarà
vagliata in funzione dei criteri dettati dalla Direttiva.
Osservando
il criterio della ragionevolezza come canone di non arbitrarietà, come “metodo
generale di congruenza degli strumenti legislativi rispetto alla finalità da
perseguire”[1],
in tal guisa la ragionevolezza della prassi, finanche evidenziata nell’art.
180, lett. c, TUF, implica un giudizio di relazione fra le caratteristiche del
mercato, ivi comprese le sue fisiologiche debolezze di struttura e le
condizioni che devono essere assicurate.
In tale
chiave, i criteri indicati nella normativa comunitaria e italiana più volte
richiamati, perdono il loro carattere primario e diventano il secondo termine
di relazione essendo il primo, evidentemente, rappresentato dalle
caratteristiche del mercato interessato dal cui ruolo, dinamiche e
caratteristiche, non si può prescindere.
Sarebbe,
infatti, un approccio miope negare il ruolo giocato – per sua naturale
vocazione – del mercato finanziario nella formazione della prassi ammessa e, a
nostro avviso, finanche nel realizzarsi della condotta fraudolenta.
Non esiste
un mercato sviluppato che sia privo di un certo tasso di artifizio. Non esiste
un libero gioco della domanda e dell’offerta in assoluto ma esistono una
domanda e un’offerta compatibili con determinati standards e il loro grado di
compatibilità può essere migliorato anche attraverso operazioni “artificiali”.
Si pensi a quelle operazioni volte a
costituire una soglia minima al corso dei prezzo (creation of a floor in the price pattern): a ben vedere, operazioni
di questo tipo sono inquadrabili nello schema della manipolazione– senza dubbio
– ma, in presenza di altri fattori specifici, come quelli idonei a contrastare
possibili fenomeni speculativi, diventano
non solo lecite ma necessarie.
L’osservazione
analitica del mercato permetterà, quindi, di distinguere la circostanza
fraudolenta da quella fisiologica o parafisiologica, in guisa da realizzare una
valutazione obiettiva della realtà economica.
Per
qualificare una prassi come lecita, è necessario che la medesima si accrediti
come giustificata in virtù di un’esigenza che, a valle, può farsi risalire ad
una specifica ragione economica evidente, non manifestamente illecita.
Ragione
che può estrinsecarsi, anche, nell’esigenza di favorire l’ingresso di imprese
di piccole e medie dimensioni - nel mercato regolamentato e non, al fine
d’incrementarne la rispettiva capitalizzazione ovvero, ancora, nell’esigenza
riferibile a carenze strutturali.
In
conclusione, la tematica delle prassi ammesse appare assai significativa poiché
schiude notevoli spunti di ragionamento.
Innanzitutto,
è bene sottolineare un aspetto non di
poco conto: non parrebbe lineare ricondurre, de plano, la categoria delle prassi ammesse, intesa come
eccezionale ipotesi di esenzione dell’antigiuridicità di un fatto, alla
categoria delle cause di liceità di franca matrice penalistica.
Per una
ovvia ragione: l’esimente non riesce a separarsi dal complesso di una pluralità
di beni o interessi giuridicamente rilevanti ovvero afferisce ad una platea
indefinita di soggetti e situazioni, non racchiudibili nemmeno in via astratta.
La prassi
ammessa, invece, si applica a quel caso e solo a quello, svolge, per così dire,
una funzione singola rispetto ad un bene o interesse prevalente e si connota al
negativo al fine di realizzare la fattispecie autorizzatoria.
Non può
parlarsi, dunque, di tipicità delle ipotesi di manipolazione di mercato bensì
di una monca o, addirittura, dell’assenza di una tipicità perchè laddove una
norma non può rivolgersi ad una serie infinita di destinatari, non è assistita
dalla pregnante caratteristica della tipicità ma spezza l’unità del tipo
legale.
Invero, il
problema è a valle: la mancanza di una omogenea legislazione, in tutti gli
Stati membri, nel segno della manipolazione di mercato, determina ricadute a
cascata sia sul piano più strettamente normativo che su quello sanzionatorio.
Tale
falla, a ben vedere, riguarda tutta la dinamica attraverso cui si atteggia il
fenomeno-reato, insider.
Sfuggente
da rinvenire, di difficile duttilità probatoria, l’insider trading sconta e
palesa la dimensione di un’altra realtà: l’assenza macroscopica di un’autorità
regolatoria europea, un vuoto legislativo in tema di manipolazione di mercato.
La
globalizzazione finanziaria, l’apertura dei mercati pretendono una
regolamentazione che sia davvero globale.
L’esigenza
di armonizzazione delle normative degli Stati membri è forte specie nella grave
crisi finanziaria che si attraversa: studiare un modello di coordinamento tra
le diverse normative antitrust, abusi di mercato, concorrenza ma, soprattutto,
realizzare il raccordo tra le diverse discipline del diritto societario,
rappresenta una sfida a cui l’Europa non può sottrarsi.
Diversamente,
sarà difficile attuare vere riforme legislative in materia finanziaria,
realmente aderenti al mercato a cui afferiscono, realmente efficaci nella
risposta sanzionatoria ma, ancor prima, nella funzione preventiva.
Con una
avvertenza.
Una delle
modalità di formazione del diritto costituzionale europeo sono i principi
generali del diritto.
Questi
principi operano come catalizzatore dei processi di unificazione nelle diverse culture
giuridiche e sono rinvenibili nei contesti più disparati. La carriera dei
principi generali del diritto a livello europeo si deve alla giurisprudenza
della Corte di giustizia europea che li ha costruiti come una categoria di
diritto comune all’interno del Trattato di Maastricht.
L’Unione
Europea, nelle sue declinazioni politche e legislative, rappresenta il
condensato dei principi fondamentali delle nazioni civili.
Ebbene,
l’esigenza di armonizzazione non può prescindere da tutto ciò e, insieme,
dovrebbe diventare anche esigenza di partecipazione ossia un sistema di
regolamentazione che afferisca a materia sensibile–i principi fondamentali
dell’individuo-non può fare a meno della garanzia implementata da modelli
inclusivi nelle vicende decisionali sia di tipo politico che legislativo, in
Europa.
Soprattutto
la materia penale non può eliminare l’approccio della partecipazione sociale.
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