SOLUZIONE PARERE
Cassazione penale, sez. V, 2 ottobre 2014 – 2
dicembre 2014, n. 50345
FATTO
1.
G.S. è stata condannata alla pena di mesi sei di reclusione dal tribunale di
Monza, nonchè al risarcimento dei danni in favore della parte civile, in quanto
ritenuta responsabile dei seguenti reati:
a)
dell'art. 348 c.p., per aver abusivamente esercitato la professione di
avvocato;
b)
del medesimo articolo per aver assunto mandato professionale ad assistere F.A.;
c)
dell'art. 476 per aver formato un falso decreto di archiviazione;
d)
dell'art. 640, perchè, con artifici e raggiri consistiti nel presentarsi quale
avvocato a F.A., si procurava l'ingiusto profitto rappresentato dal
corrispettivo da costui versato in relazione all'attività professionale
asseritamente prestata;
e)
del reato di cui all'articolo 485 perchè falsificava la firma di F.A. in calce
all'atto di nomina di difensore di fiducia a lei conferito.
2.
La corte d'appello di Milano dichiarava non doversi procedere in ordine ai capi
a) ed e) di cui sopra perchè estinti per intervenuta prescrizione. Confermava
nel resto la sentenza di condanna, rideterminando la pena in mesi quattro di
reclusione (in aumento di quella inflitta con sentenza del gip del tribunale di
Monza del 25 settembre 2007).
3.
Contro la predetta sentenza propone ricorso per cassazione l'imputata per i
seguenti motivi:
1.
violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 348 c.p., art.
110 c.p.p., e art. 39 disp. att. c.p.p.;
sotto
tale profilo-: sostiene che l'autenticazione del mandato difensivo non
costituisca atto tipico della professione forense, se ad esso non segue lo
svolgimento di attività processuale. In subordine, ritiene che la fattispecie
sia assorbita, quale elemento necessario (l'artifizio), nel reato di truffa.
2.
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 476 e 482
c.p., nonchè artt. 516 e 522 c.p.p.; sostiene la ricorrente che il reato di cui
all'art. 476 sia reato proprio e che, nel caso di specie, proprio per il fatto
di non essere titolare della funzione forense, il fatto dovrebbe essere
qualificato come falsità materiale commessa da privato (art. 482 c.p.). In
subordine, sostiene la incapacità del falso di trarre in inganno soggetti
estranei all'ordinamento giudiziario, essendo l'atto diretto a persona
"addetta all'ordinamento".
3.
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 640 del
codice penale e 192 cod. proc. pen.; sostiene la ricorrente che non vi sia
stato danno per il F., in quanto a lui è stato consegnato l'importo complessivo
di Euro 5.000,00 e tali somme non potevano non essere giustificate se non
proprio in ragione delle attività legittime svolte nel suo interesse
dell'imputato.
4.
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 89 c.p., per
omessa concessione dell'invocata attenuante dell'infermità mentale.
Diritto
CONSIDERATO
IN DIRITTO
1.
Il ricorso è parzialmente fondato con riferimento al secondo motivo di ricorso.
Il primo motivo è destituito di fondamento;
invero,
integra il delitto di esercizio abusivo della professione di avvocato la
condotta di chi, conseguita l'abilitazione statale, provveda all'autenticazione
della sottoscrizione del mandato difensivo prima di aver ottenuto l'iscrizione
all'albo professionale (Sez. 6, n. 27440 del 19/01/2011, Sgambati, Rv. 250531);
poco importa che nel caso trattato dalla sentenza richiamata l'imputato avesse
poi svolto attività giudiziaria, dal momento che la predetta pronuncia non
aveva collegato la responsabilità al successivo uso del mandato, ma all'atto in
sè. Per comprenderlo è sufficiente riportare un passo della motivazione, che
così recita: "La sentenza impugnata fa buon governo della legge penale e
dà conto, con motivazione adeguata e logica, delle ragioni che giustificano la
conclusione alla quale perviene. E' indubbio che l'autenticazione della
sottoscrizione del mandato difensivo, così deve essere qualificato l'atto che
viene qui in rilievo, è atto tipico della professione forense e, in quanto
tale, riservato a chi legittimamente tale professione può esercitare (art. 39
disp. att. c.p.p.). L'art. 348 c.p. è norma penale in bianco, che presuppone
l'esistenza di norme giuridiche diverse, qualificanti una determinata attività
professionale, le quali prescrivano una speciale abilitazione dello Stato ed
impongano l'iscrizione in uno specifico albo. Ne consegue che è abusivo
l'esercizio della professione di avvocato da parte di colui che, pur avendo
conseguito l'abilitazione statale, non sia iscritto all'albo professionale,
considerato che tale iscrizione è imposta da norma cogente quale condizione
inderogabile per l'esercizio della professione (R.D.L. n. 1578 del 1933, art.
1). Lo Sgambati, nel momento in cui (24/3/2004) pose in essere l'atto tipico
innanzi citato, non era ancora iscritto nell'albo professionale, iscrizione
intervenuta solo il 2 aprile successivo, e non poteva, quindi, assumere il
titolo di avvocato nè esercitare le relative funzioni.
La
condotta posta in essere dall'imputato, pur nella sua oggettiva marginalità,
della quale il giudice di merito ha tenuto conto nel determinare il trattamento
sanzionatorio, integra il reato contestato".
2.
D'altronde, l'esercizio abusivo della professione legale, ancorchè riferito
allo svolgimento dell'attività riservata al professionista iscritto nell'albo
degli avvocati, non implica necessariamente la spendita al cospetto del giudice
o di altro pubblico ufficiale della qualità indebitamente assunta, sicchè il
reato si perfeziona per il solo fatto che l'agente curi pratiche legali dei clienti
o predisponga ricorsi anche senza comparire in udienza qualificandosi come
avvocato (Sez. 5, Sentenza n. 646 del 06/11/2013, Rv. 257955).
3.
Il secondo motivo di ricorso, invece, merita accoglimento; la motivazione della
corte d'appello sul punto è oscura e non appagante; in ogni caso la sentenza
conferma la condanna per il reato di cui all'art. 476, che presuppone la
qualifica di pubblico ufficiale del suo autore. Nel caso di specie, l'imputata,
non avendo la qualifica millantata,..difettava di un presupposto fondamentale
del reato. Il fatto, dunque, deve essere riqualificato come falsità materiale
commessa dal privato ai sensi dell'art. 482 c.p.; non vi è violazione del
principio di correlazione, atteso che la contestazione in fatto era specifica, nè
vi è violazione dei diritti della difesa, atteso che la riqualificazione
giuridica in tal senso è stata sollecitata proprio dalla parte. Consegue,
all'accoglimento del ricorso, l'annullamento della sentenza in parte qua ed il
rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano per la rideterminazione
del trattamento sanzionatorio, che dovrà evidentemente subire una diminuzione,
attesa la minore pena edittale prevista per tale reato.
4.
Non può essere accolta, invece, la censura relativa all'assorbimento del reato
in quello di cui all'art. 640, in quanto gli artifici utilizzati consistevano
non tanto nell'assumere il mandato difensivo, quanto piuttosto nel presentarsi
quale avvocato.
5.
Anche il terzo motivo di ricorso è infondato, atteso che per escludere il danno
a carico della persona offesa non è sufficiente che questa abbia ricevuto
alcune somme di denaro, dovendosi altresì provare che quanto ricevuto era non
inferiore a quello che egli avrebbe potuto recuperare se la G. fosse stata
effettivamente un avvocato ed avesse proceduto giudizialmente.
D'altronde,
la stessa corte d'appello, con valutazione di merito non sindacabile in
cassazione, ha ritenuto sussistente un danno conseguente alla mancata difesa
nei procedimenti penali. Infine, si deve osservare che il riferimento ai Euro
5.000 ricevuti dalla G. sia tutt'altro che certo, dal momento che in sentenza
si afferma che l'assegno di Euro 2.500,00 era stato sottratto ad un terzo ed
abusivamente riempito e quindi non vi è prova che sia stato regolarmente
incassato dalla persona offesa, dovendosi anzi presumere il contrario.
6.
Il quarto motivo di ricorso è inammissibile in quanto diretto a censurare una
valutazione di merito che i giudici di primo e secondo grado hanno condotto con
motivazione più che sufficiente e priva di vizi logici evidenti.
7.
Ne consegue che il ricorso deve essere accolto, limitatamente al reato di cui
all'art. 476 c.p., da riqualificarsi ai sensi dell'art. 482 c.p., con rinvio ad
altra sezione della Corte d'appello di Milano per la rideterminazione del
trattamento sanzionatorio.
8.
Considerato che la sentenza di condanna, nella parte di accertamento, della
responsabilità, passa in giudicato, dovendosi solo più quantificare la
sanzione, l'eventuale decorso della prescrizione in data successiva alla
presente sentenza non assumerà più alcun rilievo.
PQM
P.Q.M.
riqualificato
il fatto di cui al capo B del procedimento numero 10.633-07 nel reato di cui
all'art. 482 c.p., annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione
della Corte d'appello di Milano per la rideterminazione del trattamento
sanzionatorio. Rigetta nel resto.
Così
deciso in Roma, il 2 ottobre 2014.
Depositato
in Cancelleria il 2 dicembre 2014
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