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Cassazione
penale, sez. VI, 3 maggio 2013, n. 19190.
MASSIMA
La
condotta di sollecitazione, punita dal comma quarto dell'art. 322
cod. pen., si distingue sia da quella di costrizione - cui fa
riferimento l'art. 317 cod. pen., nel testo come modificato dall'art.
1, comma 75 della l. n. 190 del 2012 - che da quella di induzione -
che caratterizza la nuova ipotesi delittuosa dell'art. 319 quater
cod. pen, introdotta dalla medesima l. n. 190 - in quanto si
qualifica come una richiesta formulata dal pubblico agente senza
esercitare pressioni o suggestioni che tendano a piegare ovvero a
persuadere, sia pure allusivamente, il soggetto privato, alla cui
libertà di scelta viene prospettato, su basi paritarie, un semplice
scambio di favori, connotato dall'assenza sia di ogni tipo di
minaccia diretta o indiretta sia, soprattutto, di ogni ulteriore
abuso della qualità o dei poteri. (Nella specie, la Corte ha
ritenuto integrata l'ipotesi di cui al comma quarto dell'art. 322
cod. pen. in un caso in cui un consulente tecnico di ufficio in una
causa civile per la determinazione dell'indennità di esproprio aveva
contattato una parte processuale, prospettandole una supervalutazione
del bene immobile come alternativa alla corretta valutazione, che
avrebbe comunque effettuato, in cambio di una percentuale sulla
differenza).
SENTENZA
RITENUTO
IN FATTO
1.
Con sentenza del 24 ottobre 2011 la Corte d'appello di Roma, in
riforma della sentenza del G.i.p. del Tribunale di Roma del 10
dicembre 2010 - che dichiarava F.G. colpevole del reato di
concussione in rubrica ascrittogli, condannandolo alla pena di anni
due e mesi otto di reclusione, con la concessione delle attenuanti
generiche e la diminuente del rito abbreviato, oltre all'interdizione
perpetua dai pubblici uffici ed al risarcimento del danno in favore
delle parti civili - ha sostituito la pena accessoria applicata con
quella dell'interdizione temporanea per la durata corrispondente alla
pena detentiva inflitta, confermando nel resto la su indicata
decisione di primo grado.
2.
La pronuncia del Giudice di prime cure era pervenuta al su indicato
esito decisorio muovendo dal presupposto che la condotta
dell'imputato dovesse essere inquadrata nell'ambito della
concussione, e non dell'istigazione alla corruzione come invocato
dalla difesa, sul rilievo che egli, dopo esser stato nominato C.T.U.
nell'ambito di una causa civile pendente innanzi alla Corte d'appello
di Roma e avente ad oggetto la determinazione definitiva di
un'indennità di esproprio relativa ad un terreno di proprietà delle
attrici V.A.M. e
V.R., avrebbe abusato della sua qualità e dei suoi
poteri di pubblico ufficiale nel determinare il valore del bene
immobile oggetto di contenzioso.
Il
valore del terreno era stato stimato dal Comune di Roma in misura
pari all'importo di Euro 1,7 milioni circa, a fronte di una
valutazione di oltre Euro sette milioni indicata dal consulente
tecnico di parte delle signore V.. L'imputato, assumendo l'iniziativa
di contattare il legale delle sorelle V. (Avv. Francesco Palermo) per
prospettargli la possibilità di innalzare il valore minimo del
terreno - pari all'importo di Euro tre milioni - portandolo sino a
quello di Euro 5,5 milioni, o più, qualora le sue clienti gli
avessero versato una somma di denaro, avanzava la richiesta di un
anticipo di Euro 10.000,00, - subito dopo aumentata del doppio - da
corrispondergli entro la data di deposito della sua perizia: tale
pretesa economica corrispondeva al 5% della differenza tra l'importo
di Euro tre milioni - indicato come valutazione di base - e quello
che sarebbe stato riconosciuto in sentenza per effetto della
supervalutazione del bene che egli mostrava di poter fare.
Nei
successivi contatti telefonici intercorsi con il legale delle signore
V. in data 10 settembre 2010, il F. precisava che il doppio si
riferiva non al totale, ma alla somma da corrispondergli quale
anticipo di quanto richiesto. In data 11 settembre 2010 il legale
delle attrici si recava dai Carabinieri per sporgere un'articolata e
documentata denuncia, seguita dalla predisposizione di una consegna
controllata di banconote previamente fotocopiate, che sarebbe quindi
sfociata il 13 settembre 2010 nell'arresto del F., avvenuto nei
pressi del Tribunale civile di Roma, luogo ove egli aveva indicato
l'appuntamento con un messaggio di posta elettronica. All'atto
dell'arresto, oltre a recuperare la busta contenente il denaro, gli
agenti di P.G. ricevevano dal legale delle attrici copia della bozza
di relazione di consulenza tecnica che il F. gli aveva appena
affidato. Nelle relative conclusioni si indicava quale valore venale
del terreno al momento dell'esproprio la somma di Euro 5.739,717.
L'imputato, arrestato in flagranza del reato ex art. 317 c.p., veniva
quindi sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari,
poi sostituita con quella dell'obbligo di presentazione alla P.G..
3.
Con ricorso per cassazione avverso la su citata decisione della Corte
d'appello di Roma la difesa di F.G. ha proposto un unico motivo di
doglianza, incentrato sulla violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1,
lett. b), in relazione agli artt. 317 e 322 c.p., per avere i Giudici
di merito ritenuto che il fatto realizzasse il reato di concussione
semplicemente in ragione dello status di pubblico ufficiale assunto
dall'imputato.
In
tal caso, tuttavia, non avrebbe alcuna ragion d'essere la
disposizione di cui all'art. 322 c.p., comma 4, neppure quale ipotesi
residuale. Si ha infatti concussione quando la parte privata certat
de damno vitando, mentre in nessun momento della condotta tenuta
dall'imputato sarebbero emersi elementi idonei a prospettare alla
controparte l'eventualità di subire un danno.
Diritto
CONSIDERATO
IN DIRITTO
4.
Il ricorso è fondato e va accolto nei limiti e per gli effetti di
seguito indicati.
5.
Sulla stregua di un insegnamento giurisprudenziale ormai da tempo
affermato in questa Sede (Sez. 6, n. 11382 del 21/01/2003, dep.
11/03/2003, Rv. 224260; Sez. 6, n. 26266 del 01/04/2011, dep.
06/07/2011, Rv. 250729), deve preliminarmente rilevarsi che, nel caso
di una richiesta, anche reiterata, di denaro da parte del pubblico
ufficiale, che venga comunque rifiutata, non ricorre il delitto di
concussione, neppure nella forma del tentativo, ma è configurabile
il reato di istigazione alla corruzione, previsto dall'art. 322 c.p.,
comma 4, quando difettino gli elementi della costrizione o
dell'induzione nei confronti del privato, prodotta dal pubblico
ufficiale con l'abuso della sua qualità o dei suoi poteri.
Gli
elementi descrittivi della fattispecie di istigazione alla corruzione
attiva propria ex art. 322 c.p., comma 4, ruotano attorno alla
sollecitazione di una promessa o dazione di denaro od altra utilità,
rivolta al privato da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato
di pubblico servizio ed in concreto suscettibile di accoglimento da
parte del destinatario.
La
condotta di sollecitazione richiesta per la integrazione della
fattispecie in esame si distingue sia da quella di costrizione (art.
317 c.p.), sia dall'altra, maggiormente affine, di induzione indebita
(art. 319 quater c.p.), essendo stata delineata dal legislatore,
secondo una scelta confermata anche a seguito della recente novella
n. 190/2012, quale richiesta formulata senza esercitare pressioni o
suggestioni che tendano a piegare, ovvero a persuadere, sia pure
allusivamente, il soggetto privato, alla cui libertà di scelta viene
prospettato, su basi paritarie, un semplice scambio di favori o di
vantaggi, connotato dall'assenza di ogni tipo di minaccia, diretta o
indiretta, e soprattutto dall'assenza di ogni, ulteriore, abuso della
qualità o dei poteri. Deve dunque trattarsi di una richiesta
avanzata senza particolare insistenza, all'interno di un rapporto che
la vicenda storico-fattuale consenta di ritenere concretamente
caratterizzato da una totale parità di posizioni tra i soggetti che
vi prendono parte, e oggettivamente diretto al mercimonio dei
pubblici poteri (Sez. 6, n. 3251 del 03/12/2012, dep. 22/01/2013, Rv.
253937).
Diversa soluzione ermeneutica dovrebbe invece prospettarsi, con la
conseguente sussunzione del fatto nello schema descrittivo delineato
dal combinato disposto degli artt. 56 e 317 c.p., ogni qual volta la
condotta del pubblico ufficiale sia astrattamente idonea a
determinare uno stato di soggezione, anche se poi - per la
particolare resistenza o forza del soggetto passivo - tale risultato
non si produca, laddove il delitto di istigazione alla corruzione
costituisce un'ipotesi del tutto residuale, di chiusura del sistema,
introdotta dal legislatore per punire quelle condotte del pubblico
ufficiale nelle cui modalità di realizzazione non sia possibile
ravvisare alcun significato di costrizione o di induzione nei
confronti del privato (Sez. 6, n. 6113 del 25/02/1994, dep.
25/05/1994, Rv. 198498).
Ai
fini della configurabilità del tentativo di concussione, infatti, si
ritiene necessaria l'oggettiva efficacia intimidatoria della
condotta, mentre è indifferente il conseguimento del risultato
concreto di porre la vittima in stato di soggezione, potendo
quest'ultima determinarsi al comportamento richiesto per mero calcolo
economico, attuale o futuro, o per altra valutazione di tipo
utilitaristico (Sez. 6, n. 30764 del 22/05/2009, dep. 23/07/2009, Rv.
244867).
Nel caso di specie, tuttavia, l'imputato ebbe cura di precisare
quella che a suo avviso doveva essere ritenuta la valutazione
corretta del bene da stimare, palesando al destinatario della sua
attività sollecitatrice la possibilità di indicarne una
supervalutazione idonea a determinare l'ingiusta locupletazione di
entrambi, senza che in alcun momento della condotta delittuosa sia
stato possibile individuare un'incidenza effettiva sulla libertà di
autodeterminazione delle destinatane della richiesta, attraverso la
prospettazione di conseguenze sfavorevoli, o comunque di un pericolo
di pregiudizio legato ad un'ingiusta sottovalutazione del bene.
Emerge
chiaramente dal percorso motivazionale dell'impugnata pronunzia, del
resto, che la dazione della somma di denaro ottenuta dall'imputato in
occasione dell'incontro del 13 settembre 2010 venne simulatamente
effettuata dal legale delle attrici non certo per effetto di
soggezione psicologica nei confronti del soggetto attivo, ma solo per
consentirne l'arresto in flagranza, con la conseguente
predisposizione del servizio di appostamento ed intervento in loco.
Integra,
dunque, il delitto di istigazione alla corruzione previsto dall'art.
322 c.p., comma 4, la condotta del C.T.U., nominato in una causa
civile per la determinazione dell'indennità di esproprio, che prenda
contatti con una delle parti prospettandole una supervalutazione del
bene immobile come alternativa alla sua corretta valutazione - che
comunque effettuerà - e le chieda di corrispondergli una percentuale
da calcolare sulla differenza dell'importo complessivamente stimato.
Ne
discende, ancora, che l'abuso richiesto per la configurazione dei
reati di "concussione" (art. 317 c.p.) e di "induzione
indebita" (art. 319 quater, c.p.) non può essere sic et
simpliciter identificato, anche a seguito delle modifiche introdotte
dalla recente novella legislativa, nella indebita richiesta di denaro
o di altra utilità, rivolta dal pubblico ufficiale al privato (Sez.
6, 11 gennaio 2013 - 8 aprile 2013, n. 16154), poichè la mera
"sollecitazione" in tal senso, ancorchè reiterata, si
sviluppa comunque attraverso forme comportamentali inidonee a
determinare quella condotta costrittiva propria del primo modello
sopra indicato - che, pur non eliminandola del tutto, incide
gravemente sulla libertà di autodeterminazione del soggetto passivo
- ed integra, di norma, nel caso sia rifiutata, il reato di
istigazione alla corruzione punito dall'art. 322, commi terzo e
quarto, c.p., e, se accolta, quello di corruzione consumata, punito
dall'art. 318, o, rispettivamente, dall'art. 319 c.p.. Sotto altro,
ma connesso profilo, anche la condotta induttiva prevista per la
configurabilità della diversa ipotesi delittuosa prevista dall'art.
319 quater c.p., così come introdotta dalla L. n. 190 del 2012, art.
1, comma 75, richiede un quid pluris consistente nella esigenza che
la medesima attività sollecitatrice sia preceduta o accompagnata da
uno o più atti che costituiscono estrinsecazione del concreto abuso
della qualità o del potere dell'agente pubblico (Sez. 6, n. 16154
del 11/01/2013, dep. 08/04/2013, Rv. 254540).
6.
In conclusione, alla stregua delle su esposte considerazioni,
diversamente qualificata l'imputazione ai sensi dell'art. 322 c.p.,
comma 4, la sentenza impugnata va annullata limitatamente alla misura
delle pene principali ed accessorie e rinviata per la conseguente
rideterminazione delle stesse ad altra sezione della Corte d'Appello
di Roma.
P.Q.M.
riqualificato
il fatto ex art. 322 c.p., comma 4, annulla la sentenza impugnata e
rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello di
Roma.
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