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Cassazione
penale, sez. V, 29 aprile 2013, n. 18826.
IL CASO (Traccia possibile parere)
Caia, licenziata dalla sua datrice di lavoro Mevia ed iniziata una causa civile nei suoi confronti, decideva di divulgare sulla "chat" telematica "Eros", il numero di utenza cellulare di Mevia., che, di conseguenza, aveva ricevuto, anche in ore notturne, molteplici chiamate e messaggi (sms) provenienti da vari utenti della "chat" interessati ad incontri ovvero a conversazioni di tipo erotico, alcuni dei quali l'avevano apostrofata con parole offensive, come "troia", ovvero le avevano inviato mms con allegate immagini pornografiche, di cui era stata possibile solo una parziale identificazione. Appresa l’esistenza di una denuncia verso ignoti da parte di Mevia, Caia si rivolge al vostro studio legale preoccupata della sua condotta e per conoscerne le eventuali conseguenze penali.
MASSIMA
Integra
il delitto di sostituzione di persona la condotta di chi inserisca
nel sito di una "chat line" a tema erotico il recapito
telefonico di altra persona associato ad un "nickname" di
fantasia, qualora abbia agito al fine di arrecare danno alla
medesima, giacché in tal modo gli utilizzatori del servizio vengono
tratti in inganno sulla disponibilità della persona associata allo
pseudonimo a ricevere comunicazioni a sfondo sessuale.
SENTENZA
Fatto
Con
sentenza pronunciata il 26.30.2009 il tribunale di Trieste aveva
condannato C.C., imputata dei reati di cui agli artt. 594, 660 e 494
c.p., commessi in danno di M.M., alla pena ritenuta di giustizia,
oltre al risarcimento dei danni derivanti dal reato, liquidati nella
complessiva somma di Euro 5000,00.
Il
tribunale aveva condiviso l'ipotesi accusatoria, secondo cui
l'imputata, aveva divulgato sulla "chat" telematica "
(OMISSIS)", il numero di utenza cellulare di M.M., sua ex
datrice di lavoro con la quale aveva in corso una pendenza
giudiziaria di natura civilistica, che, di conseguenza, aveva
ricevuto, anche in ore notturne, molteplici chiamate e messaggi (sms)
provenienti da vari utenti della "chat" interessati ad
incontri ovvero a conversazioni di tipo erotico, alcuni dei quali
l'avevano apostrofata con parole offensive, come "troia",
ovvero le avevano inviato mms con allegate immagini pornografiche, di
cui era stata possibile solo una parziale identificazione.
In
tal modo la C. aveva tratto in inganno i suddetti utenti,
determinandoli a recare molestia o disturbo alla M. e ad offenderne
l'onore ed il decoro, integrando con la sua condotta anche la
fattispecie di reato delineata dall'art. 494 c.p. (sostituzione di
persona).
Con
sentenza del 20.10.2011 la corte di appello di Trieste, in parziale
riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi
procedere nei confronti della C., in relazione al reato di cui
all'art. 660 c.p., perchè estinto per prescrizione, con conseguente
rideterminazione della pena irrogata in senso più favorevole al reo,
confermando nel resto l'impugnata sentenza.
Avverso
tale decisione, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso, a
mezzo del suo difensore di fiducia, l'imputata articolando distinti
motivi di impugnazione. Con il primo motivo la C. eccepisce i vizi di
cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione
all'art. 494 c.p. e art. 192 c.p.p..
Osserva,
al riguardo, la ricorrente che, punendo, l'art. 494 c.p., la condotta
di colui che "sostituendo illegittimamente la propria all'altrui
persona o attribuendo a sè o ad altri un falso nome.....procura a sè
o ad altri un vantaggio o reca ad altri un danno", ove anche
fosse vero che la C. abbia aperto nella rete un profilo con uno
pseudonimo, comunque ciò non sarebbe sufficiente ad integrare il
delitto in questione, non essendo sufficiente, a tal fine, la mera
divulgazione del numero di un telefono cellulare.
Oggetto
della tutela penale apprestata dall'art. 494 c.p., è, infatti, la
pubblica fede, che può essere pregiudicata da inganni relativi alla
vera essenza di una persona o alla sua identità o ai suoi attributi
sociali, non ad un semplice numero di telefono.
Inoltre,
rileva la ricorrente, nel caso in esame nessuno è stato indotto in
errore, non il gestore della "chat", il quale aveva un
preciso riferimento nel soggetto generatore del "nickname"
(la ditta "Idrotermica Celotti", appartenente al padre
dell'imputata), nè gli utenti della rete, i quali sapevano fin
dall'origine di non interloquire con alcuna persona determinata e
riconoscibile, non risultando, inoltre, che vi sia stata alcuna
conversazione tra i menzionati utenti e l'imputata, nel corso della
quale quest'ultima si sia spacciata per la M..
Con
il secondo motivo la ricorrente lamenta i vizi di cui all'art. 606
c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all'art. 192 c.p.p.,
sotto un diverso profilo, in quanto si è affermata la penale
responsabilità della C. sulla base di fatti diversi, accaduti in
periodi differenti da quelli indicati nel capo d'imputazione.
Ad
avviso della ricorrente, infatti, nel corso dell'istruttoria
dibattimentale è emerso, da un lato che le occasioni d'inserimento
del numero dell'utenza cellulare della persona offesa in rete sono
state due: a) l'attivazione del profilo "(OMISSIS)" sul
sito "(OMISSIS)", mediante l'utenza domestica collegata ad
internet, intestata alla ditta di termoidraulica biologica del padre
dell'imputata, cui si fa riferimento nel capo d'imputazione; b)
l'attivazione di una "chat" telefonica mediante il gestore
"H3G", attraverso ed in associazione con un'utenza
telefonica intestata alla C. (n. (OMISSIS)), non compresa nel capo
d'imputazione;
dall'altro
che la M. ha subito molestie con due telefonate offensive, nelle
quali veniva apostrofata "stronza puttana", da attribuirsi
al soggetto utilizzatore del telefono mobile contraddistinto dal
numero (OMISSIS), pure intestato alla C..
Orbene,
evidenzia l'imputata, solo la prima condotta è stata riportata nel
capo d'imputazione, non le altre, sulle quali i giudici di merito non
potevano fondare la sentenza di condanna, essendo al di fuori della
contestazione e che, invece, sono state prese in considerazione,
"addirittura modulando la pena in funzione della lunga durata
del progetto criminoso".
Con
il terzo motivo la ricorrente lamenta sempre i vizi di cui all'art.
606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all'art. 192
c.p.p., in quanto, la corte territoriale, da un lato ha omesso di
attribuire il giusto rilievo ad un elemento di particolare
importanza, vale a dire alla circostanza che, come emerso dalla
istruttoria dibattimentale ed, in particolare dalle dichiarazioni
della stessa persona offesa e del teste G.R., il numero di telefono
della M. era già stato inserito "su profili internet ancora
prima che l'Idrotermica Celotti attivasse il profilo (OMISSIS)",
il che "induce a pensare che altri soggetti avessero reso
pubblico il cellulare della costituita parte civile";
dall'altro
non ha considerato che, come emerso dall'istruttoria dibattimentale,
anche il padre dell'imputata aveva motivi di astio nei confronti
della persona offesa, che non gli aveva pagato nessun corrispettivo
per lavori effettuati dal C., di cui la M. negava l'esecuzione
stessa, e poteva liberamente accedere al personal computer, intestato
alla sua ditta, con cui fu attivato il profilo "(OMISSIS)".
Con
il quarto motivo la ricorrente eccepisce i vizi di cui all'art. 606
c.p.p., comma 1, lett. b), d) ed e), in relazione all'art. 192
c.p.p., in quanto i giudici di merito hanno affermato la
responsabilità penale dell'imputata sul presupposto che, come
attestato dalla compagnia telefonica "H3G", il profilo
denominato "(OMISSIS)" fosse associato all'utenza
telefonica n. (OMISSIS), formalmente intestata alla C., laddove nel
corso dell'udienza dibattimentale del 21.10.2008 i testi Z. e C.G.
hanno precisato che l'utenza in uso alla ricorrente era quella
contraddistinta dal n. (OMISSIS) e che l'imputata, pur avendo
intestate altre diverse schede, in realtà non le utilizzava, per cui
la corte territoriale, che sul punto ha omesso qualsiasi motivazione,
avrebbe dovuto rinnovare l'istruttoria dibattimentale per accertare
chi fosse l'effettivo utilizzatore della scheda utilizzata per
l'attivazione del suddetto profilo e di quella n. (OMISSIS),
impiegata per le telefonate moleste ricevute dalla M. nella serata
dell'(OMISSIS), pure oggetto di valutazione da parte dei giudici di
merito.
Con
il quinto motivo, infine, la ricorrente eccepisce i vizi di cui
all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all'art.
192 c.p.p., sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, nella
parte in cui la corte territoriale ha omesso di motivare in ordine a
due rilievi formulati con l'atto di appello, riguardanti l'effettiva
durata delle presunte molestie (che nel capo di imputazione vengono
circoscritte al periodo (OMISSIS), mentre il giudice di primo grado
le aveva estese dall' (OMISSIS), considerandole, pertanto, di
"particolare durata"), nonchè la compatibilità del
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con il giudizio
prognostico negativo sul ravvedimento dell'imputata.
Inoltre
la corte territoriale, nel valutare l'entità della pena,
l'assegnazione o meno dei benefici di legge e l'entità del
risarcimento, ha omesso anche di esaminare quali fossero state le
molestie effettivamente subite dalla M. nel periodo indicato nel capo
d'imputazione.
CONSIDERATO
IN DIRITTO
Il
ricorso proposto nell'interesse di C.C. è infondato e non può
essere accolto.
Di
particolare rilevanza appare il primo motivo di ricorso, che, come si
è visto, contesta la possibilità di ricondurre la condotta posta in
essere dalla C. al paradigma normativo di cui all'art. 494 c.p..
L'articolata
esposizione operata dal difensore della ricorrente, non appare
condivisibile.
I
profondi e, per certi versi, rivoluzionari cambiamenti che
l'evoluzione tecnologica ha prodotto attraverso l'affermarsi delle
nuove tecnologie informatiche, che, grazie alla nota rete telematica
internet, consentono una diffusione di informazioni e possibilità di
comunicazione diretta tra gli utenti pressochè illimitate, hanno
dispiegato i loro effetti (e non poteva essere altrimenti, in
considerazione dell'intima connessione esistente tra società e
diritto) anche in materia penale, ponendo molteplici problemi, tra i
quali di non poco momento appaiono quelli sottesi ad un'attività di
interpretazione estensiva che, in assenza di organici interventi
legislativi, consenta di adeguare l'ambito di operatività delle
tradizionali fattispecie di reato, come quella di cui all'art. 494
c.p., alle nuove forme di aggressione per via telematica dei beni
giuridici oggetto di protezione, senza violare i principi della
tassatività della fattispecie legale e del divieto di
interpretazione analogica delle norme penali. Attività di
interpretazione estensiva della norma penale, che, appare opportuno
ribadire, lungi dall'essere vietata, è invece lecita e, anzi,
doverosa, quando sia dato stabilire - attraverso un corretto uso
della logica e della tecnica giuridica - che il precetto legislativo
abbia un contenuto più ampio di quello che appare dalle espressioni
letterali adottate dal legislatore. In tal caso, non si da luogo ad
alcuna violazione dell'art. 14 disp. gen. (che vieta, invece,
l'applicazione analogica di una norma al di fuori dell'area di
operatività che le è propria), in quanto non ne risulta ampliato il
contenuto effettivo della disposizione, ma si impedisce che
fattispecie a essa soggette si sottraggano alla sua disciplina per un
ingiustificato rispetto di manchevoli espressioni letterali, che non
potevano essere previste dal Legislatore nel momento storico in cui
la disposizione venne emanata (cfr. Cass., sez. 5, 22/02/2012, n.
15048, P.).
Tanto
premesso, può affermarsi che, attraverso una interpretazione
estensiva della disposizione contenuta nell'art. 494 c.p., sia
possibile far ricadere la condotta della C. nell'ambito di
applicazione del delitto di sostituzione di persona. Al riguardo
occorre soffermarsi, sia pure brevemente, sulla natura giuridica di
tale delitto, che, secondo il consolidato orientamento della
giurisprudenza di legittimità condiviso da questo collegio, essendo
ricompreso nel Titolo 7^, del Libro 2^ del codice penale, dedicato ai
delitti contro la fede pubblica, ha natura plurioffensiva, in quanto
preordinato non solo alla tutela di interessi pubblici, ma anche di
quelli del soggetto privato nella cui sfera giuridica l'atto sia
destinato ad incidere concretamente, con la conseguenza che
quest'ultimo riveste la qualità di persona offesa dal reato, con la
possibilità di esercitare tutti i diritti riconosciutigli
dall'ordinamento, come, ad esempio, quello di proporre opposizione
alla richiesta di archiviazione (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 5,
27/03/2009, n. 21574, rv. 243884; Cass., sez. 5, 09/12/2008, n. 7187,
rv. 243154; Cass., sez. un., 25/10/2007, n. 237855, Pasquini).
La
Corte di Cassazione, peraltro, ha già riconosciuto la possibilità
di ricondurre nell'ambito di operatività dell'art. 494 c.p., alcune
condotte poste in essere attraverso l'utilizzazione della rete
internet.
E'
stato così affermato che la partecipazione ad aste on-line con l'uso
di uno pseudonimo presuppone necessariamente che a tale pseudonimo
corrisponda una reale identità, accertabile on-line da parte di
tutti i soggetti con i quali vengono concluse compravendite.
Sicchè
integra il reato di sostituzione di persona, di cui all'art. 494
c.p., la condotta di colui che crei ed utilizzi un account di posta
elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso
soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet, nei
confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il
fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state
abusivamente spese (cfr. Cass, sez. 3, 15/12/2011, n. 12479, A., rv.
252227).
Soprattutto,
in un caso la cui somiglianza a quello in esame appare evidente, si è
ritenuto che integra il reato di sostituzione di persona, la condotta
di colui che crei ed utilizzi un "account" di posta
elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso
soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet nei
confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il
fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state
abusivamente spese, subdolamente incluso in una corrispondenza idonea
a lederne l'immagine e la dignità, in quanto, a seguito
dell'iniziativa dell'imputato, la persona offesa si ritrovò a
ricevere telefonate da uomini che le chiedevano incontri a scopo
sessuale (cfr. Cass., sez. 5, 8/11/2007, n. 46674, Adinolfi, rv.
238504).
Rispetto
ai casi affrontati dalle sentenze innanzi menzionate, quello in esame
presenta una particolarità, in quanto l'imputata non ha creato un
"account" attribuendosi falsamente le generalità di un
altro soggetto, ma ha inserito in una "chat" di incontri
personali i dati identificativi della M., ad insaputa di
quest'ultima.
Si
tratta di una notevole differenza, che, tuttavia, non consente di
escludere l'applicabilità della fattispecie di cui all'art. 494
c.p., di cui ricorrono tutti gli elementi costitutivi.
Ed
invero non può non rilevarsi al riguardo che il reato di
sostituzione di persona, come evidenziato anche dal difensore,
ricorre non solo quando si sostituisce illegittimamente la propria
all'altrui persona, ma anche quando si attribuisce ad altri un falso
nome o un falso stato ovvero una qualità a cui la legge attribuisce
effetti giuridici, dovendosi intendere per "nome" non solo
il nome di battesimo ma anche tutti i contrassegni di identità (cfr.
Cass., sez. 2, 21/12/2011, n. 4250, P., rv. 252203). Nella
prospettiva del soggetto privato vittima del reato, dunque, appare
incontestabile che la tutela giuridica apprestata dalla disposizione
in parola abbia per oggetto, oltre alla fede pubblica, anche la
protezione dell'identità dei terzi, che può essere pregiudicata non
solo da possibili usurpazioni, ma anche dall'attribuzione al terzo di
falsi contrassegni personali, allo scopo di arrecargli una danno.
In
tali contrassegni vanno ricompresi quelli, come i cosiddetti
"nicknames" (soprannomi), utilizzati nelle comunicazioni
via internet, che attribuiscono una identità sicuramente virtuale,
in quanto destinata a valere nello spazio telematico del "web",
la quale, tuttavia, non per questo è priva di una dimensione
concreta, non essendo revocabile in dubbio che proprio attraverso di
essi possono avvenire comunicazioni in rete idonee a produrre effetti
reali nella sfera giuridica altrui, cioè di coloro ai quali il
"nickname" è attribuito, come accaduto per la M..
Nella
prospettiva che si propone, dunque, il "nickname", quando,
come nel caso concreto, non vi siano dubbi sulla sua riconducibilità
ad una persona fisica, assume lo stesso valore dello pseudonimo (in
presenza di determinati presupposti, assimilato al nome agli effetti
della tutela civilistica del diritto alla identità ai sensi
dell'art. 9 c.c.) ovvero di un nome di fantasia, la cui attribuzione,
a sè o ad altri, integra pacificamente il delitto di cui all'art.
494
c.p. (cfr. Cass., sez. 2, 21/12/2011, n. 4250, P., rv. 252203;
Cass.
2224/1969 rv.; Cass. 36094/2006 rv. 235489). Infatti
il "nickname" "(OMISSIS)", inserito dalla C.
nella "chat" innanzi indicata, in cui appaiono le lettere
"M" e "K", contenute nel nome e nel cognome della
M.M., corredato inoltre del numero di telefono mobile della stessa
persona offesa (come si evince dalla motivazione della sentenza di
primo grado, utilizzabile in questa sede in quanto sul punto la corte
territoriale ha seguito un percorso argomentativo del tutto
omogeneo), non lascia alcun dubbio sulla sua natura di contrassegno
identificativo di una specifica persona fisica disposta ad incontri
ed a comunicazioni di tipo sessuale (data l'esplicita aggiunta del
suffisso "SEX") con i frequentatori della "chat",
che, a tal scopo, avrebbero potuto contattarla telefonicamente, come
effettivamente avvenuto.
Ricorrono,
del pari, gli ulteriori elementi costitutivi della fattispecie
legale, costituiti dall'induzione in errore e dall'avere agito al
fine di procurare un danno alla persona offesa, in quanto, da un lato
i soggetti indotti in errore vanno identificati negli utenti della
rete, i quali credendo di potere entrare in contatto con una persona
disponibile ad incontri e comunicazioni di natura sessuale, si sono
trovati di fronte ad una persona del tutto diversa, rimanendo,
peraltro, coinvolti, è da presumere contro la loro volontà, nelle
indagini di polizia giudiziaria avviate per la reazione della M.;
dall'altro appare incontestabile che lo scopo della C. fosse proprio
quello di arrecare una danno alla M., inserendola in un circuito di
comunicazioni erotiche, idonee a lederne l'immagine e la dignità,
nonchè a comprometterne la serenità, danno in concreto
verificatosi.
Passando
agli altri motivi di ricorso, se ne deve dichiarare la
inammissibilità in quanto con essi vengono prospettate censure, da
un lato attinenti al fatto, in quanto consistenti in una lettura
alternativa delle risultanze processuali non consentita in sede di
legittimità, dall'altro manifestamente infondate. Ed invero trascura
il difensore che tutti gli altri episodi sui quali si soffermano i
giudici di primo e di secondo grado, ed in particolare le due
chiamate telefoniche partite nella notte compresa tra l'otto ed il
nove febbraio del 2006 da un'utenza telefonica cellulare intestata
alla C. e l'attivazione del profilo "(OMISSIS)", relativo
alla "chat" della compagnia telefonica "H3G",
attraverso il quale pure erano giunti messaggi erotici alla persona
offesa, effettuata attraverso una diversa utenza telefonica mobile
sempre intestata alla ricorrente, sono stati utilizzati, in quanto
sintomatici dell'intento di danneggiare la M., per confermare
l'attribuzione all'imputata dell'inserimento del "nickname"
"(OMISSIS)" nella "chat" "(OMISSIS)",
nonchè per dimostrare la "rilevante durata nel tempo delle
condotte moleste", elemento specificamente preso in
considerazione dal tribunale, giusta la previsione dell'art. 133
c.p., comma 2, n. 3, non per fondare l'affermazione di
responsabilità, ma per giustificare, unitamente alla "particolare
abilità e capacità inventiva" della C., l'irrogazione di una
pena superiore al minimo edittale (cfr. p. 5 della sentenza di promo
grado).
Nessun
"giudizio prognostico negativo sul ravvedimento dell'imputata
incompatibile con il riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche", è stato, poi, effettuato dalla corte territoriale,
che ha confermato la sentenza di primo grado anche con riferimento
alla concessione della sospensione condizionale della pena,
condividendo la scelta di subordinare l'efficacia del suddetto
beneficio all'adempimento delle obbligazioni civili, come previsto
dall'art. 165 c.p., comma 1, trattandosi di due istituti
caratterizzati da diversi presupposti e finalità, in quanto le
circostanze ex art. 62 bis c.p., rispondono alla logica di
un'adeguata commisurazione della pena, mentre la sospensione
condizionale della pena si fonda su un giudizio prognostico
strutturalmente diverso da quello posto a fondamento delle attenuanti
generiche (cfr. Cass., sez. 1, 24/01/2008, n. 6603, rv. 239131).
Va,
infine, rilevato come la corte territoriale, con motivazione anche in
questo caso immune da vizi nella sua coerenza logica, ai fini della
determinazione del trattamento sanzionatorio e dell'entità del
risarcimento del danno abbia specificamente fatto riferimento ai mesi
nel corso dei quali la persona offesa ha dovuto subire continue
molestie di natura sessuale e "pesanti insulti da parte di
soggetti sconosciuti" ed alle ripercussioni che tali eventi
hanno prodotto "nella vita personale e familiare della vittima
del reato" (cfr. p. dell'impugnata sentenza).
Sulla
base delle svolte considerazioni il ricorso presentato nell'interesse
di C.C. va rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento.
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