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Cassazione
penale, Sez. II, 30 aprile 2013, n. 18909
IL CASO (Traccia possibile parere)
Tizio, gestore di un
locale-sala da gioco, insieme a Caio e Sempronio, titolari di concessioni
dell’Agenzie delle Dogane e dei Monopoli (A.A.M.S.), aveva alterato il sistema
informatico degli apparecchi da gioco presenti nel suddetto locale.
A seguito della
suddetta alterazione, quelli che apparivano essere apparecchi per giochi di
abilità (assoggettati ad imposte versate forfettariamente), in realtà, erano
delle vere e proprie slot machine, ossia apparecchi che, in quanto caratterizzati
da completa aleatorietà, sarebbero stati soggetti ad un'imposta pari al 13,5%
delle somme giocate.
Più nello specifico,
nel locale di Tizio erano presenti oltre alle macchine definite dall'art. 110,
comma 6, T.U.L.P.S. regolarmente collegate alla rete AAMS, macchine della
tipologia comma 7, regolarmente autorizzate, quindi note all'Azienda dei
Monopoli, ma alterate nel loro funzionamento in modo da renderle del tutto
simili nel funzionamento al comma 6, senza tuttavia le limitazioni all'entità
delle giocate previste dalla normativa vigente e senza provvedere al
collegamento alla rete telematica del concessionario AAMS.
Un controllo da parte
della Guardia di Finanza faceva emergere la suddetta situazione illecita e ciò
costava a Tizio, Caio e Sempronio l’imputazione per i reati previsti e puniti
dagli artt. 513 bis c.p., art. 81 c.p., comma 1, e cpv., artt. 110, 117 e 314
c.p..
Tizio, a seguito del
rinvio a giudizio per i suddetti reati, si rivolge al vostro studio legale
chiedendo parere motivato circa la propria posizione giuridica
MASSIMA
L'elemento distintivo
tra il delitto di peculato e quello di frode informatica aggravata ai danni
dello Stato va individuato con riferimento alle modalità del possesso del
denaro o d'altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione: in particolare,
è configurabile il peculato quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di
pubblico servizio si appropri delle predette "res" avendone già il
possesso o comunque la disponibilità per ragioni dell'ufficio o servizio; è
configurabile la frode informatica quando il soggetto attivo si procuri il
possesso delle predette "res" fraudolentemente, facendo ricorso ad
artifici o raggiri per procurarsi un ingiusto profitto con altrui danno. (In applicazione
del principio, la S.C. ha ravvisato gli estremi della frode informatica
pluriaggravata - ai danni dello Stato, nonché ex art. 61 comma 1 n. 9 c.p. -
nella condotta del gestore di una sala giochi che, in concorso con altri
soggetti, aventi qualifica di incaricati di pubblico servizio, si era
appropriato della quota spettante a titolo di prelievo erariale all'Erario sul
costo di ogni partita effettuata dagli utenti sulle "slot machines").
SENTENZA
FATTO
1. Con ordinanza del
01/10/2012, il g.i.p del tribunale di Caltanissetta applicava a T.L. la misura
della custodia cautelare in carcere in quanto indagato per il delitti di frode
informatica aggravata art. 640 ter c.p., ex u.c., di peculato ex art. 314 c.p.,
e di illecita concorrenza con minaccia o violenza ex art. 513 bis c.p.,
nell'ambito di un più ampio procedimento nel quale si procedeva, nei confronti
di altri coimputati, anche per il reato di cui all'art. 416 bis c.p..
2. A seguito di istanza
di riesame proposta dall'indagato, l'adito tribunale di Caltanissetta, con
ordinanza del 25/10/2012, annullava l'ordinanza di custodia cautelare
limitatamente al capo 19^) dell'imputazione (art. 314 c.p.) e sostituiva,
relativamente ai restanti capi d'imputazione (artt. 640 ter e 513 bis c.p.), la
misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti
domiciliari.
Il Tribunale, riteneva
che non fosse ammissibile il concorso formale fra il reato di peculato e quello
di frode informatica, sulla base della seguente testuale motivazione: "il
concorso fra le due fattispecie penali, tale orientamento non appare ad oggi
condivisibile. La pressochè costante e pacifica giurisprudenza di legittimità
esclude categoricamente la possibilità del concorso tra il delitto di peculato
e quello di truffa, benchè siano differenti gli interessi giuridici lesi. La
distinzione tra le due fattispecie (e, quindi, la esclusione di un concorso
formale di reati) viene ricollegata dai giudici di legittimità alle modalità
del possesso del denaro o d'altra cosa mobile altrui, ricorrendo il peculato
quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio se ne appropri
avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragioni del suo
ufficio, incidendo la condotta fraudolenta non sul possesso del bene ma sul
tentativo di mascherare, ex post, la commissione del delitto; ravvisandosi
invece la truffa laddove il soggetto, non avendo tale possesso, se lo procuri
fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del
bene (cfr.
Cass., Sez. 6, Sentenza
n. 35852 del 06/05/2008, Rv, 2, Sez. 1, Sentenza n. 26705 del 13/05/2009, Rv.
244710; Sez. 6, Sentenza n, 4668 del 14/01/201 245856; Sez. 6. Sentenza n. 5447
del 04/11/2009, Rv. 246070; da ultimo, Cass., sez. 6^ penale, 15/06/2012,
n.23777).
Benchè non vi siano pronunce
relative al rapporto tra peculato e frode informatica appare chiaro che il
principio sopra esposto è mutuabile al caso in esame, atteso che la frode
informatica a una speciale ipotesi di truffa regolamentata autonomamente dal
codice.
Nel caso in oggetto,
quindi, dovrà ritenersi integrato il solo reato di frode informatica, atteso
che il meccanismo di alterazione del sistema informatico interno agli
apparecchi da gioco consente al titolare della macchina di incamerare denaro
che non può oh origine considerarsi pubblico, perchè relativo ad apparecchi
che, secondo la normativa di legge, non comportano l'obbligo di versare il PREU
bensì di pagare allo Stato una quota fissa e predeterminata; è solo grazie alla
modifica posta in essere che si viene sottrarre al fisco una quota di denaro
che, in astratto, laddove gli apparecchi rispettassero formalmente i requisiti
previsti dal diverso art. 110, comma 7, (rectius comma 6), tulps, dovrebbe
essere versata all'Erario. La condotta fraudolenta è quindi funzionale a
garantirsi il possesso di denaro che viene del tutto sottratto al controllo
statale e che non può considerarsi di natura pubblica sin dall'inizio solo
perchè, nel caso in cui la macchina avesse rispettato i requisiti di legge,
avrebbe dovuto in parte essere versato allo Stato. Del resto il danno allo
Stato rileva come detto, nel caso di specie, proprio sotto il diverso profilo
dell'aggravante prevista dall'ultimo comma dell'art. 640 ter c.p., atteso che
la condotta fraudolenta trae in inganno da un lato i giocatori, falsandosi la
percentuale di vincite che dovrebbe essere garantita su ogni ciclo di giocate
e, dall'altro, l'AAMS, facendo apparire come macchine che non erogano vincite
in denaro e che non richiedono il collegamento telematico con la rete dei
Monopoli apparecchi che, in realtà, per la tipologia di giochi che riproducono,
dovrebbero essere sottoposte a tali tipi di controlli ed al versamento del
PREU".
3. Avverso la suddetta
ordinanza, il P.M. ha proposto ricorso per cassazione limitatamente alla
decisione relativa all'insussistenza del reato di peculato adducendo i seguenti
motivi: "(...) Analizzando la concreta fattispecie posta in essere dagli
indagati, abbiamo infatti la seguente situazione: i soggetti agenti sono in
concorso tra loro sub concessionari della Atlantis World e titolari di autonome
licenze di P.S. e AAMS quali noleggiatori di apparecchiature per il gioco
lecito; essi sono quindi, secondo le direttive direttoriali AAMS e le circolari
terzi raccoglitori; tale qualità attribuisce loro - secondo le SS.UU. sopra
riportate - la qualità di agenti contabili e di incaricati di pubblico servizio
proprio perchè la loro attività è direttamente funzionale alla riscossione del
P.R.E.U. sull'importo delle giocate; i soggetti agenti, tra cui il T., in
concorso tra loro, oltre le macchine definite dall'art. 110, comma 6,
T.U.L.P.S. regolarmente collegate alla rete AAMS, collocano nelle loro attività
commerciali (bar, sale giochi, circoli ecc.) macchine della tipologia comma 7,
regolarmente autorizzate, quindi note all'Azienda dei Monopoli, ma alterate nel
loro funzionamento in modo da renderle del tutto simili nel funzionamento al
comma 6, senza tuttavia le limitazioni all'entità delle giocate previste dalla
normativa vigente e senza provvedere al collegamento alla rete telematica del
concessionario AAMS; l'intero introito delle giocate viene così suddiviso,
dedotte le vincite per i giocatori, che vengono erogate in misura inferiore al
dovuto, tra il noleggiatore della macchina e l'esercente del locale; tutte le
macchine prevedono meccanismi di attivazione e resetting, idonei ad escludere
la possibilità di controlli ordinari e/o di analisi degli incassi; tale
comportamento dei soggetti agenti viola gli obblighi contrattualmente assunti,
dal concessionario, dal noleggiatore terzo raccoglitore e dall'esercente con la
AAMS, oltre a frodare il giocatore che viene esposto al rischio concreto di
giocate per importo illimitato su macchine che non assicurano una possibilità
di vincita pari al 75% delle giocate.
I quesiti da porsi,
sono dunque i seguenti:
- nel caso un soggetto
assuma contrattualmente l'obbligo di bene e fedelmente porre in essere una
attività in concessione o subconcessione dalla P.A., altrimenti vietata, che lo
ponga in diretta relazione con la possibilità di incamerare denaro pubblico,
non dall'erario, ma dal privato che volontariamente e in modo del tutto avulso
dall'attivazione di artifici e raggiri da parte del soggetto agente, inserisca
delle monete o dei soldi nel sistema di gioco - l'artifizio e raggiro posto in
essere nel posizionare macchine irregolari negli esercizi pubblici accanto a
quelle regolari, fa venire meno l'obbligo contrattualmente assunto, o in virtù
della posizione giuridica di garanzia complessivamente e volontariamente
assunta nei confronti del concedente tale obbligo permane con ogni giuridica
conseguenza? Il comportamento in violazione di tali obblighi assume i caratteri
propri del peculato sulle somme riscosse dal giocatore e che, nella misura
prevista del 13,5% su ogni giocata, dovrebbero essere versate a titolo di PREU
o, come implicitamente sostiene il collegio con l'ordinanza impugnata sfuggono
alla tassazione come profitto illecito del reato di frode informatica in danno
del giocatore e della stessa AAMS? - l'esistenza della circostanza aggravante
di cui al comma tre dell'art. 640 ter c.p., elide l'eventuale reato di
peculato, come sostenuto dal Tribunale? Ad avviso di questo Ufficio: la
risposta al 1^ quesito deve essere nel senso che gli obblighi contrattualmente
assunti non vengono meno e che le conseguenze della violazione non possono
andare a vantaggio dell'autore della violazione stessa; la risposta al secondo
quesito è che l'appropriazione del denaro acquisito come P.R.E.U. su ogni
singola giocata irregolare costituisce peculato; la risposta al terzo quesito
deve essere negativa, non potendo la previsione di una circostanza aggravante
relativa alla natura pubblica della persona offesa, entrare in relazione
elidente con la qualità soggettiva dell'autore posta nell'autonomo reato di
peculato quale presupposto soggettivo per la configurabilità stessa della
fattispecie.
Il ragionamento seguito
dal Tribunale del Riesame porta, infatti, a conseguenze del tutto illogiche.
Si ricordi che la S.C.
di Cassazione ha pacificamente ammesso la configurabilità del peculato nel caso
in cui i meccanismi fraudolenti posti in essere incidano sul collegamento alla
rete AAMS provocando il cosiddetto abbattimento delle giocate comunicate al
server della rete. Il peculato viene quindi configurato con riferimento alle
macchine comunque collegate alla rete, in cui il meccanismo è proprio quello di
occultare alla rete una parte delle giocate. Condotta certamente assai più
lieve, già in punto di fatto, dal volontario occultamento di una macchina che,
per le sue caratteristiche tecniche, dovrebbe essere collegata alla rete, ma
non lo è. In tal caso infatti ad essere occultato è l'intero ammontare delle
giocate e non soltanto una parte. Si può dunque ipotizzare che, dopo la
volontaria assunzione da parte del titolare delle licenze e delle concessioni
pubbliche degli obblighi specifici di contabilizzare le giocate, di versare il
PREU e di tenere le macchine collegate e la rete efficiente ed in caso di
manifesta violazione di tali obblighi, si dia luogo ad una sanzione inferiore a
quella invece pacificamente prevista per il semplice abbattimento dei dati
inerenti le giocate effettuate. Ad avviso del Pubblico Ministero ovviamente no,
a pena di considerare lecita una interpretazione del tutto illogica del sistema
di repressione penale delle violazione agli obblighi contabili contrattualmente
assunti (....).
Il ragionamento seguito
dal Tribunale, quindi, con l'automatica estensione di una giurisprudenza
affermata in ordine al concorso tra la truffa aggravata ed il peculato alla
frode informatica in questione non convince: da un lato, infatti, per la
diversa natura del reato di frode informatica che comporta, in questo caso,
proprio come affermato dal Tribunale, che l'artifizio e raggiro non incida sull'ottenimento
del denaro, che deriva al contrario dalla spontanea scelta del giocatore di
giocare a quella macchina, ma semmai sulla ritenzione indebita uti domini del
totale del denaro ormai nella disponibilità dell'esercente e del noleggiatore;
dall'altro per la illogica conseguenza derivante dal seguire l'argomentazione
del collegio che, così argomentando, sana un comportamento di natura ed entità
sicuramente più grave, sanzionandolo nella misura inferiore e non attribuendo
alcun significato giuridico, nella ricostruzione della fattispecie, alla veste
volontariamente assunta dal soggetto agente, di incaricato di pubblico servizio
quale terzo raccoglitore.
Del resto non può
neanche affermarsi che il denaro non sia pubblico all'origine. Ciò che si
contesta infatti non è che gli autori del reato noleggiatore ed esercente si
siano appropriati di denaro pubblico, ma di aver trattenuto la quota destinata
al P.R.E.U. da essi comunque dovuta in forza degli obblighi assunti. Va
rilevato infatti che il profitto del reato contestato non deriva, come sembra
aver equivocato il collegio, da una attività illecita in sè e per sè e pertanto
non soggetta a tassazione, ma da una attività, prevista, autorizzata, ma
gestita in modo illecito. Così come non viene meno in caso di frode fiscale
l'obbligo di versamento dell'imposta dovuta, così non viene meno di versamento
del PREU, che sorge con l'inserimento della moneta da parte del privato
giocatore, nel sistema di gioco.
Il peculato consegue
all'omesso versamento nei termini previsti al concessionario della rete, alla
quale la macchina avrebbe dovuto essere collegata, della somma incassata a
titolo di P.R.E.U. sulle singole giocate. In quel momento interviene, infatti,
l'interversione del possesso da parte del noleggiatore e dell'esercente che
avendo occultato all'AAMS l'intera macchina, si appropriano dell'intero
ricavato. Nè alla configurazione del peculato nei confronti del T. è di
ostacolo il fatto che egli non sia un terzo raccoglitore applicandosi al
medesimo le normali regole in tema di concorso nel reato proprio ex art. 117
c.p.. Al riguardo va osservato che Per aversi concorso di persone nel reato e
necessario che i partecipi siano consapevoli della situazione di fatto in cui
operano, vogliano conseguire e contribuiscano ciascuno per la propria parte
alla realizzazione del medesimo evento antigiuridico, sia determinando altri a
commettere il reato sia cooperando materialmente nell'esecuzione della tipica
condotta criminoso, sia istigando moralmente gli altri a specificatamente
delinquere. Nessun dubbio emerge al riguardo dalle indagini circa la
sussistenza di entrambi tali requisiti per l'indagato T.L.".
DIRITTO
1. In via preliminare,
va ritenuto l'interesse del P.M. ad impugnare l'ordinanza sia pure
limitatamente alla ritenuta insussistenza di uno dei reati contestati.
Sul punto, occorre
rammentare che, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, l'indagato
ha interesse a ricorrere avverso un provvedimento restrittivo della libertà
personale anche nel caso in cui il gravame sia limitato ad una sola delle
imputazioni, poichè il venir meno del titolo della custodia anche se con
riferimento esclusivo ad una delle accuse, pur senza incidere
sull'assoggettamento del medesimo alla misura cautelare a causa del
mantenimento del provvedimento restrittivo in relazione ad altro reato, rende
meno gravosa la posizione difensiva e consente il riacquisto della libertà, nel
caso in cui il titolo legittimante l'applicazione della misura venga meno, per
un qualsiasi motivo, in ordine all'altro reato: SSUU 7/1993 Rv. 193746; Cass.
4038/1995 Rv.202205; Cass. 1067/2000 Rv. 216083.
Ritiene questa Corte
che lo stesso principio di diritto, mutatis mutandis, possa essere applicato
anche alla inversa situazione in cui sia il P.M. ad impugnare dovendosi
ravvisare l'interesse ad agire nella circostanza che, a carico dell'indagato,
ove dovesse venire riconosciuta la fondatezza dell'ipotesi accusatoria per un
ulteriore reato, vi sarebbe un ulteriore titolo per il mantenimento della
misura cautelare.
2. Passando, ora,
all'esame del ricorso, il medesimo deve ritenersi infondato per le ragioni di
seguito indicate.
La questione di diritto
sottoposta all'esame di questa Corte di legittimità può essere così enunciata:
"se il reato di frode informatica commesso da un incaricato di pubblico
servizio ed ulteriormente aggravato, ex art. 640/2 n. 1 cod. pen. per essere
stato il fatto commesso a danno dello Stato o di altro ente pubblico, possa o
no concorrere con il reato di peculato".
Il suddetto problema
dev'essere affrontato e risolto secondo la seguente sequenza logico giuridica:
1) se i due reati siano
o no compatibili e, quindi, se sia o no ammissibile il concorso formale;
2) in caso di risposta
negativa, quale dei due reati, nel caso di specie, sia configurabile.
3. Il fatto è stato
ricostruito dal Tribunale nei seguenti termini:
"Preliminarmente,
al fine di meglio inquadrare la condotta in contestazione, occorre osservare
come il Tulps preveda, all'art. 110, due distinte categorie di apparecchi da
gioco: la prima, di cui al comma 6, relativa ad apparecchi da gioco che
producono vincite, per i quali è prevista l'emissione, da parte
dell'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, di nulla osta alla
distribuzione e alla messa in esercizio, nonchè un collegamento telematico che
consenta all'Amministrazione di rilevare il volume di gioco e determinarne la
tassazione; la seconda, prevista dal comma 7, riguarda invece apparecchi senza
premi, incentrati sull'abilità del giocatore e assoggettati ad imposte versate
forfettariamente. Le macchine sequestrate erano essenzialmente di tre
tipologie: slot machine, distributori di chewing gum e chioschi net shop.
All'interno di ognuno di tali apparecchi sono state rinvenute schede che
consentivano due distinte tipologie di giochi: gioco di abilità, con cui la
macchina si avviava automaticamente (corrispondente ai giochi ricompresi nella
categoria di cui al comma 7 tulps per la quale gli apparecchi erano
regolarmente autorizzati) e slot machine irregolare, che si avviava solo dopo
la pressione di una combinazione di tasti che variava da apparecchio ad
apparecchio (e che rientrerebbe nella diversa categoria di cui al comma 6
tulps). In ordine alle slot il consulente del p.m. accertava che tutte le
macchine non corrispondevano ai requisiti di cui al art. 110, comma 7,
T.U.L.P.S. bensì rientravano nella diversa tipologia di cui al comma 6.
Tuttavia, pur
corrispondendo alle caratteristiche di cui al comma 6 del citato articolo,
trattandosi di apparecchi manomessi ovviamente le macchine non rispettavano
neppure i criteri di regolarità prescritti dal diverso comma 6, mancando del
tutto il collegamento ai Monopoli di Stato (obbligatorio per tali tipi di
macchine, proprio al fine di garantire il controllo da parte dell'AAMS sul numero
di giocate e sulla percentuale di vincite destinate allo Stato) e non
rispettando nella gran parte la percentuale di vincite da erogare agli utenti,
pari per legge al 75% su un ciclo di 140.000 partite.
... Da quanto
analizzato è emerso quindi che la maggior parte delle macchine, anzichè
riprodurre giochi di abilità con costo per partita non superiore a 50 centesimi
di Euro, raffiguravano slot machine con rulli virtuali, giochi caratterizzati
da completa alcatorietà e, quindi, non correlati all'abilità del giocatore,
nonchè con erogazione delle vincite in maniera esterna alla macchina, atteso
che i punti vinti venivano convertiti in denaro ed annotati nei quaderni pure
oggetto dei sequestri o in foglietti di carta trovati all'interno degli
apparecchi. Inoltre, il numero di partite per ciascun giocatore risultava
illimitato con possibilità di vincite di molto superiori a quelle consentite
per legge.
Pertanto, è indubbio
che gli apparecchi di proprietà dell' A. M. e dallo stesso affidati in gestione
ai diversi esercizi nisseni fossero stati modificati così da non rispettare i
requisiti di cui all'art. 110, comma 7 del T.U.L.P.S., bensì riproducendo una
categoria di giochi che rientrerebbero nella categoria di cui al comma 6, del
medesimo articolo, in questo caso, però, venendo meno il necessario
collegamento delle macchine con la rete dell'AAMS, funzionale a garantire il
controllo da parte dello Stato del flusso e del numero effettivo di giocate e
di vincite totalizzate, al fine di verificare che il titolare della concessione
versi allo Stato la percentuale dovuta a titolo di imposta (PREU), pari al 13,5
% delle somma giocate. Tale collegamento in rete consente, pertanto, di
monitorare l'attività di gioco che lo Stato affida a terzi in concessione, e di
riscontrare le tasse effettivamente versate all'Erario".
Il capo d'incolpazione
che è stato elevato dal P.M. a carico del T. e che il Tribunale ha ritenuto
insussistente giuridicamente è il seguente: "19^) del delitto di cui all'art.
81 c.p., comma 1, e cpv., artt. 110, 117 e 314 c.p., per essersi appropriato in
concorso con A.M., A.S., A.L. e con An.Ma., i quali agivano nella loro attività
come agenti contabili di fatto e quindi come incaricati di pubblico servizio,
in quanto sub-concessionari della Atlantis World e titolari di concessioni in
proprio dell'A.A.M.S., quale gestore della sala giochi (OMISSIS) sita in via
(OMISSIS) dove era installata la slot - machine avente identificativo
(OMISSIS), slot con rulli virtuali dal nome Crazy Circus (apparecchio non contemplato
tra quelli di cui all'art. 110, comma 7, lett. C), T.U.L.P.S., bensì tra quelli
previsti dal comma 6 del medesimo articolo, che pertanto avrebbe dovuto essere
collegato, telematicamente all'AAMS), della quota pari al 13,5 % del costo di
ciascuna partita dovuta all'Erario a titolo di prelievo erariale. In
Caltanissetta fino al 15.3.2011".
Nel caso di specie,
quindi, il T. - sebbene semplice gestore della sala da giochi dove erano state
collocate le macchine da gioco - è stato incolpato, oltre che dell'art. 513 bis
c.p., dei seguenti delitti:
a) frode informatica;
b) del delitto di
peculato per avere concorso, ex artt. 110 e 117 c.p., con gli incaricati di
pubblico servizio, ad appropriarsi della quota pari al 13,5% del costo di
ciascuna partita dovuta all'Erario a titolo di prelievo erariale.
Il problema che pone,
quindi, il presente procedimento, consiste, come si è già anticipato, nel
verificare se i due suddetti reati possano o no concorrere.
4. La soluzione della
questione in esame, consiglia, in via preliminare, la focalizzazione su alcuni
notori principi di diritto già richiamati dal tribunale nell'ordinanza
impugnata e che vanno ribaditi.
4.1. La fattispecie in
esame, integra, sicuramente gli estremi della frode informatica come, peraltro,
ha già ritenuto il tribunale.
Sul punto, è
sufficiente il rinvio alla motivazione della sentenza di questa Corte di
legittimità n. 27135/2010 Rv. 248306 che ha enunciato il seguente principio di
diritto che, qui, va ribadito:
"Integra il reato
di frode informatica, previsto dall'art. 640 ter c.p., l'introduzione, in
apparecchi elettronici per il gioco di intrattenimento senza vincite, di una
seconda scheda, attivabile a distanza, che li abilita all'esercizio del gioco
d'azzardo (cosiddette slot machine), trattandosi della attivazione di un
diverso programma con alterazione del funzionamento di un sistema
informatico".
Il reato di frode
informatica (art. 640 ter c.p.) si differenzia dal reato di truffa perchè
l'attività fraudolenta dell'agente investe non la persona (soggetto passivo),
di cui difetta l'induzione in errore, bensì il sistema informatico di
pertinenza della medesima, attraverso la manipolazione di detto sistema: ex
plurimis Cass. 44720/2009 Rv. 245696; Cass. 3065/1999 riv 214942; Cass.
9891/2011 Rv. 249675.
Il reato di frode
informatica, quindi, ha la medesima struttura e ed i medesimi elementi
costitutivi della truffa (fra cui l'ingiusto profitto) della quale, pertanto,
si può ben dire, costituisce un'ipotesi speciale derivante dalla peculiarità di
cui si è detto (soggetto passivo).
4.2.
In giurisprudenza, poi, si è posto il problema degli elementi differenziatori
fra l'ipotesi di truffa commessa da un pubblico ufficiale o un incaricato di un
pubblico servizio (art. 61 c.p., n. 9) e l'ipotesi di peculato.
Anche a tale proposito,
la giurisprudenza di questa Corte di legittimità è ferma nel ritenere che i
criteri da utilizzare per differenziare i suddetti reati sono due:
1. le modalità con le
quali l'agente si è impossessato del bene;
2. la preesistenza o meno
del possesso della res in capo al soggetto attivo.
Si è, infatti,
costantemente affermato che sussiste peculato quando l'agente fa proprio il
danaro della pubblica amministrazione, del quale abbia il possesso per ragione
del suo ufficio o servizio, mentre vi è truffa qualora il pubblico ufficiale o
l'incaricato di pubblico servizio, non avendo tale possesso, si sia procurato
fraudolentemente, con artifici e raggiri, la disponibilità del bene oggetto
della sua illecita condotta. Più in particolare, ricorre il peculato e non la
truffa quando l'artificio od il raggiro o la falsa documentazione siano stati
posti in essere non per entrare in possesso del pubblico danaro, ma per
occultare la commissione dell'illecito: ex plurimis Cass. 35852/2008 Rv.
241186; Cass. 32863/2011 Rv. 250901.
In altri termini, nel
peculato il possesso è un antecedente della condotta e gli artifici, i raggiri
o la falsa documentazione non incidono sulla struttura del reato, ma servono
per occultarlo.
Viceversa, nella
truffa, la condotta fraudolenta è predisposta al fine di consentire al soggetto
agente di entrare in possesso della provvista, in vista della successiva
condotta appropriativa.
Conclusivamente, si
può, quindi, affermare che:
1. nella truffa: a) gli
artifici ed i raggiri costituiscono uno degli elementi costituitivi del reato
e, quindi, sono antecedenti all'appropriazione fraudolenta del bene altrui; b)
l'appropriazione ù che determina il momento consumativo del reato - costituisce
un posterius ossia l'effetto dell'attività fraudolenta.
2. nel peculato,
invece, i termini sono invertiti perchè: a) il soggetto agente (pubblico
ufficiale o incaricato di un pubblico servizio) ha già, per effetto della sua
funzione, il possesso del bene del quale si appropria e che segna il momento
consumativo del reato; b) l'eventuale condotta fraudolenta costituisce un
posterius, privo di rilevanza giuridica, che serve per occultare il reato già
consumato.
4.3. I criteri
differenziali fra truffa aggravata e peculato, mutatis mutandis, possono sicuramente
essere applicati anche per distinguere la frode informatica ed il peculato sia
perchè la frode informatica, per quanto si è detto (p.4.1.), è un'ipotesi
speciale di truffa della quale conserva tutti gli elementi costitutivi fra cui
proprio la condotta fraudolenta (artifizi e raggiri) finalizzata ad ottenere un
ingiusto profitto con altrui danno, sia perchè, l'unica differenza (soggetto
passivo) fra le ipotesi di reato di cui agli artt. 640 e 640 ter c.p., non
influisce sui criteri che servono a distinguere il peculato dalla truffa
aggravata.
Non vi è, quindi,
alcuna ragione logico giuridica per la quale i consolidati principi di diritto
enucleati da questa Corte di legittimità per differenziare la truffa aggravata
dal peculato, non si debbano applicare anche per distinguere la frode
informatica dal peculato.
Alla stregua di quanto
appena detto, si può, pertanto, affermare il seguente principio di diritto:
"L'elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di frode
informatica, aggravata ai danni dello Stato ex art. 649 ter/2 cod. pen. nonchè
ai sensi dell'art. 61 c.p., n. 9, è simile a quello fra il delitto di peculato
ed il delitto di truffa aggravata ex art. 61 c.p., n. 9.
Conseguentemente,
l'elemento distintivo va individuato con riferimento alle modalità del possesso
del denaro o d'altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo
il reato di peculato quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico
servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità
per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece il reato di frode
informatica quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri
fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per procurarsi un
ingiusto profitto con altrui danno".
5. Premessi i suddetti
principi di diritto, non resta ora che verificare, alla stregua della pacifica
ricostruzione in fatto effettuata dal tribunale, se, nel caso di specie, sia
configurabile il delitto di frode informatica, quello di peculato ovvero
entrambi come sostiene il ricorrente P.M..
Come risulta dalla
ricostruzione in fatto (supra p.3), il T. - semplice gestore del locale dove
erano stati collocati gli apparecchi da gioco in questione - in concorso, ex
art. 110 e 117 c.p., con coloro che agivano come incaricati di un pubblico
servizio, aveva alterato il sistema informatico dei suddetti apparecchi.
A seguito della
suddetta alterazione, quelli che apparivano essere apparecchi per giochi di
abilità (assoggettati ad imposte versate forfettariamente), in realtà, erano
delle vere e proprie slot machine, ossia apparecchi che, in quanto
caratterizzati da completa alcatorietà, sarebbero stati soggetti ad un'imposta
pari al 13,5% delle somme giocate: successe, quindi, che, come effetto dell'alterazione,
coloro che agivano come incaricati di pubblico servizio, in quanto
sub-concessionari della Atlantis World e titolari di concessioni in proprio
dell'A.A.M.S. (ossia i coindagati A. M., A.S., A.L. e con An.Ma.: cfr capo
d'incolpazione), si appropriarono delle somme dovute allo Stato (AAMS). Di
conseguenza:
a) il T., in concorso
con coloro che agivano come incaricati di pubblico servizio, prima che gli
apparecchi fossero collocati nella sala giochi da lui gestita, ne alterò il
sistema informatico;
b) a seguito della
suddetta condotta fraudolenta, il Monopolio di Stato, al quale avrebbe dovuto
essere versata la percentuale del 13,5% delle somme giocate, fu tratto in
inganno sicchè non fu messo nelle condizioni di riscuotere il tributo dovuto;
c) la percentuale del
13,5% fu incassata e trattenuta illecitamente da coloro che avevano alterato il
sistema informatico.
Questa essendo la
sequenza cronologica dei fatti e la modalità con la quale gli indagati si
appropriarono delle somme dovute allo Stato, è del tutto evidente che l'unico
reato ipotizzabile è quello della frode informatica aggravata ex art. 61 c.p.,
n. 9, posto che:
a) gli artifici ed i
raggiri furono posti in essere dai concessionari (ossia dagli incaricati del
pubblico servizio e, quindi, anche dal T. ex art. 117 c.p.) antecedentemente
all'appropriazione fraudolenta del denaro spettante allo Stato (percentuale del
13,5%) e lo furono proprio al fine di realizzare la suddetta appropriazione;
b) l'appropriazione -
che determinò il momento consumativo del reato - costituì un posterius ossia
l'effetto dell'attività fraudolenta.
Sarebbe stato, invece,
configurabile il delitto di peculato, ove lo Stato fosse stato messo in grado
di controllare le giocate, di quantificare il tributo dovuto sulla base della
percentuale del 13,5%, ma della suddetta somma si fosse appropriato l'indagato
il quale, per occultare l'appropriazione, avesse posto in essere artifizi o
raggiri: ma così, fattualmente, non è stato, sicchè, correttamente il tribunale
ha ritenuto la configurabilità del solo reato di frode informatica aggravata
per essere stata commessa ai danni dello Stato.
6. Gli argomenti che il
P.M. ricorrente ha dedotto a sostegno del proprio ricorso, possono essere così
riassunti:
6.1. il Tribunale non
avrebbe considerato che il reato oggetto di incolpazione "non può in
concreto essere commesso da chiunque, ma soltanto da coloro che, in quanto
dotati di apposite licenze di P.S. e dell'A.A.M.S. siano autorizzati a
posizionare in esercizi pubblici macchine elettroniche per il gioco, ciascuna
delle quali, indipendentemente dal gioco esercitabile sulla stessa, dev'essere
conosciuta dall'Azienda dei Monopoli di Stato, ha un numero identificativo, ed
è soggetta in misura diversa al pagamento del tributo": pag. 3 ricorso;
6.2. la tesi del
ricorrente troverebbe un riscontro nella sentenza n. 35373/2008 di questa Corte
di legittimità;
6.3. il tribunale non
avrebbe risposto ai quesiti che pone la fattispecie in esame ("nel caso un
soggetto assuma contrattualmente l'obbligo di bene e fedelmente porre in essere
una attività in concessione o sub-concessione dalla P.A., altrimenti vietata,
che lo ponga in diretta relazione con la possibilità di incamerare denaro
pubblico, non dall'erario, ma dal privato che volontariamente e in modo del
tutto avulso dall'attivazione di artifici e raggiri da parte del soggetto
agente, inserisca delle monete o dei soldi nel sistema di gioco - l'artifizio e
raggiro posto in essere nel posizionare macchine irregolari negli esercizi
pubblici accanto a quelle regolari, fa venire meno l'obbligo contrattualmente
assunto, o in virtù della posizione giuridica di garanzia complessivamente e
volontariamente assunta nei confronti del concedente tale obbligo permane con
ogni giuridica conseguenza? il comportamento in violazione di tali obblighi
assume i caratteri propri del peculato sulle somme riscosse dal giocatore e
che, nella misura prevista del 13,5% su ogni giocata, dovrebbero essere versate
a titolo di PREU o, come implicitamente sostiene il collegio con l'ordinanza
impugnata sfuggono alla tassazione come profitto illecito del reato di frode
informatica in danno del giocatore e della stessa AAMS? l'esistenza della
circostanza aggravante di cui all'art. 640 ter c.p., comma 3, elide l'eventuale
reato di peculato, come sostenuto dal Tribunale?").
In particolare non
avrebbe considerato che gli autori del reato avevano trattenuto la quota
destinata al pagamento del tributo (PREU) comunque dovuto in forza degli
obblighi assunti.
6.4. Il ragionamento
seguito dal tribunale porterebbe a conseguenze illogiche perchè, mentre sarebbe
punito con il peculato l'attività diretta ad occultare alla rete una parte
delle giocate con il meccanismo del c.d. abbattimento delle giocate comunicate
al server di rete, al contrario sarebbe punito con il più lieve reato di truffa
la condotta con la quale si occulta allo Stato una macchina che dovrebbe essere
collegata alla rete ma non lo è.
7. Tutti i suddetti
argomenti vanno disattesi per le ragioni di seguito indicate.
Ad 6.1: nessuno contesta
che il reato in questione "non può in concreto essere commesso da
chiunque, ma soltanto da coloro che, in quanto dotati di apposite licenze di
P.S. e dell'A.A.M.S. siano autorizzati a posizionare in esercizi pubblici
macchine elettroniche per il gioco", nè che non ne possa rispondere il T.,
sebbene semplice gestore della sala giochi, ex art. 117 c.p..
Tuttavia, il ricorrente
trascura di considerare che anche il reato di truffa può essere commesso da un
pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio come si desume
testualmente dall'art. 61 c.p., n. 9. Con il che si torna al problema iniziale
e cioè quello di stabilire quali siano le modalità di differenziazione della
truffa aggravata ex art. 61 c.p., n. 9, dal peculato.
Ad 6.2: la sentenza di
questa Corte invocata dal ricorrente a sostegno del proprio ricorso, non solo
non è in termini, ma afferma, esattamente il contrario.
In quella fattispecie,
infatti, si discuteva di un "sistema fraudolento posto in essere
dall'indagato e dai suoi complici (mancata contabilizzazione delle giocate)
finalizzato a mascherare l'appropriazione del denaro che doveva, invece, essere
versato all'Amministrazione dei Monopoli, sicchè correttamente si sono
ravvisati gli estremi del peculato".
In altri termini, era
successo che l'indagato, in possesso delle somme ricavate dalle slot machine si
era appropriato dell'importo del tributo che avrebbe dovuto versare all'Erario,
attuando, dopo l'appropriazione, un meccanismo fraudolento (mancata
contabilizzazione delle giocate) finalizzato ad occultare l'avvenuta
appropriazione.
Nella suddetta
fattispecie, quindi, la Corte ha ritenuto la configurabilità del peculato e non
della truffa proprio sulla base di quella pacifica giurisprudenza di cui si è
detto in quanto l'artificio era stato posto in essere non prima ma dopo
l'appropriazione.
Pertanto, il
ricorrente, quando, insistendo nella propria tesi, imputa alla decisione del
tribunale una pretesa illogicità (argomento sub 4), erra perchè non si avvede
che la fattispecie invocata a proprio favore, in realtà, finisce per deporre a
favore della tesi opposta, proprio perchè si tratta di un'ipotesi in cui
l'agente, occultando una parte delle giocate con il meccanismo del c.d.
abbattimento, pone in essere un comportamento fraudolento ex post ossia diretto
ad occultare l'appropriazione del denaro di cui aveva già la disponibilità in
ragione della funzione svolta. Nel che consiste, per quanto ampiamente
illustrato, proprio la differenza fra la truffa aggravata ed il peculato.
Ad 6.3.: tutti gli
interrogativi che il ricorrente ha posto e che, a suo dire, il tribunale
avrebbe trascurato di porsi, sono fuorvianti per la semplice ragione che sono
irrilevanti per risolvere la questione penalistica (e cioè se, nel
comportamento tenuto dall'indagato, sia ravvisabile il delitto di truffa
aggravata o quello di peculato), attendo al diverso profilo civilistico e cioè
se l'indagato debba o no, in adempimento degli obblighi assunti, corrisponder
ugualmente il tributo dovuto ed evaso.
7. In conclusione, la
decisione impugnata, avendo tratto dal fatto le corrette conclusioni
giuridiche, non si presta alle doglianze dedotte dal ricorrente il cui ricorso,
pertanto, va rigettato.
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