domenica 3 febbraio 2013

Il caso Sallusti e i risvolti pratici del principio di offensività.


di Filippo Lombardi

TRIBUNALE MILANO, G.M. LA ROCCA, SENT. N. 13380/2012  
Il caso
A seguito della condanna inflitta al Sallusti per la precedente diffamazione commessa nei confronti del Giudice Cocilovo, il Magistrato di Sorveglianza del Tribunale di Sorveglianza di Milano emetteva un’ordinanza con cui l’imputato veniva ammesso alla detenzione domiciliare da scontare presso la propria abitazione. In data 1° dicembre 2012, la predetta ordinanza veniva notificata al Sallusti, il quale veniva accompagnato presso la propria abitazione dagli ufficiali di polizia giudiziaria.
Già nella conferenza stampa del giorno precedente, l’imputato aveva rivelato la propria contrarietà ad essere sottoposto alla citata misura di detenzione, poiché ritenuta ingiusta nei confronti degli altri detenuti, i quali si trovano nelle carceri per scontare pene per gli stessi fatti commessi dal giornalista. Dunque, questi si esprimeva nel senso di non avere la minima intenzione di sottoporsi alla detenzione domiciliare, puntualizzando che la motivazione non fosse da scorgere nell’intento di ribellione rispetto al provvedimento dell’Autorità, ma nei motivi appena citati.
Nel giorno in cui l’ordinanza veniva eseguita, l’imputato manifestava prontamente le proprie remore dinanzi agli ufficiali di p.g., lasciando intuire che fosse prossimo il gesto di allontanarsi dall’abitazione. A tali manifestazioni, seguiva il fatto: il Sallusti lasciava la propria abitazione, accedendo alla pubblica via, commettendo prima facie il reato di cui all’articolo 385 del codice penale, vale a dire il delitto di evasione.
Durante il processo, svoltosi con rito direttissimo dinanzi al Giudice Monocratico del Tribunale di Milano, il pubblico ministero riqualificava il fatto come tentata evasione.

La decisione del Giudice Monocratico
La fattispecie concreta non è sussumibile nel delitto di evasione, nemmeno nella sua forma tentata. Il tentativo, infatti, presuppone atti univoci e idonei a produrre l’evento offensivo del bene giuridico protetto
dalla norma. Il Giudice rimarca, al contrario, come non sussista l’idoneità degli atti, stante la presenza delle forze dell’ordine sul posto.
Dunque, molteplici sono i punti evidenziati nella sentenza dal Giudice, il quale richiama diverse massime della giurisprudenza di legittimità a conforto della propria decisione. I principali nodi risolutivi sono i seguenti:
I) il delitto di evasione si perfeziona nel momento in cui il reo lascia il luogo in cui è obbligato a rimanere, allontanandosi da esso in modo da allentare definitivamente la restrizione della libertà a cui è sottoposto, a nulla valendo la durata della condotta illecita o la distanza percorsa. Fondamentale è, dunque, la lesione del bene giuridico tutelato dall’articolo 385 cit., che è l’interesse a che la restrizione della libertà inferta al detenuto, derivante da un provvedimento dell’Autorità, sia effettivamente rispettata. Il delitto si configura come reato proprio, di evento in senso naturalistico, e a forma libera.
II) alla condotta obbiettivamente considerata, va aggiunto il dolo generico, cioè la consapevolezza che il proprio comportamento offenda il bene giuridico tutelato dall’ordinamento e la volontà di produrre tale esito, senza che rilevino i motivi interiori che danno origine alla condotta vietata.
III) il caso di specie pecca di offensività. Il principio di offensività richiede che la condotta, oltre a trascendere il foro interiore dell’agente (principio di materialità), deve in concreto mettere a repentaglio o causare una lesione effettiva all’interesse protetto dalla norma penale. L’offensività si concretizza quando si verifica il danno o il pericolo, quest’ultimo a sua volta inteso come alta probabilità che si verifichi il danno. La fattispecie concreta sarebbe stata rispettosa del principio di offensività qualora l’allontanamento del soggetto dal luogo di detenzione si fosse concretizzato in modo da svilire in maniera nitida le esigenze di restrizione della libertà personale e l’autorità del provvedimento disatteso. Verificandosi in presenza degli agenti di p.g., la condotta è rimasta priva del connotato offensivo e dunque non può né dirsi che sia stato leso il bene giuridico protetto, né tantomeno che esso sia stato messo in pericolo attraverso atti idonei a lederlo.
IV) il Giudice rammenta poi l’operatività del principio di offensività: in un primo momento, esso opera al livello della normazione, vale a dire nel momento in cui il Legislatore crea la norma. Ciò vuol dire che il Legislatore deve creare fattispecie che possano tradursi, sul piano fattuale, in ipotesi offensive degli interessi giuridici tutelati dal ramo penale. In secondo luogo, esso opera al livello ermeneutico, da ciò discendendo che la norma deve essere quantomeno suscettibile di una interpretazione, da parte degli operatori del diritto, in modo conforme al principio dell’offensività. Nel caso in cui non si rinvenga tale principio in alcuna delle due fasi, la norma è suscettibile di vaglio costituzionale, poiché il principio di offensività è, per consolidata giurisprudenza, rinvenibile agli articoli 13, 25, 27 della Carta Costituzionale. Inoltre, stanti le oramai consolidate interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali, l’assenza di offensività agisce già al livello del fatto tipico: vale a dire che non può esistere il fatto tipico non offensivo. L’assenza di offensività, in altre parole, fa venir meno lo stadio della tipicità. Di conseguenza, la formula assolutoria è “il fatto non sussiste”.   

Chi scrive vuole sottolineare come il Giudice si limiti giustamente a parlare di tentativo inidoneo e non di reato impossibile ex art. 49 comma 2 c.p., il quale si verifica, per giurisprudenza oramai consolidata, o quando vi sia l’inesistenza dell’oggetto materiale in rerum natura (non accontentandosi la Suprema Corte, contrariamente a quanto asserito da autorevole dottrina, della mancanza temporanea della cosa nel luogo di compimento del tentato delitto) o quando vi sia l’inidoneità assoluta, intrinseca, originaria della condotta a conseguire l’evento. L’inidoneità deve essere dovuta alla assoluta inefficienza causale o alla totale inadeguatezza del mezzo usato, e non deve essere possibile il verificarsi dell’evento, nemmeno come sviluppo eccezionale. La valutazione dell’idoneità deve essere effettuata con prognosi ex ante, condotta su base parziale, cioè tenendo in considerazione quanto conoscibile o conosciuto dal soggetto agente durante l’atto criminoso. L’analisi, dunque, non deve essere effettuata ex post, in quanto in tal modo ogni attività criminosa non sfociata in un evento darebbe sempre origine ad un tentativo inidoneo o ad un reato impossibile e mai ad un tentativo punibile, né ex ante su base totale, come suggerisce autorevole ma minoritaria dottrina. 

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